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Milano più sociale. Periodico di informazione online

Norma Jean Monterson, la donna prima del mito.

“Ma tu continuavi a essere bambina, sciocca come l’antichita’, crudele come il futuro….La tua bellezza sopravvissuta del mondo antico, richiesta dal mondo futuro, posseduta dal mondo presente, divenne così un male”.

Pier Paolo Pasolini, La Rabbia 1963

Norma Jean Monterson, nata a Los Angeles nel 1928 sotto il segno dei gemelli.
“Gemelli”, dualismo. Così si definì: “Jakyll e Hyde, due persone in una”. Conosciuta come Marilyn Monroefu modella, attrice, cantante e al top di carriera anche produttrice cinematografica.
Prima di essere un lungo CV, l’icona hollywoodiana fu una donna, con le sue fragilità, insicurezze e paure.
Scrivere di lei è come raccontare differenti facce di una stessa moneta.
Se da un lato mi trovo difronte Marilyn, quel personaggio creato da organi di stampa e case di produzione, una bionda tutto pepe, sex symbol, dal fare svampito che ogni individuo di sesso maschile vorrebbe trovarsi tra le lenzuola, dall’altro innanzi a me ho Norma Jean, l’opposto, ovvero quella parte che le regole vollero non potesse essere esposta al mondo.
Un velo di malinconia solcò sempre il suo volto, uggiosa, maniaca del perfezionismo e alla perenne ricerca di verità indiscutibili.
L’intelligenza artistica sua propria, spinsero registi come John Huston e Henry Hathaway a chiamarla per interpretare ruoli complessi.
Disprezzò l’apparenza in quanto scrutò l’interno dell’anima umana.
Apprendere e capire furono i desideri che l’accompagnarono sempre.
Lesse Joyce, Whitman, Kerouac, Dostoevskij, Hamingway, Camus, Berchett e molti altri.
Legata alla storia dell’arte, amò il rinascimento italiano, Goya e i suoi demoni, Degas e Rodin.
Colta, curiosa e alla ricerca di stessa.

Norma Jean Monterson

Scrisse, materializzando su fogli bianchi sensazioni e pensieri.
All’interno di un corpo perfetto si nascose un’intellettuale e una personalità artistica posseduta da pochi. Anima bella, nevrotica che troppo pensò, sentì e amò.
Antonio Tabucchi: “Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo: che potranno essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere una cosa sola, quello che gli altri pensano che noi siamo”.
Gridò e urlò su un quaderno il suo terrore e la sua solitudine: “Sola/Sono sola- sono sempre/sola comunque sia l’unica cosa di cui aver paura/è la paura. In ogni caso/credo in me stessa anche nelle mie sensazioni più delicate e intangibili/in fondo tutto è intangibile/il mio fluido più prezioso non deve/mai essere versato.
Il panico, suo compagno, la assalì costantemente prima di girare una scena, consapevole della cronicità di ogni sua insicurezza, con ferma conoscenza di sé utilizzò termini forti: Depressa, Pazza”
.
Dalla sua agenda: “Paura di farmi dare battute nuove/ forse non riuscirò a impararle/ forse sbaglierò/ penseranno che non sono brava oppure rideranno o mi criticheranno o penseranno che non so recitare./ Ripenso a quando non sapevo fare un accidente di niente, poi cerco di farmi coraggio dicendomi che ci sono cose che ho fatto giuste addirittura bene e ho avuto/ momenti straordinari ma le cose negative sono più/ pesanti da portarsi dietro e da sentire/non trovo sicurezza/ depressa, pazza”.
L’introspezione che la contraddistinse la portò a un lungo percorso di psicoanalisi, che la ricondusse alla sua infanzia come momento origine di ogni sua paura. Sottolineò la tendenza dell’inconscio a dimenticare come forma di autoprotezione, e l’importanza del ricordo in opposizione ad esso per trovare equilibrio.
“Posso aiutarmi e mi aiuterò/e lavorerò sulle cose in modo analitico non importa quanto sia doloroso – se/dimentico (l’inconscio vuole dimenticare – io cercherò solo di ricordare). / Disclipina Concentrazione/ Il mio corpo è il mio corpo/ tutto intero”.
Nel 1961 subì un ricovero in clinica psichiatrica, il quale la pose innanzi alla follia ereditaria: madre e nonna subirono il medesimo trattamento.
Nel corso di lettere al suo psicoanalista, denunciò il trattamento disumano riservato ai “diversi”.
“Non c’era nessuna empatia alla Payne Whitney – ha avuto un pessimo effetto – mi hanno chiesto, dopo avermi messo in una “cella” (quattro spoglie pareti e tutto il resto) per pazienti gravemente squilibrati e depressi (tranne che mi sono sentita come in una specie di prigione per un crimine che non ho commesso. La disumanità lì dentro l’ho trovata arcaica). Mi hanno chiesto perché non ero contenta (c’erano sbarre dappertutto, su lampade, cassatte, bagni, ripostigli,, sulle finestre con le sbarre nascoste – le porte hanno una finestrella così i pazienti sono sempre visibili e poi la violenza e i segni degli altri pazienti che restano sulle pareti). Ho risposto” Beh, dovrei essere matta per stare bene qui dentro”. Poi le grida delle donne nelle loro celle – gridavano come se la vita fosse insopportabile – In momenti come quelli secondo me avrebbe dovuto esserci disponibile uno psichiatra con cui parlare. Magari per alleviare anche solo temporaneamente la loro disperazione e la loro pena. Direi che loro (i dottori) potrebbero persino imparare qualcosa – ma sono interessati soltanto a quello che hanno imparato sui libri – e mi ha sorpreso che lo sapessero già. Forse la sofferenza di un essere umano vivo potrebbe insegnarli qualcosa di più…
Marilyn si spense il 5 agosto 1962.
“Oh, beh, gli uomini vanno sulla luna ma a quanto pare il cuore umano non gli interessa”.
Suicido.
Fino all’ultimo dei suoi giorni, non smise di amare e progettare il futuro, quasi fosse un’adolescente.
Sensibile, impulsiva e timida allo stesso tempo.
La mancanza di autostima la spinse all’immutabile preoccupazione di essere respinta.
Respirò forte la vita e puntò a crescita personale e realizzazione anche quando il suo talento fu riconosciuto a livello mondiale.
Mito e leggenda, etichettata come macchina nata per sedurre l’uomo, ma l’unica arma di seduzione che le appartenne, in definitiva, la conobbero in pochi, e per niente combaciò con la figura venduta al pubblico.
“So che non sarò mai felice ma so che posso essere allegra!!!”.

All’attivo più di una trentina di pellicole cinematografiche, tra le quali: Quando la moglie è in vacanza, Eva contro Eva, Gli spostati, Come sposare un milionario, Il principe e la ballerina, A qualcuno piace caldo, Facciamo l’amore.
Incompleto: Something’s got to give.
Fonte Bibliografica: Fragments. Poesie, appunti, lettere.




Mara Cozzoli

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