Euripide e la tragicità.
Drammaturgo greco nasce a Salamina intorno al 485 circa.
Viene ritenuto il più tragico fra i tragici.
Euripide esprime le contraddizioni di una società in cambiamento: nelle sue tragedie spesso le motivazioni personali entrano in profondo contrasto con le esigenze del potere e con i vecchi valori fondanti della polis.
Parlando di tragico ci rivolgiamo a un alto e fine approccio di pensiero mai espresso dall’uomo, nel quale compaiono contraddizioni che non trovano risoluzione.
Molti studiosi trovano nella tragedia la conseguenza delle crisi che attraversano la società greca con la nascita della polis e di Atene.
Secondo il filosofo Georg Friedrich Meier, scopo della tragedia è ammettere il nuovo all’interno del superato e legittimare l’antico nel nuovo.
Analizzare una tragedia richiede come punto di partenza il pensiero tragico trasportandolo verso una generale scenario del mondo.
Non solo la crisi della società greca, viene inoltre messa in evidenza la precarietà dell’essere umano in relazione a quanto lo circonda., carpendone dunque la fragilità.
L’uomo è consapevole della sua terribile precarietà, questo stato gli permette di rapportarsi all’esistere così come gli dei non sono in grado di fare.
Per quale motivo, Euripide è definito il più tragico?
Del resto se pensiamo a Sofocle le sue opere si concludono con atroci decessi, nell’Alcesti di Euripide si giunge invece a un liete fine.
Chi ha letto anche una sola opera di Euripide, può rendersi conto che oggetto di esse non è la compassione.
Sono ben 18 le tragedie di Euripide che sono giunte ai giorni nostri. Dalla critica è stato giudicato in modo ambivalente: illuminista e irrazionale, non credente e credente in un Dio allo stesso tempo, un soggetto tendente a sminuire i ruolo della donna, ma anche femminista, amante della propria patria, pronto a combattere e pacifista, concettualista ma poeta, poeta incantatore.
Sotto certi punti di vista fedelissimo di Socrate, ma anche vero e proprio oppositore.
La grandezza e la tragicità di Euripide ha origine dal fatto da questo suo essere conflittuale.
Proprio questa collisione di sé, lo portano ad esprimere nel modo più profondo possibile le contraddizioni caratterizzanti la sua epoca.
La capacità di Euripide di plasmare ciò che non ha forma, di dare aspetto al contradditorio, di dare vita a una figura che fondamentalmente non c’è porta alla nascita della tragedia. Ad esempio, Dionisio, dio che assume forma umana, ma che nasce con corna di toro e coronato di serpi.
Negli ultimi anni i vita scrive “Baccanti”.
Tre livelli di coscienza caratterizzano l’eroe tragico: intelligenza umana, sapere e sapienza che porta in sé qualcosa di sacro.
Penteo, eroe della tragedia agendo, riesce a ostacolare temporaneamente il compiersi del destino.
Tutto ciò si evince nei versi finali, quando il coro, a seguito della morte di Panteo, eroe che si contrappone all’ambiguo dio, fatto a pezzi da Agave sua madre portata alla pazzia dallo stesso Dionisio, colui che ne decide la morte: “Molte sono le forme del divino, molte cose impreviste eseguono gli dei; quel che si attende non giunge a compimento, quel che è inatteso, invece un dio può realizzare. Così si conclude questo dramma”.
Nietzsche si pone una domanda: Euripide in tutta l’opera si oppone all’oracolo apollineo, che a sua volta lo ritiene l’uomo più sapiente dopo Socrate. Perché?
La risposta è una : in Euripide vi è la presa di coscienza del conflitto tra dio e uomo; l’uomo entra in rapporto con il divino, così come il dio all’essere umano all’interno di tale conflitto..
A detta di Nietzsche, Euripide ha decisamente ucciso l tragedia, affermando che l’ultima vera tragedia è Edipo Re di Sofocle. In realtà non ha del tutto torto, le ultime tragedie sono Baccanti ed Edipo Re.
Euripide si spegne a Pella nel 406 circa, figlio di una famiglia ateniese rifugiata sull’isola per sfuggire ai Persiani, il suo teatro è considerato come un vero e proprio atelier politico, non chiuso in se stesso ma, al contrario, legato ai mutamenti della storia.
“L’Ellade tutta è tomba di Euripide; ma conserva le ossa
la terra macedone, dov’egli raggiunse il termine della vita:
sua patria è l’Ellade dell’Ellade, Atene. Per aver dilettato
molto con la sua poesia, da molti riceve lode”. Da Antologia Palatina