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Intervista a Lia Sarcedote, presidente e responsabile scientifica BambiniSenzaSbarre.

Sono circa 100 mila i bambini, il cui genitore si trova in carcere, con le conseguenze che ne possono derivare..
Per meglio affrontare e comprendere l’argomento dialogo oggi con Lia Sacerdote, presidente e responsabile scientifica BambiniSenzaSbarre, associazione che opera sul nostro territorio da 18 anni, accreditato Onu, membro di direzione della rete Europea Children of Prisioners Europe con sede a Parigi, soffermandoci sull’importanza del mantenimento della relazione genitore/figlio.

“ Importante” mi spiega Lia Sarcedote  “è riuscire a comprendere cosa è accaduto, come mai il genitore, la mamma o il papà sono assenti, quindi avere dei riferimenti narrabili  ovviamente a seconda dell’età dei bambini.
Altro punto è poterli incontrare: la necessità di frequentare il carcere che è un luogo pensato per gli adulti, un luogo particolare.
Lavoriamo su questo tema da diciotto anni, anzi, anche prima di crearci come associazione. Il nostro lavoro è sempre stato in rete europea, nasciamo in collegamento con l’Europa. Abbiamo così fondato la rete e la nostra associazione. In principio ci siamo trovati un po’ controcultura rispetto al pensiero dominante: diciotto anni fa i bambini aspettavano che il genitore fosse fuori. Nel corso del tempo anche i servizi sociali hanno subito mutamenti, ad oggi nessuno pensa che i bambini debbano stare separati dal genitore.
Devono entrare in carcere, questo secondo noi e secondo i principi fondamentali.
Al fine del sostegno psicologico hanno bisogno di incontrare i genitori.
Il mantenimento della relazione è fondamentale affinché abbiano meno conseguenze negative della sparizione di un genitore: questo è il cuore del nostro intervento.
Il carcere deve essere pronto ad accoglierli e prepararsi all’accoglienza quotidiana di questi bambini, in quanto questo è l’ unico modo per mantenere i rapporti.
Ciò ha comportato cambiamenti  anche per il sistema carcere.
Dal 2014, dopo una gestazione piuttosto lunga abbiamo redatto la “Carta dei diritti dei figli dei detenuti, firmata dalla Garante Nazionale Infanzia e  dal Ministero della Giustizia. È una carta rilevante, sintesi di tutte le convenzioni internazionali ed in continuità con l’ Articolo  9 della Convenzione Onu per l’Infanzia, ovvero il diritto del bambino al mantenimento della relazione genitoriale anche quando il genitore è in carcere.
I diritti divengono bisogni, a loro volta riconosciuti come diritti, liberando questi bambini dal buonismo che di solito sollecitano.
Questi otto articoli con sotto paragrafi, rivelano cosa può aiutare questi bambini e ragazzi a vivere con un genitore in carcere anche per anni e, nonostante tutto, essere seguito dallo stesso.
Fondamentale è l’Articolo 1 : “Quando un genitore è condannato,  sia considerata la misura alternativa come prioritaria”.

L’emergenza sanitaria in corso sta creando notevoli problemi.
Il mantenimento della relazione è impedita dalla pandemia, occorre dire che oggi la tecnologia ha aiutato molto.
Questi ragazzi non devono essere emarginati per via della loro condizione di avere un genitore detenuto.
Siamo tutti in difficoltà, separati l’uno dall’altro. La situazione particolare in cui loro vengono a trovarsi è più grave, ma il mantenimento avviene tramite videochiamate e skype: il carcere si è quindi attrezzato.
Appena sarà permesso, sarà fondamentale che tutto venga ristabilito, anche con la possibilità di integrare i rapporti in presenza con colloqui supplementari, magari quando si è molto lontani come territorio. Capita , purtroppo, che i genitori siano detenuti lontano, questo non dovrebbe avvenire perché uno dei principi dell’ordinamento penitenziario è la territorialità della pena proprio per consentire i rapporti familiari.
A volte per diverse esigenze può avvenire che una persona detenuta sia distante dalla famiglia.
In questi casi, con la tecnologia, anche quando verranno ristabiliti i rapporti in presenza, sarà fondamentale poter  comunque usufruire se necessario di tali strumenti.
Questo è un passo avanti, noi  l’avevamo inserita nella nostra carta : naturalmente non deve sostituire il colloquio in presenza.

Come spiegare a un bambino che il genitore è detenuto e per quale motivo?
In realtà sarebbe meglio non fossimo noi a spiegare, noi non ci sostituiamo mai al genitore libero o detenuto. È molto importante che la trasmissione di questi contenuti avvenga all’interno della famiglia, perché è un dettaglio, ma come sempre i dettagli sono molto importanti, in quanto contengono in sé altri contenuti. Le relazioni affettive, di fiducia devono consolidarsi attraverso la comunicazione della verità narrabile della situazione, che deve avvenire in famiglia. Per cui noi aiutiamo eventualmente l’adulto che fa fatica. Il nostro lavoro è su più piani. Noi lavoriamo con il genitore detenuto che ha difficoltà a raccontare la verità, a seguire un processo di consapevolezza personale.
Vi è poi il genitore libero (nella maggioranza sono donne), che deve sostenere il peso della famiglia e le domande dei figli, e  noi sosteniamo anche lui , ma evitiamo di comunicare cose importanti perché la nostra non è un’assistenza, ed ecco un po’ la differenza tra le persone che vengono chiamate volontari in carcere. Il nostro è un lavoro professionale e il nostro gruppo è formato da pedagogiste, analiste.

Per poter svolgere al meglio la vostra attività, di quale tipologia di personale vi avvalete?
Effettivamente, noi non abbiamo volontari puri, riteniamo che sia importante avere una preparazione, non perché questi bambini siano diversi dagli altri.
Questi bambini hanno bisogno di personale preparato quando entrano in carcere, quando ne varcano la soglia, perché quella è un’esperienza difficile, che va sostenuta,  cercando di rispondere se possiamo farlo, oppure rimandiamo al genitore. Sappiamo quant’è importante questo aspetto, noi non abbiamo dei contenuti da dare a questi bambini, dobbiamo rinforzare il loro contesto familiare perché è di questo che hanno bisogno. Noi abbiamo anche dei volontari in servizio civile che vengono selezionati e devono avere questo tipo di preparazione.
Abbiamo psicologhe o pedagogiste in formazione, tramite convenzioni con le università fanno un loro percorso professionalizzante.
Cerchiamo di evitare il buonismo in quanto questi bambini hanno bisogno di essere riconosciuti nel loro essere soggetto, quindi l’approccio cambia completamente.
Quando vivono fuori dalla società (e sono molto importanti le informazioni che voi potete dare) i ragazzi, i bambini sono fortissimi, vivono la realtà come gli adulti . Certo sarebbe bene non avessero questo tipo di realtà, anche se quest’ultima è fatta di difficoltà.
Questi ragazzi si preparano ad affrontare la vita e non essere imbrogliati.  Spesso a questi bambini viene raccontato che il genitore non è in carcere, sta lavorando, è via per lavoro. Queste cose non fanno bene, non perché ci sia una morale sulla verità, ma perché hanno bisogno di capire il motivo per cui il papà non c’è più.
Quando sono molto piccoli pensano di essere responsabili dell’allontanamento, l’egocentrismo infantile è parte della loro psicologia, ecco perché devono capire che è avvenuto qualcosa.  I bambini sono in grado di capire che ci sono delle leggi piccole, grandi che siano che vanno rispettate. Vi è questo sistema di riflettere su se stessi, su quello che è avvenuto, poi però il papà o la mamma tornano a casa.
Abbiamo dato vita un piccolo librino, uno strumento che diamo ai genitori per aiutare a trovare le parole giuste, testato con università, istituti di psicologia milanesi e carcere, molto pensato ma semplice.
Trovare le parole da dire ai bambini soprattutto se molto piccoli è importante e noi, lo abbiamo creato in virtù delle difficoltà che ne derivano.
Con meraviglia abbiamo visto che funziona, tant’è vero che lo abbiamo pubblicato, ripubblicato e ristampato.  Al momento è a disposizione di coloro che ne fanno richiesta.
Riceviamo anche condivisione con le colleghe psicologhe: occorre sapere cosa succede in carcere, quanto vivono i bambini e che non è un inferno, ma se  educativo, come dovrebbe essere, diventa per i bambini e sempre più quando crescono,  un luogo per incontrare la legalità.
Questo può essere l’aspetto positivo.

Ad accogliere i bambini la polizia penitenziaria.
Chi accoglie i bambini è la polizia penitenziaria. Qui c’è un tema che abbiamo molto affrontato in questi anni ed è uno degli articoli importanti della carta.
La polizia penitenziaria deve essere cosciente delle responsabilità che hanno, loro mal grado, un agente non è uno psicologo e non deve neanche esserlo. Occorre però consapevolezza, alcuni principi da conoscere.
Come conseguenza il dipartimento ci ha dato il mandato per fare una formazione, la prima formazione europea sull’argomento.
Questo per sottolineare anche il lavoro che è stato fatto in Italia.

Non tutti ne sono consapevoli : chiuse le porte del carcere c’è altro.
Il carcere coinvolge l’esterno, la famiglia. A volte sembra che quando qualcuno è in carcere tutto finisca lì. No, si apre un mondo perché la famiglia fuori ne subisce delle conseguenze.
La società civile deve essere sensibilizzata. Per esempio, la scuola è in difficoltà quando conosce la situazione dei ragazzi, i quali non raccontano perché capiscono molto presto che è meglio non dire di avere un genitore detenuto, perché questo è stigmatizzante e crea emarginazione.
Quindi, non bisogna emarginare questi ragazzi  che devono vivere normalmente, anzi essere sostenuti, in quanto l’esperienza di questa solitudine può diventare molto pesante. Ecco perché bisogna parlarne. Occorre sollecitare la trasformazione culturale.

In conclusione,  ringrazio Lia Sarcedote per la disponibilità.

Per maggiori informazioni :  https://www.bambinisenzasbarre.org



Mara Cozzoli

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