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LINEE NUDE

| Mara Cozzoli |
Non faccio carte con nessuno, sono l’immagine di me stesso……ed è questa la battaglia più difficile”.                                                                                             Diego Gambini

Capita, spesso, di trovare magia scorrendo le pagine di un libro, libro dall’ autore  pressoché sconosciuto, ma le cui capacità sono destinate a emergere.

Non mi accontento di fermarmi a ciò che leggo, la curiosità mi spinge a cercarlo, chi è questo giovane?

Diego Gambini, classe 1986 grafico pubblicitario e pittore. Il destino mi porta a relazionarmi direttamente con la sua mente estremamente sensibile, in grado di scavarti dentro, scavando in primis dentro se stesso.

Scopro con immenso stupore e piacere il suo inserimento in  “Enciclopedia dei poeti italiani contemporanei”  edito Aletti.
La sua raccolta “Linee Nude” è  poesia in forma di prosa;  fogli bianchi che attimo dopo attimo assumono il colore dell’introspezione, attraverso lo sfogo di un cuore in tumulto.

Se chiudo gli occhi, riesco a sentire il rumore della sua mano, che impugnando una penna, corre veloce su un foglio bianco, regalandomi un turbine di emozioni in conflitto tra loro: dubbi, angosce, gioie e riflessioni e a volte rassegnazione “ non cerco di spiegare niente a nessuno…descrivo la monotonia in sbucciate parole, in lettere che girano, si curvano.. che si snodano su fogli vergini”.

Essere in luogo, confusione di stati, e sentirsi in parte fuori posto, cercare fortemente la solitudine ma in contemporanea soffocarla, inseguire un cambiamento tra mille insicurezze… “rievocai un sogno, lo rievocai nei quattro angoli in cui mi trovavo quelle pareti me le sentivo strette, vicine allo stesso tempo lontane, distanti sperdute…”.

“ gli squarci si aprivano e si chiudevano, la brezza spariva e ritornava il vortice, la nera tempesta di solitudine allungava le sue distese mani ed io canticchiavi motivetti per distrarmi e non credere a tutto ciò; ripetevo versi, vecchie parole, nei ricordi della mente stanca, viali e archi, che avevo decorato con l’attesa febbrile del cambiamento con passi leggeri, nei tratti, dove non ricordavo niente. Valeva la pena fermarmi, ripensare, rivivere, di nuovo dimenticare?”.

Nel bene o nel male, con estrema lucidità, urla se stesso, senza paura e senza veli, in silenzio, un bianco silenzio cartaceo. “La rabbia la raccolgo senza darne libero sfogo. Sono un fuggiasco con la ricchezza di saper osservare ogni occhio, ogni bocca…mi carico di un’altra rabbia, l’ira mi sovrasta”. 

E ancora, eccolo, lo scontro tra rabbia e calma apparente, e la ricerca di sicurezza:“Voglio tessere gemme dorate nei vari punti del tragitto in cui il pensiero vacilla, dove ritrovo la mia natura selvaggia, febbricitante, in cui s’alzano fumi, mentre gli scogli sono soggiogati da mareggiate verdognole”.

Diego è anche autore di Tronchi cavi raccolta di poesie composte tra il 2004 e il 2009. Verso dopo verso, ogni parola vibra semplice e veloce, senza essere banale:” nel nostro male profondo/ risento altre voci passate/e la domanda vien detta/prima di essere pensata/ Cos’è mai questo tumulto?/ Sembra quasi l’eco di ali spezzate,/ avendo io stesso la sensazione di intravedere/un angelo tra le montagne.” (da Nodi).

E’ poesia genuina, spontanea, malinconica, un vortice in grado di risucchiare chi l’ assapora, delle stesse emozioni e ammissioni, dall’ autore vissute : “Fasi lunari/ specchi dell’uomo/intravvedo l’eclissi negli occhi più distaccati/non amano vivere di grida paesane, / le perle di montagna da secoli brillano alla fine dei tramonti, /gli artigli degli avvoltoi le rubano/ma son visti cadere inceneriti, carbonizzati al suolo in mezzo ai cespugli/e rovi/ E’ la fine di tutto/ Accompagnano i silenzi i pesci del vicino fiume,/ saltano da una pietra all’altra. / Dell’eclissi faccio parte anch’io.

“Tronchi cavi”, “Linee nude”, perché nascono? E’ Diego a rispondermi direttamente: “ Inizia tutto come una confessione con me stesso, una sorta di terapia, dove ho concentrato le mie paure, rabbia, disillusione, in seguito a una fase, dove sono stato male, prima fisicamente e poi è subentrata la parte mentale. Non sapevo se all’inizio potesse essere un aiuto, però mi sentivo e la mia mano andava e scorreva veloce, i fogli presi a caso, si riempivano, di tante parole, di versi che facevano eco alle letture di quel periodo: poeti francesi (Baudelaire, Rimbaud), ermetici (Montale, Ungaretti), e anche la scoperta di Dino Campana che dal mio punto di vista lo metto da parte rispetto agli altri autori italiani, come per Pavese.

La mia mente e i pensieri erano offuscati, scrivevo e stavo in un limbo, chiuso in me, ma con la fortuna di avere persone vicine che mi conoscevano prima di star male e che sapevano guardare più in là di ciò che era un gesto o un’azione non compiuta, come se da parte mia non ci fosse voglia di reazione. Ho sostato molto tempo nel limbo, nell’apatia, nel vedere e nel non fare, solo scrivere, anche se era ed è il disegno la mia prima vocazione, fin da bambino.”

Nella sua attività di pittore, con estrema sensibilità e intelligenza, ha dipinto una piaga dei nostri tempi: l’ ANORESSIA. Ha saputo leggere il dolore di un corpo devastato, ferite dell’anima, generate da un forte disagio sociale, dalla perenne ricerca d’amore e affetto, dal senso d’inadeguatezza. Ha recepito l’urlo di chi si rende invisibile, l’urlo di sintomo, sottolineando attraverso un dipintocome si possa guarirne e tornare a vivere.

Questo ragazzo rappresenta uno dei talenti sparsi per un Paese attualmente in ginocchio; un’artista tra tanti, che ancora credono nella potenza dei sogni. In realtà, vorrei soffermarmi su un altro punto: l’arte, intesa come scrittura e pittura, permettono di scontrarsi con se stessi, rendendo infine liberi da spettri che impediscono alla vita di essere vissuta appieno. Ogni emozione sfogata su una tela o su foglio di carta, sono parole e messaggi destinati a restare, indelebili, nel passato, presente e futuro.

Mara Cozzoli

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