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La Scrittura: metodo per lavorare con l’interiorità. Di Sonia Scarpante.

| Ganzetti Raffaella |

Non ho mai associato al termine “terapeutico” il significato di un atto risolutorio e definitivo per la persona, ma ho sempre intravisto tra le sue finalità l’indicazione di un percorso atto al sostegno e alla protezione di coloro che vivono un equilibrio precario, sia in relazione al loro benessere fisico sia per la loro delicata condizione interiore, per la propria immagine di sé. Molti sono, a mio avviso, gli espedienti a cui noi tutti ricorriamo per gli effetti terapeutici che essi hanno sulla nostra vita, perché avendone sperimentato l’efficacia li riconosciamo come strumenti utili per migliorare la nostra condizione esistenziale. Oggi si parla con frequenza di “terapia”, anche solo per riferirsi all’effetto salutare di una passeggiata nella natura, o alla disponibilità d’animo per una pratica religiosa, intima o praticata. Diviene “terapeutico” così, nell’uso comune del termine, ogni nostra desiderata attività indirizzata alla creazione di qualcosa, concreta o concettuale, una sorta di proiezione di noi stessi verso alcune specificità creative: teatro, pittura, musica, ballo, scrittura, etc. Valide attività, insieme a tante altre. Quando cito la parola “terapeutica”, in ogni caso, intendo sfruttare al massimo un suggerimento concettuale insito nel termine stesso: quello di tecnica. Nella forza del termine intuisco il percorso che sottintende, la sua capacità di accompagnare la persona, la sua efficacia, attraverso una pluralità di applicazioni individuali, nel giungere a curare. Ognuno di noi è in grado di utilizzare strategie proprie lungo un percorso terapeutico finalizzato a superare una difficile fase di fatica e/o di dolore. La scrittura terapeutica, quindi, indirizza verso una ricerca individuale mirata a incrementare le forze dell’interiorità, al fine di ottenere così un benessere qualitativamente migliore. Molteplici, da questo punto di vista, le strategie cui attingere, perché quando ci focalizziamo sulla cura del singolo, o di un gruppo di singoli, non possiamo limitarci alla difesa cura del solo processo biologico, cercando risposte nella scienza della medicina, in prevalenza, ma dobbiamo anche, o necessariamente, dedicarci a una ricerca ulteriore che tenga anche conto della biografia del soggetto, delle tappe salienti della sua vita. In tal senso un’attenzione particolare al lavoro di scavo interiore da compiere o in atto è fondamentale per imparare ad interpretare tutti i segnali fisici che il corpo spesso manifesta come risposta, cosciente o meno, al disagio vissuto. I segni impressi nel corpo, infatti, ben incarnano la storia di ogni individuo: la lettura e la narrazione intorno al vissuto del corpo aiutano a comprendere non solo le patologie incontrate ma le difficoltà stesse del vivere, quei disagi che se non elaborati dalla psiche, sfociano spesso in malattia conclamata;  Dopo un’esperienza maturata in questi 21 anni, sono giunta io stessa a comprendere nel profondo quanto la pratica della scrittura terapeutica costituisca un valore imprescindibile, un attestato di conoscenza, mai fine a se stessa, in continua espansione.

Sonia Scarpante

La scrittura, al riguardo, deve essere considerata come un altro degli strumenti conoscitivi a disposizione, benché non ultimo e nemmeno risolutivo, ma quanto mai confacente al soggetto e al suo bisogno di sostegno. Nel suo essere insieme percorso e tecnica di conoscenza, essa ci aiuta meglio a svelare e a interpretare anche i sintomi meno appariscenti ma pur sempre legati al corpo, all’involucro dell’essere che sa ben esprimere il linguaggio della sofferenza. La scrittura e il suo svolgersi, prima individuale e poi collettivo, sollecita fortemente una maggiore comprensione dell’altro, una predisposizione più marcata verso chi sta raccontando di sé, un’attenzione più sentita e naturale per chi sta ascoltando, una disponibilità ad accogliere il senso nuovo della vita altrui e della nostra, in un clima caratterizzato da una indiscussa e pervasiva fiducia. Passando attraverso la fatica delle parole involute, che hanno bisogno di essere esternate e comprese, ci riconciliamo con quegli eventi che ci hanno segnato. La scrittura terapeutica, insegnandoci ad entrare nella  sofferenza, anche in quella immagazzinata dal nostro corpo “a nostra insaputa”, è per ognuno fonte di arricchimento, poiché stimola e accresce le possibilità di miglioramento racchiuse in ciascuno di noi. L’opera mia prima: “Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso”, Melusine, Milano 2003 ( S. Scarpante) ha pienamente ispirato tutti i testi seguenti in una continua elaborazione che è sfociata in costruzione attiva e in capacità alla resilienza. Quel primo testo scritto nel 1998, èinfatti, la redazione minuziosa di un’esperienza personale, allora autenticamente sentita e sofferta, in cui la scrittura ha stimolato l’auto-analisi, facendo affiorare riflessioni di grande interesse cognitivo emotivo. Attraverso la narrazione autobiografica ho imparato, fin da allora, a sanare le relazioni affettive, a sciogliere pericolosi nodi esistenziali, a rivelare e a risolvere sensi di colpa, a riconciliarmi con quelle spinte interiori che sin da ragazza mi bussavano dentro inascoltate, e che solo da adulta, dopo un delicato intervento chirurgico, ho saputo accogliere e valorizzare. Grazie alla scrittura terapeutica, gli urgenti interrogativi posti senza preavviso dalla mia malattia, sono stati classificati, sviscerati e imbrigliati affinché non minassero alla base il mio delicato equilibrio psico-fisico e la nuova consapevolezza sulla loro reale identità mi regalasse le premesse per una esistenza nuova. In questo lungo percorso, che personalmente giudico di rinascita, ci sono stati scrittori e scrittrici più significativi di altri: quelli che attraverso le loro opere ci parlano di scrittura come itinerario di salvezza. Isabelle Allende, per esempio. Autrice amata dal grande pubblico per le sue opere narrative, in Paula ci parla del libro che le salvò la vita. Da questa sua opera autobiografica ho imparato molto e Paula è divenuto nel tempo il mio libro di riferimento, quello più presente e citato nei miei corsi di scrittura terapeutica […] Oggi è l’8 gennaio 1992. In un giorno come questo, undici anni fa, ho iniziato a Caracas una lettera per prendere congedo dal mio nonno che agonizzava con un secolo di lotta alle spalle. Alla fine dell’anno si erano accumulate cinquecento pagine in una borsa di tela e capii che non era più una lettera; allora annunciai timidamente alla famiglia che avevo scritto un libro. Com’è intitolato? Chiese mia madre. Facemmo una lista di titoli ma non riuscimmo a metterci d’accordo su nessuno, e alla fine tu, Paula, lanciasti in aria una moneta per decidere. Così nacque e fu battezzato il mio primo romanzo, La casa degli spiriti, e io mi iniziai al vizio irrinunciabile di narrare storie. Quel libro mi salvò la vita. La scrittura è una lunga introspezione, è un viaggio verso le caverne più oscure della coscienza, una lenta meditazione. Scrivo a tentoni nel silenzio e nel cammino scopro particelle di verità, piccoli cristalli che stanno sul palmo di una mano e giustificano il mio passaggio per questo mondo …

 Allende, Paula, Feltrinelli, Milano 1995

Sonia Scarpante, Presidente Associazione “La cura di di sé”

Ganzetti Raffaella

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