Albert Camus, Le Premier Homme.
“ Non restava ormai che quel cuore angosciato, avido di vita, ribelle all’ordine mortale del mondo, che lo aveva accompagnato per quarant’anni e continuava a battere con la stessa forza contro il muro del segreto di ogni vita, con la volontà di andare più in là, di andare oltre, e di sapere finalmente per essere, una volta, un solo secondo, ma per sempre”.
Saggista, scrittore, drammaturgo, filosofo ed attivista politico, attraverso le sue opere raffigurò e comprese una delle più difficoltose e tragiche epoche della storia contemporanea: ascesa del totalitarismo, secondo dopo guerra e guerra fredda.
Ogni sua elaborazione filosofica, posta sotto forma di immagine letteraria, possiede valenza cosmica e trascendente, filosoficamente parlando, supera i confini del tempo.
Descrisse la casualità storica e la condizione umana nel suo fulcro fondamentale. Il suo lavoro volse ai turbamenti d’animo umano davanti all’esistenza. Pronunciò sempre questa frase: “Se la natura condanna a morte, che almeno l’uomo non lo faccia”.
Concentra la sua analisi sull’assurdità dell’uomo come posizione estranea al suo mondo e reale allo stesso tempo, premessa da allontanare il più presto dalla vita umana: l’unico strumento di cura è la solidarietà, che solo l’uomo è in grado d porre in atto.
“Solo attraverso la presa di coscienza di questo stato di cose, si aprono nuove vie, la difficoltà consiste nell’entrarci”.
L’assurdo è penoso, e la presa di coscienza di esso flagella e tortura, ma è uno stimolo intellettuale importante, ed è ne “Il mito di Sisifo”, che viene posto in maniera chiara. Solo nel 1947, con il romanzo “La peste”, supera il senso devastante e assurdo dell’esistenza umana.
Politicamente, giungerà alla rottura totale con la sinistra francese e la condanna dell’ambiente esistenzialista sartriano, i cui rappresentanti, rifiutavano di esecrare del tutto, come fece Camus, l’esperienza di Marx e Lenin, pur riconoscendone alcuni errori
Il 4 gennaio 1960, Albert Camus trovò la morte alle porte di Sens. Tra i rottami della macchina su cui viaggiava, accompagnato da Michel Gallimar suo editore, venne trovato un manoscritto: 144 pagine, un insieme di correzioni, aggiunte, varianti e cancellazioni. Stiamo parlando della stesura originaria de “Il Primo Uomo”, opera (uscita postuma e incompiuta) a cui lo scrittore stava lavorando al momento dell’incidente in cui perse la vita.
Testo forte, commovente, ma soprattutto autobiografico. Jaques Comerj (Albert Camus stesso), decide di fare ritorno in quella che fu la sua terra natia: l’Algeria. Ciò che ricercò, fu il ricordo del padre deceduto durante la prima guerra mondiale, quando il protagonista aveva solo un anno. Questa scelta, lo costrinse a compiere un viaggio a ritroso, lungo la linea del tempo, portandolo così ad abbracciare la sua infanzia trascorsa in un quartiere povero della capitale algerina, la sua quotidianità, le sue amicizie e tutti i suoi sogni di bambino. Lui, Albert Camus, figlio di un uomo deceduto in guerra (e che, praticamente non conobbe), figlio di una madre affettuosissima, appartenente a una famiglia estremamente povera che, nonostante tutto, crebbe questo ragazzo con dignità; destinato però, a lasciare la scuola per provvedere alle necessità famigliari. Tutto ciò, farà emergere l’uomo ideale, “Il primo Uomo”, colui che quando muore viene dopo.
Nell’ambito di questo romanzo autobiografico, spicca fra tutte una figura: un insegnante; quell’insegnante che intuì immediatamente le capacità di questo ragazzino e, che, una volta resosi conto delle condizioni economiche in cui versava la famiglia, lo accompagnò passo a passo a vincere una borsa di studio. In realtà, quest’ultimo, fu molto più di un semplice maestro: bensì un padre.
Vorrei utilizzare quella che fu la vita di un Premio Nobel, per lanciare una serie di messaggi: investite sulla scuola, sulle attitudini di ogni studente…forse, non avremo menti parificabili a quella del celebre filosofo e saggista, ma è proprio nei giovani il futuro del nostro Paese. Provate a non essere banalissimi insegnanti di storia, letteratura, matematica o scienze. Tramutatevi in educatori, una sorta di “seconda famiglia” per ogni alunno. Sappiate coglierne le potenzialità, le inclinazioni naturali, veicolarle e stimolarle.
La storia di Albert è portatrice di speranza: non importa chi sei o da dove vieni, ciò che conta, insieme alla forza di volontà nel perseguire i propri obiettivi, è avere accanto qualcuno che crede in te e che ti scrolli brutalmente nei momenti neri.
Il talento, quello vero, anche contro le avversità, è destinato a emergere.
Motivazione Premio Nobel: “ Per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo”.