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The war inside. Ptsd

| Mara Cozzoli |

Si chiama Ptsd,  ovvero disturbo da stress post traumatico che, nello specifico, si manifesta “ in conseguenza di un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, o ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri”.
Mi soffermo in questa sede su quanto accade ai nostri militari impegnati in quelle che vengono denominate “missioni di pace”.
Ci troviamo difronte a una sofferenza sorta nel corso e come conseguenza di operazioni in zone ostili.
In questi contesti è da escludere che un soggetto non subisca traumi.
Assistendo da spettatori esterni, tendiamo a identificare la fine del conflitto con l’addio alle armi.
La realtà è ben altra. La guerra sussiste, dentro, nelle profondità dell’anima di coloro che vi prendono parte.
Soldati, nonché uomini e donne destinati a portare dentro di sé conseguenze  sconvolgenti. Ipervigilanza, disturbi del sonno e incubi notturni, irritabilità, difficoltà di concentrazione, eccessiva reazione d’allarme, blocchi emotivi, difficoltà relazionali, depressione, alterazione della capacità d’adattamento, fino a giungere in casi estremi al suicidio, costituiscono i contraccolpi di quanto vissuto.

Si tratta di sintomi che subiscono l’influsso di svariati fattori tra i quali forza, natura dell’evento ed età del soggetto colpito.
Tutto ciò, inesorabilmente, coinvolge relazioni parentali, intime e sociali.

In sintesi, chi ricopre determinati ruoli trova innanzi a sé tre possibilità: soccombere, e quindi rientrare in patria in posizione orizzontale, avvolto nel drappo tricolore, salvarsi in qualche modo la pelle, e quindi sopravvivere.
Esiste un’ultima  soluzione: tornare all’apparenza integri, perché, siamo onesti ,ciò che gli occhi vedono, genera emozioni che  lasciano segni, indelebili.
Negli Stati Uniti sono stati studiati e attuati programmi il cui compito è prevenire, intervenire tempestivamente e successivamente all’impiego del militare in teatro operativo.
Si tratta di piani di supporto psicologico che prevedono la costituzione  di un’unità denominata Combat Stress Control, composta da Psicologi e Psichiatri.
Suddetti interventi vengono suddivisi in due ambiti temporali: breve/medio e lungo termine, i quali vedono coinvolti gli stessi  familiari, anch’essi toccati dall’evento.
In un articolo datato novembre  2017 per State of mind – il giornale delle scienze psicologiche (di cui riporto fedelmente il testo) Maurizio Stavola spiega nello specifico in cosa consistono tali interventi::
Supporto a breve
/ medio termine: “Pre-Deployment: un Team di Supporto in Patria (presso il contingente o durante il corso di indottrinamento) che opera al fine di far acquisire un´adeguata conoscenza sulla psicofisiologia dello stress in operazioni, sulle strategie di coping, sul controllo delle reazioni da combat stress ed affrontare le situazioni prevedibilmente traumatiche e stressanti tramite tecniche di gestione dell´evento traumatico, come ad esempio: Stress Inoculation Training (modalità di intervento psicologico per far fronte alle conseguenze disfunzionali dello stress sulla base di un modello di analisi dell’esperienza del soggetto sottoposto ad opportune sollecitazioni ambientali che rappresentano potenziali eventi traumatici) e Comprehensive Soldier Fitness Program (programma multifunzionale sviluppato da US Army per rafforzare la resilienza). L´attività da svolgere in questa fase è fondamentale, in virtù del fatto che il PTSD si presenta quando la reazione all´evento traumatico è pervasa da intensa paura, impotenza e orrore (criterio A2 secondo DSM-IV-TR, eliminato dalla lista dei criteri nel DSM 5 poiché esprime elementi soggettivi non utili ai fini diagnostici). Il livello di resilienza a questi tre elementi può aumentare con un adeguato addestramento basato sull´acquisizione di metodologie specifiche come: respirazione tattica (tecnica utilizzata per ottenere un controllo su risposte fisiologiche e psicologiche allo stress al fine di una migliore gestione della frequenza cardiaca, delle emozioni, della concentrazione e al fine di prevenire la paura intensa), esercitazioni in ogni scenario (per ridurre il senso di impotenza), inoculazione di fattori traumatizzanti (per limitare il senso di orrore);
Deployment: un Team di Supporto in teatro operativo costituito da personale specializzato in psicologia d´emergenza che utilizza strumenti specifici: colloqui e questionari, pronto soccorso emotivo individuale o di gruppo, programmi di gestione dello stress da incidenti critici come il defusing (tecnica di pronto soccorso emotivo basata su un intervento breve organizzato per il gruppo reduce da un evento traumatico da effettuare subito dopo l’episodio. L´intervento tende ad aiutare a diminuire la tensione e lo stress traumatico, attraverso la condivisione verbale dell’esperienza), tecniche di debriefing come il Critical Incident Stress Debriefing (il CISD mira a gestire emozioni intense attraverso la verbalizzazione del trauma, con il sostegno di un team o dei pari, sfruttando fattori terapeutici del gruppo utili alla riduzione dello stress post traumatico), tecniche di intervento sulla fatica da combattimento, interventi di desensibilizzazione e rielaborazione emozionale del trauma come l`Eye Movement Desensitization And Reprocessing (EMDR), terapie farmacologiche, strumenti di preparazione al rientro);
Post-Deployment: un Team di Supporto in Patria (presso il contingente o strutture sanitarie militari) che agisce al fine di supportare il personale con PTSD tramite tecniche specifiche (Terapia cognitiva-comportamentale, EMDR, terapie farmacologiche). Un militare potrebbe non facilmente poter evitare gli stimoli associati al trauma (criterio C sia nel DSM-IV-TR sia nel DSM 5) e dovrà affrontarli e riviverli tramite lenti processi di reintegro degli stessi utilizzando metodi di addestramento realistici (ad esempio i simulatori);
Supporto familiare: un Team di Supporto durante tutte le fasi del Deployment Cycle (presso il contingente o strutture sanitarie militari) al fine preparare e supportare il nucleo familiare (adulti e bambini). Il PTSD non ha impatto solo sul militare traumatizzato, bensì su tutti coloro che siano a lui legati. Occorrerà, quindi, intervenire anche sui suoi familiari per limitare qualsiasi conseguenza del trauma diretto o indiretto”.

Supporto a lungo termine: “Creazione di un Center for Deployment Psychology, all´interno del settore sanitario militare, che si occupi di ogni tipo di problematica psicologica inerente al dislocamento in teatro operativo e che possa coordinare le attività svolte dai Team di Supporto, svolgere corsi specialistici per formatori, comandanti, combattenti e familiari finalizzati alla preparazione agli eventi traumatici e allo stress conseguente, seguire il decorso del personale e dei familiari, elaborare studi statistici ed analizzarne i risultati, svolgere attività divulgativa sulla problematica;
Creazione di una Combat Military Psychology Community specializzata in attività di intervento durante il Deployment Cycle a stretto contatto con il mondo accademico e militare nazionale ed internazionale;
Supporto familiare strutturato che possa far riferimento ad una struttura militare specializzata nel settore di intervento orientato alle famiglia. Sviluppo di una logistica operativa orientata al benessere del militare nel periodo di dislocamento che possa aiutarlo a rafforzare la resilienza (attività fisica, sociale, culturale, spirituale, ludica)”
.

In Italia,  attualmente, mancano programmi strutturati ed equiparabili a quelli adottati in Paesi che, coscientemente,  si sono mossi per  attutire conseguenze gravose.
Una serie di quesiti sorgono spontanei : Perché decidere di partire? Perché indossare una divisa? In nome di quali ideali farsi carico di una guerra che non appartiene? Sono mariti, compagni, figli. Sono figlie, mogli e fidanzate.
Per quale motivo mettere a rischio sfera affettiva, sociale e integrità psicofisica?
Ognuno ha le sue ragioni.

Mara Cozzoli

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