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Medea, storia di un infanticidio.

Figura demoniaca, barbara e crudele?
Fonte d’ispirazione per poeti e drammaturghi: Medea, madre infanticida.

Tra le molteplici Medee proposteci, Seneca, nella sua tragedia, a differenza di Euripide, la cui introspezione porta a capire il dramma e il conflitto interiore,  giudica e  condanna senza mezze misure la donna, considerata da subito un mostro.
Chi è Medea?
Principessa della Colchide supporta Giasone nel furto del vello d’oro e fugge con lui in Grecia.
In seguito viene ripudiata dal consorte che intende convolare a nuove nozze con la figlia di Creonte, re di Corinto; a questo punto la donna medita e mette in atto la sua efferata vendetta.
Uccide la giovane sposa e suo padre con l’ausilio di un velo avvelenato e punisce Giasone, colui che ha spezzato il giuramento fatto. Medea giunge così all’omicidio dei due figli, a guidarla determinazione e razionale crudeltà.

Inizialmente il gesto è spiegato dalla volontà di impedire ai suoi bambini di crescere come figli di una ripudiata, in realtà ciò a cui pensa è punire lo sposo, nonostante il profondo dolore che arrecherà anche a lei.
Da Euripide: “Per questo li hai uccisi?” domanda Giasone. Risponde Medea: “Per nuocere a te”.
Quest’ultima incarna su di sé il dolore e l’umiliazione subiti.
Vengono evidenziati per bocca della stesse le condizioni di sottomissione e disuguaglianza: “Fra tutti quanti sono animati ed hanno un intelletto noi donne siamo la specie più sventurata; per prima cosa dobbiamo, con gran dispendio di beni, comprarci uno sposo e prenderci un padrone del nostro corpo; questo è un male ancora più doloroso dell’altro. E in questo c’è un rischio gravissimo: se il marito lo si prende cattivo oppure buono. Per noi donne, infatti, la separazione è un disonore, né si può ripudiare lo sposo. Giunta, poi, tra nuovi costumi e nuove leggi, la donna deve essere un’indovina per sapere di che natura sia il compagno di letto con il quale dover meglio trattare. E se non riusciamo a conseguire bene tale intento e il marito convive con noi sopportando il gioco senza sforzo, allora la vita è invidiabile, altrimenti bisogna morire”.

Quello di Medea è un personaggio complesso, nell’ambito del quale svariati elementi caratterizzano e veicolano la sua psiche: è una barbara, il suo è un mondo primitivo, arretrato, irrazionale e lontano dalla luminosa “civiltà” greca, è una donna depositaria  di poteri magici e stregoneria.
Facile generare odio.
La Medea di Ovidio assume le tinte di un romanzo, in cui si intersecano i tratti caratterizzanti un racconto d’avventura, la tristezza legata alla passione e il tetro relativo a filtri stregoneschi.
Ovidio ha scandagliato l’anima femminile di conseguenza, anche in questo caso, introspezione, finezza psicologia  e conflittualità che ne deriva, emerge chiara: “Perché ho paura che muoia uno che vedo per la prima volta? Qual è la causa di tanta paura? Scaccia dal tuo petto di Vergine la fiamma che si è accesa, se riesci, infelice! Se ci riuscissi… avrei la mente più a posto. E invece, mio malgrado, un impulso mai prima provato mi trascina, e la bramosia mi consiglia una cosa…  la mente un’altra. Vedo il bene e lo approvo, e seguo il male. Perché, principessa, bruci per uno straniero e sogni nozze con uno di un mondo che non è tuo? Anche se non avesse altro, chi non incanterebbe con quel viso? Almeno il cuore mio… ’ha incantato”.

C’è chi condanna e chi assolve.
Medea è l’emblema della sofferenza e del dualismo insito nell’animo umano.
Rea di avere seguito la parte passionale di sé, essere viva, pensare, scegliere la fuga da un invivibile terra natia, optare per l’amore: sentimenti e azioni che  la conducono ad essere straniera in Paese straniero.
Queste “colpe” messe insieme, divengono fattori scatenanti di un’atroce ferocia.

Se non fosse fuggita, se fosse rimasta, quale sarebbe stato il suo destino?
Poco sarebbe cambiato, la prigione di usi e consuetudini l’avrebbe uccisa.
Molto spesso, pensando agli odierni fatti di cronaca, ci domandiamo com’è possibile massacrare il sangue del proprio sangue.
Forse, non sempre l’ essere donna e l’essere madre collimano, forse, il percorso personale conduce ad uno scontro tra le due.
Sicuramente, con maggior accortezza determinati eventi possono essere impediti.
La fragilità emotiva non esplode da un giorno all’altro, cresce e lancia messaggi che, ahimé, non vengono recepiti.
In sintesi: quanto non vogliamo vedere è inesistente.


Mara Cozzoli

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