“ARRIVEDERCI PROF.”
La salute non come assenza di malattia ma come raggiungimento del benessere ed equilibrio psicologico e mentale nell’accettare lo status di ammalato.
“Ciò che puoi fare non è che una goccia nell’oceano ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe”.
Inizio l’articolo dedicando questo pensiero a chi ci ha da poco lasciato… E avendo avuto la fortuna di lavorare in un ente fondato da Veronesi, mi sento di sottolineare che tutti i suoi progetti erano improntati non solo sul miglioramento continuo della qualità della ricerca ma anche e soprattutto sulla comunicazione da utilizzare in termini di cura dei pazienti.
Ha rivalutato il coraggio di aver paura della malattia perché alle persone non infondeva solo una speranza in più di vita ma forniva gli strumenti per conoscere il nuovo stato di salute. Spiegava in cosa consisteva il ruolo di ammalato e illustrava come poterlo accettare. Ha permesso di dimostrare che le attività cliniche possono essere affrontate con un’altra prospettiva perché l’ammalato ha una propria dignità. Tutto questo ha concesso a molti di dare un senso diverso alla propria vita. Nei prossimi articoli valuteremo insieme anche altri aspetti, rispetto alla fragilità di ognuno di noi, in medicina.
Non mi sono sorpresa di non aver ancora visto nessun programma particolare dedicato al Dott. Veronesi.
Forse perché al di là dei riconoscimenti che ha sempre avuto da vivo tutto quello che ha, di concreto, realizzato continua a essere presente nella quotidianità. Le ricerche ancora in atto, tutti i libri che ha pubblicato, gli istituti fondati e la mentalità che ha infondato nell’ambito delle cure oncologiche.
In ogni realtà medica e non solo italiana, è facile trovare qualche iniziativa che ci riporta a qualche concetto da lui esposto e diffuso. Io stessa mi sono ritrovata a lavorare accanto ad un famoso psicanalista e professore universitario di Milano che ha adottato e rivisto molti concetti nel suo progetto di umanizzazione del reparto ospedaliero per i malati terminali.
Concepire una vita dignitosa come elemento cui dare priorità quando ci si ritrova ad assumere, nostro malgrado, il ruolo di ammalati. Non vergognarsi del nuovo status ma mostrarsi fieri di adoperarsi per trovare le cure più adatte. Sapersi persino relazionare a pari livello con gli altri soggetti non ammalati senza per questo sentirsi sminuiti dal proprio stato di non salute.
Chi è ammalato non è più da ghettizzare, non è una persona che deve nascondersi in casa, a rischio di depressione, ma un essere umano più sensibile e delicato riconosciuto da tutti come richiedente di maggiori attenzioni da parte coloro che ha attorno. Non più solo dalla famiglia, tra le mura domestiche, ma anche dai conoscenti che possono sostenerlo con la propria presenza e ascolto empatico, all’equipe medica formata da diverse figure specialistiche con cui rapportarsi per definire e ridefinire la cura ogni volta che si denota un cambiamento o un malessere diverso.
Si tratta di imparare a condividere e intraprendere nuove strategie terapeutiche e relazionali personalizzate al fine di raggiungere una maggiore percentuale dei casi con risultati positivi e duraturi. Tanto da arrivare a concepire la salute non come assenza di malattia ma come raggiungimento del benessere ed equilibrio psicologico e mentale. Binomio perfetto per auspicare serenità nell’accettazione della situazione di ritrovarsi a essere malati oncologici ma a oggi con sempre più speranze di guarigione anche grazie a Lui.” Arrivederci Prof.”