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Albert Camus, La Peste

| Mara Cozzoli |

“Ascoltando,, infatti, i gridi d’allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava, che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili, e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice”.

Orano, piccola prefettura francese della costa algerina, cittadina in cui “ci si annoia e ci si applica a contrarre abitudini”, dove “gli uomini e le donne si divorano rapidamente in quello che si chiama atto d’amore o s’impegnano in una lunga abitudine a due”.

Orano, colpita da un terribile e inesorabile flagello, isolata dal resto del mondo, affamata e incapace di fermare il decorso degli eventi; ogni sua strada è invasa da topi, portatori di una grave pestilenza.

Si apre così, una delle più importanti opere della letteratura mondiale, sorta dalla completa armonia tra mente, cuore e mano di Albert Camus.


Romanzo dal forte impatto emotivo, metafora del male che mina l’esistenza umana; quel sentimento insidioso e subdolo, pronto a colpire non appena lo spirito è meno vigile (e più fragile), invincibile, ma, solo all’apparenza. Camus non incentrerà mai la vicenda sulla descrizione della malattia, bensì, sulle reazioni e sui pensieri degli abitanti imprigionati forzatamente in città.  
Proprio per questo, “La peste” non è un romanzo sulla malattia, ma sulla rivolta.

Quale rivolta? La rivolta nascente dalla presa di coscienza dell’assurdità della vita umana, generata in buona parte dalla presenza della morte.

Componimento narrativo focalizzato in prevalenza sul dialogo tra i personaggi, intriso di grandi riflessioni che non troveranno risposta,  di dilemmi come quelli che si porrà Rambert giovane e vulcanico giornalista che, capitato a Orano per ragioni lavorative vi rimarrà imprigionato.: << Morire per un’idea, o vivere e morire di ciò che si ama?>>. << Cos ’è l’uomo? È un’idea?>>.

Personaggio di spicco della vicenda è Bernard Rieux, medico che, per vocazione è preparato a lottare contro il dolore altrui. Uomo attivo nella dura battaglia contro il male è l’emblema dell’etica.  Lui è l’antieroe: il suo agire non è dettato da eroismo, ma da onestà. Nel corso di uno scambio di battute, alla domanda <<Che cos’è l’onestà?>> risponderà: << Cosa sia in genere, non lo so: ma nel mio caso, so che consiste nel fare il mio mestiere>>.

Passo dopo passo, nella sua opposizione verrà affiancato da nuove figure, la rivolta, che inizialmente è solitaria, diverrà solidale. Da questo momento, non si avranno più destini individuali e tutto si tramuterà in storia collettiva. Ogni sentimento umano sarà condiviso da chiunque con chiunque: ansia, paura, angoscia (mai rassegnazione), ruoteranno intorno al senso di SEPARAZIONE, comprendente tanto il seppellimento dei morti, quanto la pena degli amanti divisi l’uno dall’altro.  L’unico sollievo allo stato d’angoscia, sarà l’azione: tutti entreranno nelle formazioni sanitarie volute da Tourrou.

Nel dramma generato dalla morte è presente Paneloux, colto gesuita, il quale passerà dall’astratta condanna delle colpe dell’uomo “La prima volta che il flagello appare nella storia, è per colpire i nemici di Dio. Faraone si oppose ai disegni eterni e la peste, allora, lo fa cadere in ginocchio. Dal principio d’ogni storia, il flagello di Dio mette ai suoi piedi gli orgogliosi e gli accecati. Meditate e cadete in ginocchio”, a un sentimento di pietà nei confronti di tutti i malati, aderendo volontariamente alle squadre di soccorso.

Il male perderà la sua forza distruttrice nel corso di un anno, senza risparmiare nessuno: Othon, fanciullo di nove anni, perirà tra mille atroci supplizi “Con la bocca aperta, ma muta, il ragazzo riposava nella buca delle coperte in disordine, rimpicciolito di colpo, con i resti di lacrime sul viso”.  Sarà questo bambino a simboleggiare l’innocenza sottoposta a insensata, intensa e agghiacciante sofferenza , costituirà  di conseguenza l’immagine di un’ infanzia strappata al futuro.

A fine racconto, voce fuori campo che attimo dopo attimo, ha guidato il lettore, si rivelerà essere Bernard Rieux. Già, lui, l’uomo che nel momento in cui sarà chiamato ad essere non si tirerà indietro.Il significato profondo nascosto tra le pagine di questo libro è che il male e il dolore non possono essere spiegati razionalmente, ma affrontati attraverso l’impegno collettivo. L’uomo può superare disperazione e solitudine della propria esistenza tramite una rivolta cosciente contro l’assurdo, ovvero, per mezzo della solidarietà.

Specchio di una realtà sempre attuale.

Mara Cozzoli

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