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Counseling in Hospice: Aiutare chi aiuta

IMMAGINE IN EVIDENZA DI ARABELLA SALVINI

Il personale curante delle Aziende Ospedaliere, in particolar modo quello che opera nei reparti in cui si devono fronteggiare emozioni ad alto impatto, ad esempio Pronto Soccorso, Oncologia, Rianimazione, Dialisi, Hospice, ecc. è sottoposto ad un carico che oltre che lavorativo è anche fortemente emotivo.

Medici e infermieri, di norma, studiano e lavorano con l’obiettivo di aiutare, guarire, salvare le persone che soffrono. In particolare in questi reparti sono preparati in modo da poter offrire, oltre che le migliori cure mediche anche un supporto emotivo, ascolto, sensibilità e delicatezza.

Immaginiamoci quindi  quanto debba essere impegnativo e incessante  per loro, lo sforzo di non lasciarsi travolgere dalle emozioni così forti dei pazienti ricoverati in queste strutture e da quelle dei loro cari.Soprattutto chi è dotato di grandi capacità nel suo lavoro, chi è mosso da grande entusiasmo e da alti ideali, di fronte all’enorme carico di dolore che queste situazioni comportano, giorno dopo giorno, fa più fatica a distaccarsene.

In certi casi, ad aggravare la situazione potrebbero anche subentrare difficoltà di politica aziendale come sovraccarico lavorativo, personale scarso che deve sobbarcarsi  troppe ore lavorative, mancanza di riconoscimenti sia economici sia personali, scarsa autonomia  nel lavoro e molti altri.

Sottoposti a tutte queste difficoltà alcuni operatori  possono cadere vittima della sindrome del burnout. Questa è una particolare forma di stress lavorativo che porta la persona a una forma di esaurimento psichico ed emotivo tale da indurre chi ne soffre ad un graduale disimpegno emozionale, ad una notevole frustrazione, ad un senso di inutilità fino alla chiusura nei confronti dell’ambiente di lavoro e dei colleghi. Si passa dall’empatia all’apatia. L’unico bisogno, giunti a questo stadio, è quello di allontanarsi dal posto di lavoro.

La sindrome del burnout non riguarda solo il soggetto che ne è affetto ma, come una specie di contagio, si propaga tra i colleghi e coinvolge quindi l’èquipe, l’utenza, l’azienda sanitaria e infine l’intera comunità.

Il Counseling in questo ambito può trovare una delle sue più opportune utilizzazioni  poiché l’operatore in burnout è una persona che si trova ad affrontare un malessere momentaneo, legato principalmente all’attività lavorativa.

Ma che cosa è il Counseling?

Riporto la definizione approvata dall’Assemblea dei soci Assocounseling in data 2 aprile 2011:“Il counseling professionale è un’attività il cui obiettivo è il miglioramento della qualità di vita del cliente, sostenendo i suoi punti di forza e le sue capacità di autodeterminazione.

Il counseling offre uno spazio di ascolto e di riflessione, nel quale esplorare difficoltà relative a processi evolutivi, fasi di transizione e stati di crisi e rinforzare capacità di scelta o di cambiamento.

E’ un intervento che utilizza varie metodologie mutuate da diversi orientamenti teorici. Si rivolge al singolo, alle famiglie, a gruppi e istituzioni. Il counseling può essere erogato in vari ambiti, quali privato, sociale, scolastico, sanitario, aziendale.”

Nel 2009 e nel 2010, grazie al supporto del dirigente e della psicologa, avviai presso l’Hospice dell’A.O.L.Sacco  un progetto il cui scopo era offrire incontri di Counseling al personale curante del reparto. Ogni operatore poté usufruire di incontri individuali settimanali di un ora ciascuno. Sono stati utili da un minimo di 8 a un massimo di 12 incontri. L’obiettivo è stato quello di offrire uno spazio di ascolto in cui poter esplorare le proprie emozioni, ottenere una chiarificazione del proprio disagio e una ritrovata autonomia nella scelta delle azioni da intraprendere per risolvere le proprie difficoltà.

I risultati furono incoraggianti, il clima generale venne influenzato in maniera positiva in tempi decisamente brevi tanto che i risultati del progetto vennero presentati come poster al Congresso Nazionale di Cure Palliative che si svolse a Roma dal primo al 4 dicembre 2010.

Le persone con cui ho avuto modo di lavorare in quel periodo, ma ancora successivamente, mi hanno colpita profondamente per la ricchezza e profondità di sentimenti, per la passione per il proprio lavoro, per la disponibilità non comune all’aiuto. Tuttavia  purtroppo, hanno mostrato tutti la tendenza a posporre i propri bisogni a quelli dei degenti ricoverati. Questo potrebbe sembrare un atteggiamento encomiabile ed indubbiamente lo è ma, alla lunga, potrebbe rivelarsi rischioso.

Essi dovrebbero convincersi che  curarsi del proprio benessere non è certo un atto egoistico e rassicurarsi nella convinzione che quanto stanno facendo non gioverà unicamente a loro stessi ma anche, a cascata, ai pazienti, ai colleghi, all’organizzazione presso cui lavorano, ai familiari e agli amici.

La condizione del burnout è considerata oggi uno dei maggiori fattori di rischio del personale sanitario ed è fondamentale che le aziende, ma anche il personale stesso, si attivino al massimo per monitorare e prevenirne l’insorgenza.

Questa condizione, purtroppo, è in grado di sottrarre operatori preziosi al proprio lavoro che noi, come comunità, non possiamo permetterci di perdere. Per questi motivi io auspico che questo progetto venga replicato in altre strutture e che il benessere degli operatori venga considerato una condizione imprescindibile in tali strutture.

 

Maria Chiara Verderi

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