La Storia, Elsa Morante.
Romanzo a sfondo storico datato 1974 dal quale è stata tratta una versione cinematografica diretta da Luigi Comencini.
“La storia” è il testo più noto e discusso della scrittrice.
Le accuse mosse dopo la pubblicazione riguardano non solo una presunta speculazione relativa al tema della sofferenza umana, ma anche diffusione di catastrofismo.
Niente da sindacare sullo stampo fortemente negativo dell’opera, che si evince fin dalle battute iniziali attraverso i suoi personaggi, la loro psicologia e le patologie fisiche o mentali alle quali soggiaciono..
Aspetto molto interessante che emerge dall’opera è legato alla mentalità vigente nel periodo in cui è ambientata: la malattia viene nascosta in quanto ritenuta una maledizione per gravi colpe commesse. Una banale crisi epilettica è considerata dalla cultura popolare un’invasione da parte di spiriti sacri, esorcizzabile tramite recitazioni rituali in chiesa, una macchia che può compromettere l’avvenire del soggetto interessato.
Tra le righe, Elsa, sottolinea l’arretratezza circa l’educazione sessuale a cui la donna è legata.
Al di là delle polemiche, ad oggi, “La storia”, rappresenta uno dei pilastri fondamentali della letteratura italiana; un libro che permette di aprire uno sguardo sul passato, viverlo, sentirlo, offrendo spunti per riflessioni attuabili al mondo e alla società odierni.
Il romanzo è ambientato a Roma, nel quartiere povero di San Lorenzo, nel corso del periodo storico più tragico per il nostro Paese: La seconda Guerra Mondiale.
Il romanzo si apre però molto tempo prima, durante i giorni della “Rivoluzione Fascista”.
Da quel momento, la scossa: abolizione della libertà di stampa, opposizione al diritto di sciopero, istituzione dei Tribunali speciali, il ritorno alla pena di morte.
Il fascismo diventa ufficialmente dittatura e forma di Governo.
In ultimo, viene proclamato l’obbligo al censimento destinato agli Ebrei; avvenimento che conduce prima alla pazzia, infine alla morte, la madre di colei che rappresenta il fulcro intorno al quale ruota tutta la vicenda.
Pagina dopo pagina, riga dopo riga, subentrano svariati volti, le cui esistenze s’intersecano tra loro. Protagonista è Ida Ramundo, insegnante e vedova.
Donna forte e fragile, inconsapevole dei propri drammi interiori, anch’ella come la progenitrice è impegnata a nascondere il segreto legato alle origini ebraiche. Al suo fianco, i figli Nino e Useppe.
Ecco, la figura materna, colonna portante di tutto il racconto.
La donna simboleggia il senso della vita di coloro che vivono la situazione di conflittualità bellica tra Paesi: sopravvivenza al dolore, sconfitta, guerra, suoni di sirene, bombardamenti, centri di ricovero per sfollati. A questa realtà, Ida rimane ancorata fino all’ultimo foglio, una realtà che con il decorso del tempo si traduce in abitualità. Un esistere che nulla le ha concesso se non due splendidi figli che ama con tutta se stessa, che, ahimè, immediato dopoguerra e fame strappano alla vita.
Passato e presente sono legati da molteplici fili conduttori, nel senso che cambiano epoca e spazio, ma la campana è sempre una: soprusi, violenze, esseri umani trattati come bestie, stupri ai danni di donne posti in essere dall’invasore.
Useppe è figlio dello stupro commesso da un soldato tedesco: “La violentò con tanta rabbia, come se volesse ucciderla. E tanto era carica di tensioni severe e represse che, nel momento dell’orgasmo, gettò un grande urlo sopra di lei. Poi, nel momento successivo la sogguardò, in tempo per vedere la sua faccia piena di stupore che si distendeva in un sorriso d’indicibile umiltà e dolcezza”.
Bimbo minuto e gracile al quale la donna cerca di non fare subire gli orrori che nessun bambino deve patire; è una lupa che sfama il suo cucciolo e lo protegge dall’inferno.
Così come tutti, quest’ultima accetta la morte in modo passivo, accetta la sconvolgente verità di quanto essa è parte integrante della vita, senza fare una piega, senza versare una lacrima, salvo crollare, nel momento in cui perde la sua prole.
Senso di solitudine e vuoto sono tratti caratterizzanti ogni singolo soggetto, e ancora una volta, Ida ne racchiude l’incarnazione globale; inizialmente nel tempo in cui rimane sola con un figlio da crescere e successivamente allo stupro, quando, costretta a partorire priva di sostegno, deve trascinarsi questo peso in stato di completo abbandono.
Isolamento, rabbia, e ribellione sono le sensazioni nutrite dal primogenito, Nino: “Di regola, Ninnireddu incontrava solo il deserto gelato della pioggia e delle tenebre. E rincasava solo, tutto bagnato, per coricarsi a testa in giù contro il cuscino, arrabbiato di dover dormire così presto, mentre la vita, con le sue cucce d’amore, le sue bombe, i suoi motori, le sue stragi, ancora imperversava dovunque, allegra e sanguinosa”.
La scuola diviene per lui una costrizione impossibile, tanto che, le sue assenze sono più numerose delle presenze, ne decreta l’addio definitivo arruolandosi negli squadroni fascisti (dove anche qui si dimostra insofferente a regole disciplinari ), salvo tornare sui suoi passi, cambiare fazione e sposare quindi la causa partigiana.
Tra fascismo e comunismo, al ricovero sfollati, spunta una figura anarchica: Vivaldi Carlo. Clandestino dedito alla propaganda politica, una volta scoperto viene denunciato al comando tedesco. Riesce a fuggire da un convoglio di deportati. Prendono via discorsi terrificanti, fatti di bunker destinati agli interrogatori dei prigionieri. Grida, voci, una donna che in pieno delirio invoca le SS.
Ad ogni stridore di serratura, un suono di spari nel cortile. I bunker vengono denominati “anticamere della morte”.
Prigioniero per settantadue ore, narra di tre notti con dieci spari a notte.
In antitesi a chi vuole la rivoluzione armata, questo personaggio rifiuta l’uccisione di un qualunque uomo. La sua idea rifiuta la violenza, tutto il male risiede nella violenza. La vera anarchia, non può ammettere la violenza. L’idea anarchica consiste nella negazione del potere. E il potere e la violenza sono tutt’uno.
“La storia” può essere definita come l’attesa corale accompagnata all’azione di liberazione dall’oppressore.
Nella sua drammaticità, il romanzo apre la mente a svariati interrogativi:
Se l’essere umano è artefice della diffusione del male nella sua materialità, esiste salvezza?
Dove annida il male? Come si sviluppa?
La letteratura è depositaria del passato e valido strumento per la costruzione del futuro.
La conoscenza di ciò che è stato, dei segni portati sulla pelle e nell’anima di coloro che l’hanno vissuto sono decisivi per combattere l’impoverimento culturale.
Bosnia, Cecenia, Siria, Iraq, sono flash di un periodo recente, figli di chi, per interessi personali e giochi di potere, dopo aver analizzato i tempi andati, ha evitato di realizzare principi morali, etici e umani in grado d’impedire barbarie.