È un uomo abusante? La prevenzione come strumento di difesa.
“L’uomo abusante è come un prestigiatore : i suoi trucchi consistono essenzialmente nel farvi guardare nella direzione sbagliata. Vi porta a concentrarvi su suoi complessi sentimenti per distrarvi dalla vera causa del suo comportamento, che invece sta nel suo modo di pensare. Vi attira in un labirinto rendendo il vostro rapporto una strada contorta, tutta curve e tornanti”.
Lundy Bancroft specializzato nella gestione di casi di violenza domestica, consulente giudiziario e co-direttore di Emerge (organizzazione che negli Stati Uniti offre programmi di riabilitazione per uomini violenti), per mezzo del saggio “ Uomini che maltrattano le donne” fornisce al sesso femminile un valido strumento per riconoscere sin dall’inizio un potenziale uomo abusante, quali sono i primi segnali da non sottovalutare e quali meccanismi attuare per svincolarsi dal controllo che quest’ultimo può esercitare. Il testo in questione è considerato a tutti gli effetti una guida per proteggersi fisicamente e psicologicamente da un soggetto maltrattante.
Afferma deciso che l’aggressività maschile nell’ambito di un rapporto di coppia non è collegato allo stato d’animo dell’uomo; ogni paziente vive esperienze emotive non dissimili da quelle di altri uomini. Il problema è invece strettamente connesso alla modalità di pensiero. Ogni risposta è dunque nella mente dell’individuo.
Punto di partenza: Quando una donna nell’ambito di una relazione viene controllata e svalutata? Solo riflettendo su questa domanda è possibile innalzare linee difensive.
Controllare, maltrattare, abusare: verbi che inglobano svariate situazioni e comportamenti indicativi tanto dell’azione materiale di picchiare la propria partner, quanto insulti e umiliazioni non accompagnate dall’ aggressione fisica.
“ Un uomo dominante e controllante può essere come un’aspirapolvere che vi risucchia la vita e la mente, ma sappiate che riprendervela è possibile”.
L’abusante è gentile(soprattutto i primi tempi), simpatico e con ottime qualità; gode del rispetto di amici, non è dipendente da sostanze stupefacenti o alcol e ha successo in ambito lavorativo. Difficilmente l’abusata associa l’aggettivo violento al partner. I segni sono evidenti e realmente vissuti: frequenti umiliazioni, scontri verbali nel momento in cui non lo si asseconda, clima di paura o intimidazione. Il conflitto nel giungere a tale accostamento è dovuto proprio alla contemporanea presenza di gesti affettuosi.
In generale questa tipologia di uomo è soggetto a violenti sbalzi d’umore, improvvisi cambiamenti dall’oggi al domani: talvolta è aggressivo, utilizza toni aspri, deride pesantemente e oltraggia brutalmente. In questa fase, la donna che cerca di tranquillizzarlo sbatte contro un muro: ogni parola o gesto ne peggiorano lo stato d’animo.
Bancroft smantella con precisione ben dodici miti daruotanti intorno al tema esaminato, entra a colpo duro su sragionate credenze relative a siffatta tipologia di violenza, abbattendole:
“Ha subito abusi da piccolo”. Recenti studi dimostrano la debolezza del binomio infanzia/abusi.
Le vittime di abusi nel corso di questo lasso temporale da adulti assumono atteggiamenti aggressivi solo verso altri uomini. Unica eccezione è relativa a coloro che si dimostrano veementi in modo feroce, efferato. In questo caso, esiste la reale possibilità del legame infanzia/abuso. Un’infanzia traumatica non porta a maltrattare la compagna anche se incide sul rendere il soggetto particolarmente pericoloso.
“Mi maltratta perché prova un sentimento fortissimo nei miei confronti”.
Coloro che amiamo possono provocare in noi un forte dolore, ma ciò che l’uomo violento vuole fare credere è che i sentimenti generano violenza.
“È pazzo ha una malattia mentale che deve farsi curare”.
No, assolutamente, no! Non è pazzo. Certo, i frequenti sbalzi umorali da euforico ad aggressivo, possono far pensare a un qualche disturbo.
Ogni singolo paziente dell’autore è psicologicamente normale. Comprende la relazione causa/effetto e percepisce in modo autentico parecchi aspetti della realtà, altamente realizzato in campo lavorativo, ottimi risultati ai corsi formativi a cui accede.
Nessun occhio esterno denota particolari problemi.
In sintesi: ad essere malato è il sistema di valori non la psiche.
Lo stesso discorso vale per coloro che compiono abusi fisici. Non è di conseguenza una sofferenza a generare violenza fisica o psicologica.
Gli ambiti possono comunque intersecarsi, trovandoci così innanzi due condizioni dissociate.
L’uomo violento controlla. Vi sono aree nella quali esercita il massimo potere: discussioni e decisioni, libertà personale( padronanza delle frequentazioni della partner), educazione figli ( ne esercita completa autorità in merito pur non prendendosene materialmente cura).
Emerge l’esigenza in quest’ultimo di appagamento sessuale, la “sua“ donna deve soddisfarlo solo ed esclusivamente quando e come lui desidera.
Prevaricazione e amore vanno a confondersi: “La confusione tra amore e prevaricazione fa dire agli uomini che uccidono le partner di essere stati spinti dalla corrente dei sentimenti. Purtroppo spesso I MEDIA ACCETTANO QUESTA SPIEGAZIONE, DESCRIVENDO QUEGLI OMICIDI COME ” OMICIDI PASSIONALI”. Ma quale prova migliore che un uomo non ama affatto sua moglie, dal fatto di averla uccisa? Di una madre che ha ucciso un figlio diremmo che lo ho fatto perché sopraffatta dal bene che gli voleva? No di certo. Amore significa rispetto dell’altro, desiderio del meglio per lui e sostegno alla sua indipendenza e autostima.
L’amore è per definizione incompatibile con la violenza e la coercizione”.
“ Il comportamento di un uomo violento è cosciente: egli agisce deliberatamente e non per caso o perché perde il controllo. È il pensiero sottostante che guida il suo comportamento a essere in gran parte non cosciente”.
Trasliamo al discorso sesso: “Ho potere su di te perché facciamo sesso”.
La violenza sessuale non è solo collegata allo stupro nella sua materialità, ma altresì a minacce o insulti per indurre la donna a consumare un rapporto. La mente di quest’ultimo segue questo processo: tu, ti sei impegnata con me, di conseguenza, perdi il diritto a dire no al sesso; è paragonabile a un animale che marca il proprio territorio. Ottenuto ciò che vuole sente di possedere lei o una parte di essa. Si allontana da ogni pensiero e sentimento della partner, si protegge così da eventuali sensi di colpa. La donna si tramuta in questo modo in oggetto privo di emozioni, desideri e sentimenti: una macchina uso e consumo.
Nei casi di violenza domestica vittime sono anche i figli nei quali è riscontrata instabilità emotiva.
L’abusante è un manipolatore, riesce a generare divisioni all’interno della famiglia devastando il legame madre/figli: se il gruppo rimane integro lui perde potere. Problemi ulteriori sorgono dal punto di vista legale nei casi di affido della prole. Ai test psicodiagnostici, se il padre non risulta quasi mai positivo, la donna in seguito ad anni di maltrattamenti e abusi viene giudicata da perizia psichiatrica depressa, isterica e vendicativa.
Vi è quindi un capovolgimento di ruoli: l’oppressa si tramuta in carnefice mentalmente disturbata. L’ovvia possibilità è una: subire l’allontanamento dai propri figli.
La radice di tutto ciò è culturale: fino al 1800, nelle realtà occidentali era legale usare violenza fisica al fine di mantenere ordine all’interno del nucleo famigliare. Alla fine del XII secolo compaiono le prime leggi che puniscono pesanti pestaggi, nella concretezza però fino agli anni ’70 vengono applicate raramente, ma dopo il 1990 trovano regolare messa in pratica. In Italia nel 1981 vengono abrogate le disposizioni sul diritto d’onore. Fino al 1996 rimane in vigore il vecchio codice Rocco il quale riteneva lo stupro lesivo della “moralità” pubblica, salvo poi divenire crimine contro la persona.
Difronte a noi particolari che contribuiscono a veicolare pensiero e modalità d’azione.
Per combattere tale fenomeno occorre cambiare mentalità.
Figli di un clima intellettuale strettamente ancorato alle prepotenze, la cui responsabilità è gettata su chi subisce. Testimoni di una società che infondo promuove l’oppressione e il maltrattamento.
Per prevenire siffatta piaga occorre educare fin da bambini al rispetto verso l’altro sesso, il che si traduce nell’ introdurre e guidare il bambino all’interno della sfera affettiva.
Eredi di una sottocultura perpetuatasi dalla notte dei tempi, nella quale la donna, suo malgrado, è colpevole a priori: rea di provocare, indossare abiti succinti, gonne troppo “corte” o esporre scollature “importanti”, concezione che assurge l’essere femmineo a oggetto sessuale, il cui compito all’interno di una società castrata è eccitare la controparte, salvo poi subirne le conseguenti umiliazioni. Un no, equivale al suo corrispettivo significato.
Nel momento in cui la volontà è coartata da manipolazioni, insulti o ricatti è un sì viziato, estrapolato per mezzo di violenza psicologica: è dunque abuso sessuale.
In conclusione: è delitto essere donna?
Chi ha peccato scagli la prima pietra.