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Instabilità Psicomotoria o ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Desease).

Prima di affrontare le problematiche poste per la syndrome instabilità psicomotoria sono indispensabili alcune premesse storiche sull’evoluzione di questa sindrome e dei processi attentivi in rapporto con i modelli e le situazioni ambientali. Un bambino con grande carica energetica e quantità di movimento e d’interessi viene definito iperattivo, per contro i termini instabile psicomotorio e ipercinetico definiscono un comportamento disturbato da un alterato processo di attenzione e risposta agli stimoli ambientali con ipereccitabilità e impulsività, caratteristiche che definiscono la sindrome in trattazione.
Per definire un bambino con grande quantità di attività motoria i termini instabile psicomotorio e ipercinetico risultano quelli più diffusi e sicuramente più usati col significato di sindrome, per contro il termine iperattivo è ambiguo in quanto può significare un eccesso di attività non meglio specificate.
Le classificazioni internazionali e in particolare le anglosassoni, riferendosi alla sindrome ipercinetica accettano in questo raggruppamento anche casi in cui al sintomo principale e caratteristico si riscontrano altri sintomi quali disturbi dell’organizzazione neuro-motoria, deficit cognitivi ed altri.
L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 1990 adotta per la sindrome il termine ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Desorder), definizione che se rimarca l’importanza del disturbo dei processi attentivi e dell’iperattività motoria, non menziona la rilevanza della relazione con l’ambiente, caratteristiche meglio definite dal termine instabilità psicomotoria.
Gli autori inglesi non accettarono l’impostazione francese e diedero il nome di sindrome ipercinetica a manifestazioni d’incontinenza motoria associata a turbe del comportamento sociale, riconoscendone una causa organica da eziologie diverse.

La scissione tra la scuola francese e quella anglosassone sembra imputabile alla maggiore importanza data all’aspetto relazionale (scuola francese) rispetto a quello motorio (scuola anglosassone) e rispettivamente ad una ipotesi patogenetica con prevalenza relazionale ed una con prevalenza organica.

Il termine che mi sembra più rappresentativo è l’instabilità psicomotoria che traduce una disorganizzazione di base consistente nell’incapacità dell’individuo a mantenere un armonico rapporto psichico e motorio tra le sue intenzioni e gli stimoli ambientali.

Nel 1897 compare la prima descrizione clinica della sindrome per opera di Bourneville in bambini affetti da incapacità a contenersi sul piano motorio, con difficoltà a perseverare negli intenti e con un progressivo lieve ritardo nell’apprendimento.

Ai primi del 1900 altri autori francesi localizzarono le manifestazioni principali in comportamenti turbolenti e asociali con frequenti manifestazioni eteroaggressive.

La prima descrizione clinica di una sindrome che include i presupposti di disturbi attentivi e di incontinenza motoria compare nel 1914 ad opera di Heuyer, ma è Dupré (1925) che propone il termine di instabilità psicomotoria quale entità sindromica caratterizzata dalla presenza di disturbi psichici causa della iperattività. In tale sindrome Dupré descriveva disturbi attentivi, instabilità dell’umore, anomalie del comportamento, aggressività e sintomi d’incoordinazione motoria, facendo confluire nella sindrome anche sintomi da deficit dei processi organizzativi neuromotori.

Nello stesso anno, con l’opera L’enfant turbulent, Wallon pose le basi per una chiara identificazione della sindrome e descrisse con accuratezza le caratteristiche psicologiche dell’instabile. Questo autore attribuì particolare valore ad un disturbo dell’organizzazione emotivo- affettiva nel primo anno di vita.
Homburger (1926) affrontò lo studio dei bambini iperattivi e si orientò verso una genesi di disturbo organizzativo di tipo extrapiramidale.
De Sanctis (1933) in una revisione della casistica riconobbe una forma primaria (congenita) a genesi costituzionale e forme secondarie (acquisita) di significato sintomatico dovute a vari disordini psichiatrici.

Chorus già nel 1942 aveva affermato che l’aspetto motorio e relazionale non potevano che coesistere, essendo due aspetti di una sola disfunzione, articolati fra loro in diversificate manifestazioni sintomatologiche.

Anche Ajuriaguerra condivide il pensiero di Chorus e distingue una forma con prevalente espressività motoria (forma subcoreica) ed una forma con prevalente da disturbi relazionali (forma caratteriale), pur riconoscendone costantemente il duplice aspetto e le molteplici sfumature.

Gesel e Amatruda (1947) hanno considerato la genesi del disturbo attentivo sostenuta dal “Minimal Brain Desease”, a sua volta causa della Minimal Brain Disfunction. Tale ipotesi venne abbracciata da numerosi autori per diversi decenni ed è stata abbandonata solo recentemente dalla maggior parte dei ricercatori. Laufer e Denhoff (1957) ritennero responsabile dell’ipercinesi disturbi organizzativi di strutture della formazione reticolare.

Nel 1971 Weiss ed altri considerano l’instabilità generata e sostenuta da un disturbo dell’attenzione e definiscono caratteristici della sindrome i seguenti quattro sintomi: iperattività, distraibilità, impulsività e ipereccitabilità.

Secondo Wender (1971) lesioni (o disfunzioni) della formazione reticolare e in particolare delle strutture reticolari ascendenti, determinerebbero una deplezione dei neurotrasmettitori noradrenalina e dopamina; queste sarebbero la causa di una diminuzione dell’attività inibitoria delle formazioni reticolari ascendenti con la conseguenza di iperattività e disturbo dei processi attentivi; la deplezione si risolve con la somministrazione di psicoanalettici.

Gli studi dei neuropsicologi ed in particolare quelli della scuola di Luria, hanno dimostrato l’esistenza di strutture sottocorticali (formazione reticolare, ippocampo, alcuni nuclei dell’ipotalamo, dello striato e del talamo) che, tra le molte e complesse funzioni, svolgono anche quella di «orientamento» finalizzato al rapido centraggio attentivo sullo stimolo per un adattamento comportamentale consono al valore biologico dello stimolo. Questo valore dipende, nelle prime fasi della vita, da fattori costituzionali geneticamente predisposti (il sussulto e le risposte di difesa a stimoli nocicettivi), ed in secondo tempo anche dal tipo e quantità di esperienze vissute che permettono un confronto valutativo con lo stimolo in atto per un adeguato comportamento.

Nelle forme congenite questa situazione potrebbe essere sostenuta da una ipereccitabilità sottocorticale e reticolare (claustro e locus ceruleus) anche a stimoli di basso valore biologico, con la conseguenza di un eccesso di intensità e frequenza di risposte motorie, come si riscontra per l’attività spontanea e per i riflessi automatici nei primi mesi di vita in soggetti affetti da questo disturbo.

A tale proposito vanno ricordati gli studi di Moruzzi e Magoun (1949) sull’importanza della sostanza reticolare nei processi attentivi.

Anche altri neurofisiologi considerano che la sostanza reticolare sia un punto di arrivo e d’integrazione di feedback tra la sostanza reticolare stessa, il sistema limbico, il talamo, l’ipotalamo e varie aree corticali. Esisterebbe un complesso filtraggio degli stimoli operato dalle sopraddette strutture, con lo scopo di lasciare passare solo quegli stimoli ritenuti compatibili alla situazione in atto.

Rosano e Galletti (1980) hanno ravvisato il problema in un disturbo della integrazione percettivo- motoria.

La sintomatologia può essere presente fin dai primi mesi di vita (forma congenita) oppure comparire nel corso del 2°- 4° anno di vita (forma acquisita), con netta prevalenza nel sesso maschile. Nella forma congenita, le manifestazioni caratteristiche potrebbero essere imputabili ad una anomala organizzazione dei processi attentivi e specificatamente quelli visivi nel gioco fovea- periferia e retina-sistema limbico o ad una particolare reattività del locus ceruleus nel tronco dell’encefalo. Kinsbourne (1991) distingue due forme, una (ipofocusing) caratterizzata dalla difficoltà a permanere a lungo su un compito, una seconda forma (overfocusing) consistente nel rimanere centrato su una esperienza precedente e non riuscire così a centrarsi sufficientemente sull’esperienza in atto.

L’instabilità acquisita, a comparsa tra il 2°- 4° anno di vita, presenta caratteristiche similari alla congenita; una ipotesi patogenetica di questa forma potrebbe dipendere da un contrasto tra l’alta vitalità ed affermazione del bambino e le caratteristiche limitanti in senso evolutivo dei modelli ambientali, per atteggiamenti svalutativi, rigidi o eccessivamente limitanti nel processo di autonomia. A tale conflittualità potrebbe essere imputabile l’affermarsi dell’instabilità, come risposta ad un ambiente contraddittorio alla spinta evolutiva caratteristica di quel bambino, situazione che determinerebbe la perdita degli interessi stimolati dall’adulto ed una particolare reattività nei confronti dell’ambiente familiare e sociale.

La forma congenita appare essere legata a caratteristiche costituzionali. Il dato saliente sembra essere la mancata capacità di selezione degli stimoli, che determina una frequente ed esagerata risposta motoria ad ogni piccola modifica ambientale. A volte l’impulsività motoria si manifesta anche in assenza di apparenti cause ambientali.

Nelle forme acquisite è frequente la comparsa nel corso del 2°-4° anno di vita di una ipereccitabilità e ipermotricità che sembrano avere la loro genesi a livello corticale e limbico. Dall’analisi dei casi riscontrati appare l’importanza di caratteristiche personali ad alta carica vitale, desiderio di affermazione della propria identità e autonomia in contrasto con messaggi ambigui e contraddittori da parte dei modelli che assumono in sé caratteristiche ansiose e iperprotettive alternate o commiste ad atteggiamenti rifiutanti e svalutanti.

La comparsa in questo periodo è comprensibile in quanto proprio nel 2° anno di vita il bambino presenta una instabilità psicomotoria fisiologica a causa dell’esplodere delle proprie potenzialità in un continuo anelito di autonomia e di conquista che viene contenuto dai limiti posti dalle figure parentali e dal loro bisogno di mantenere la funzione di protezione, di educazione e di guida.

È ipotizzabile che questi contrasti costituiscano il nucleo della disfunzione sostenuto da un eccesso di emozionalità tale da ipereccitare i processi attentivi agli stimoli ambientali, con la conseguenza di un sovraccarico di informazioni in arrivo non adeguatamente filtrate in rapporto alle reali intenzioni. La conseguenza sarebbe la scarica dello stato di tensione (dovuta in parte al livello emozionale e in parte al sovraccarico informativo) tramite una grande quantità di attività motoria.

Sia nella forma congenita che nell’acquisita, le caratteristiche comportamentali appaiono essere governate da due complessi meccanismi che, anziché essere tra loro integrati entrano in competizione: i processi attentivi agli stimoli ambientali e i processi concentrativi sugli intenti.

Nei primi mesi di vita il bambino, per il suo livello maturativo, è particolarmente protetto dal pericolo di una inflazione di stimoli, ma, man mano acquisisce esperienza, diminuisce progressivamente il filtraggio automatico ed aumenta la capacità di selezione attentiva per gli stimoli ambientali.

Col progredire dell’età tutte le informazioni in arrivo vengono selezionate sulla base del valore biologico, delle esperienze precedenti e degli interessi dell’individuo; il processo attentivo che ne deriva è regolato dal fine gioco di questi fattori. Va sottolineato che il processo attentivo non deve considerarsi sinonimo del processo concentrativo; l’attenzione generica (arousal) è la disponibilità agli stimoli ambientali; l’attenzione selettiva è il centraggio sull’informazione in arrivo, la presa di coscienza e la sua valutazione; la concentrazione, processo di competenza delle intenzioni e motivazioni, permette la permanenza su un progetto che viene intenzionalmente realizzato.

Normalmente esiste un continuo e reciproco adattamento tra le due funzioni a seconda delle situazioni, e il predominio dell’una o dell’altra dipende dalla situazione in atto. Ad esempio, se ci si trova in una situazione non nota e potenzialmente pericolosa, si presta attenzione a qualsiasi stimolo ambientale e si è poco disponibili a processi concentrativi, se non dopo aver conosciuto e valutato la situazione. Per contro, in casi d’intensa motivazione a perseguire obiettivi programmati, la concentrazione raggiunge alti livelli, mentre tende a diminuire l’attivazione delle strutture deputate ai processi attentivi.

Nell’instabile psicomotorio è compromessa la maturazione dell’equilibrio tra i due processi, con netta prevalenza dell’attenzione (condizione di sovra-eccitazione) e carenza della concentrazione; l’instabile presenta un’attenzione esaltata ed una labilità concentrativa per l’intervento di stimoli distraenti (distrattori). Una caratteristica peculiare è rappresentata anche dalla sua intensa ipereccitabilità, iperattività e impulsività.

La sintomatologia assume aspetti diversi a seconda dell’età. Nelle forme congenite il lattante presenta con frequenza uno stato di eccitabilità, d’ipermotricità e d’irritabilità, i riflessi arcaici si scatenano scatenano facilmente e con frequenza anche per stimoli di basso valore soglia, facile il pianto, frequenti i disturbi gastro-intestinali, la nutrizione è spesso difficoltosa, il ritmo del sonno disturbato da agitazione e risvegli ripetuti, i riflessi miotattici sono esaltati.

È ben comprensibile come le figure parentali possano vivere con apprensione e ansia queste prime fasi della vita e instaurare facilmente comportamenti inadeguati a loro volta potenzianti lo stato di eccitabilità del lattante. Le acquisizioni del processo neuro-maturativo vengono raggiunte nei limiti della norma ed a volte anche in tempi precoci.

Nel periodo dall’anno ai tre anni le acquisizioni motorie, le attività cognitive ed il linguaggio rientrano nella norma, ma la motricità inizia a manifestare una serie di difficoltà ad essere contenuta e adeguatamente rapportata alle situazioni. I bambini in questo periodo sono in attività continua, non stanno mai fermi, anche nelle attività sedentarie presentano una incapacità a mantenere la postura liberamente scelta, i sinergismi sono esaltati e a volte controproducenti rispetto al fine, frequenti i movimenti parassiti. L’attenzione è molto esaltata e qualsiasi stimolo tende a distogliere la concentrazione dall’attività in corso.

Per questo motivo, durante le attività di grande movimento, l’instabile rompe involontariamente oggetti, urta ostacoli e cade facilmente, non per mancanza d’equilibrio o di abilità motoria, ma per esplosività dell’azione e per l’improvvisa sospensione o modifica degli schemi motori posti in atto. Complessivamente l’attività motoria si presenta disordinata, brusca, interrotta ed a volte veramente caotica. I riflessi miotattici, da esaltati nel corso del primo anno, ora si normalizzano.

È proprio in questo periodo che iniziano a presentarsi le problematiche relazionali. La loro esuberanza motoria, la facile distraibilità ed i danni provocati, determinano facilmente da parte delle figure parentali tentativi di imposizione di regole, inadeguate alle caratteristiche neurofisiologiche del bambino, e un continuo incalzare di rimproveri e di richiami ad un comportamento più tranquillo. Questo tipo di atteggiamento determina un forte contrasto tra le caratteristiche tipologiche del bambino e le richieste di adattamento, con la conseguenza di un vissuto frustrante per la scarsa accettazione da parte dell’adulto, fattore che pone le basi per lo strutturarsi, in particolare nei periodi successivi, di frequenti manifestazioni di aggressività reattiva.

Dai tre ai sei anni l’instabilità assume toni più marcati: le caratteristiche motorie del periodo precedente migliorano, la concentrazione si fa più labile specie se vengono richieste attività sedentarie e soprattutto se queste si svolgono in gruppo, scadente è l’interesse a strutturare giochi che richiedono calma e concentrazione, frequente il disinteresse per le costruzioni ed il disegno.

In famiglia si accentua l’intolleranza per le frustrazioni e compaiono manifestazioni reattive alle richieste di rispetto delle regole.

Nell’ambito scolastico il rapporto con gli altri coetanei è sempre molto desiderato e ricercato, ma l’eccessiva esuberanza, lo scarso controllo motorio e l’invasività generano problemi di relazione, che frequentemente sfociano nel rifiuto dell’instabile da parte dei compagni di scuola.

La risposta costante a questi rifiuti è il dispetto, la provocazione e spesso anche le manifestazioni esagerate di aggressività che, anche se eccessive, sono sempre motivate e indirizzate all’individuo che le ha provocate. I richiami continui delle educatrici e l’atteggiamento rifiutante dei compagni rafforza l’instabilità e le manifestazioni di rivalsa creando così un circuito chiuso autosostenentesi che risulta difficile interrompere.

La latenza diventa il periodo più delicato dell’instabile per il profondo conflitto tra la sua spinta ad esprimere senza alcuna mediazione la propria emozionalità e il bisogno di realizzarsi con obiettivi personalizzati nell’ambito sociale d’appartenenza. Questo conflitto provoca un acutizzarsi dell’incapacità a contenersi, dei movimenti parassiti, dei sinergismi esaltati, ed a volte anche la comparsa di balbuzie e di tic. Per il medesimo motivo si possono riscontrare anche disturbi della grafia, dell’ortografia e della lettura. Nei casi privi di balbuzie il linguaggio tende ad essere rapido, interciso, a volte esplosivo e con frequenti variazioni del tono e dell’intensità.

A scuola, dopo i primi 2-3 anni di ottimo apprendimento, tendono a presentare lacune, non per una carenza dell’intelligenza, che permane sempre pronta e viva, ma per la difficoltà a seguire con costanza il piano di studio.

Le difficoltà di rapporto con i compagni tendono ad aumentare e l’aggressività può essere espressa per futili motivi o in assenza di cause apparenti, provocando un più marcato isolamento. Si possono riscontrare anche rapidi passaggi da stati di esaltazione a stati depressivi.

Nella fase prepubere e adolescenziale i sintomi motori si riducono, ma permangono l’instabilità emotivo-affettiva, le difficoltà di relazione, l’incertezza nelle scelte e i frequenti cambi d’interesse e di progetti. Vi può essere una ripresa di motivazione scolastica con netto miglioramento della resa, fatto che sottolinea l’integrità dei potenziali intellettivi.

Quello fino ad ora descritto, è l’iter che caratterizza la media delle instabilità congenite. Le forme acquisite si discostano di poco se le cause hanno agito nei primi anni di vita e se la tipologia del bambino era predisposta alla strutturazione di tale sindrome.

È importante analizzare i singoli sintomi. La iperceccitabilità agli stimoli appare essere il fattore principale di promozione dei sintomi successivi. Al riguardo del sintomo iperattività, vanno differenziate quelle organizzazioni motorie che presentano carenze del processo neuromaturativo, sostenute da cause organiche o da atteggiamenti inadeguati dei modelli genitoriali che agiscono su particolari organizzazioni della personalità infantile; tra queste va citata l’Insufficiente Inibizione Motoria (Russo, 1987), sindrome ben distinguibile dall’instabilità e con la quale viene con frequenza confusa: l’attività motoria dell’instabile è adeguata dal punto di vista neuromaturativo, buona è la coordinazione e l’integrazione somatica, ma a volte l’attività si scompagina e può assumere aspetti falsamente immaturi a causa dei disturbati processi attentivi e/o per eccesso di carica emozionale; per contro nell’insufficiente inibizione motoria l’atto presenta nette carenze maturative per deficit del processo d’inibizione alla diffusione dello stimolo.

Anche per il sintomo disturbo attentivo, si riscontrano marcate differenze nei soggetti iperattivi: in alcuni domina l’attenzione esaltata ad una pluralità di stimoli ambientali che condizionano la perdita della permanenza dell’intento; in altri la distraibilità è condizionata prevalentemente dal variare improvviso di motivazioni poco correlabili alla situazione ambientale.

Rosenthal e Allen (1978), nella loro ricerca sui bambini ipercinetici, hanno evidenziato la notevole variabilità delle risposte al compito proposto a seconda del tipo di distrattore, della durata, della difficoltà, della situazione sfondo e soprattutto della disponibilità motivazionale del bambino.

A tale riguardo, ci si deve chiedere se la distraibilità del bambino ipercinetico dipende da un alterato livello di attivazione (arousal) dei processi attenzionali, a causa di una carente funzione della formazione reticolare attivante i processi attentivi (Lynn, 1966), che richiederebbero una ricerca di nuovi stimoli al fine di mantenere alta l’arousal, o dipende da una carente soddisfazione dell’attività in atto e la conseguente ricerca di nuovi stimoli ad effetto più gratificante o dipende dall’esigenza di una continua pluralità d’interessi (Douglas, Parry, 1983; Prior, Wallace, Milton, 1984).

Zentall e Zentall (1976) hanno dimostrato un aumento della iperattività e distraibilità in ambienti scarsamente stimolanti.

Nella terapia psicomotoria dell’instabile (Russo, 1988) si è potuto diminuire notevolmente l’effetto dei distrattori, mantenendo alta la carica emozionale in attività motivanti di grande movimento e con rinforzo gratificante. La scarica motoria intensa e prolungata permette successivamente attività più tranquille e diminuita distraibilità.

Il sintomo impulsività, significativo dell’incapacità del momento di riflessione sull’opportunità di scelta del comportamento, potrebbe essere sostenuto da un eccesso di carica emozionale, che richiede una immediata risposta tramite l’azione. Gli effetti dell’impulsività possono avere diverse espressività e significati: da una difficoltà di controllo dell’atto realizzato in modo brusco e poco calibrato, a risposte eccessivamente aggressive rispetto alla causa scatenante.

Oltre ai sintomi base vanno presi in considerazione l’intolleranza alle frustrazioni, la perseveranza nella affermazione della propria persona e la fiducia del sé. L’intolleranza alle frustrazioni, espressa in modo più conclamato nelle limitazioni motorie, è sostenuta dalla incoercibile necessità di realizzarsi, sia in modo diretto, sia mettendo in atto adeguate strategie; si instaura con l’ambiente un gioco perverso di rivalse nei confronti dei frequenti richiami, punizioni da parte dell’adulto e isolamento da parte del gruppo dei coetanei. Più intensa e frequente è la frustrazione, più rimarcata è la risposta disturbante e aggressiva dell’ipercinetico.

La perseveranza nella realizzazione del sé parrebbe contrastare con le sopracitate caratteristiche dell’instabile, ma in realtà la perseveranza deve intendersi nella capacità di non demordere, nonostante i numerosi ostacoli, dal desiderio di realizzarsi, anche partecipando alle attività del gruppo: l’instabile non si isola, la sua carica vitale è alta e cerca di primeggiare sugli altri e di mettersi in evidenza con varie modalità. La perseveranza nella affermazione del sé nell’instabile riesce a mantenere, nonostante le frequenti frustrazioni ambientali, il desiderio di partecipazione alla vita sociale, pur con le debite rivalse.

Rimarcante è la differenza con l’insufficiente inibizione motoria, nella quale la fiducia del sé è decisamente precaria, scarso l’impegno nelle attività del gruppo e frequente l’isolamento e l’evasione fantastica.

Tutti i sintomi citati sono diversamente presenti nell’iperattivo, tali da definire una numerosa gamma di sfumature, ma al fine di una corretta impostazione sarà indispensabile differenziare e separare i quadri di instabilità in individui con normali potenzialità evolutive, dalle iperattività riscontrabili come sintomo associato in altre sindromi, specie quelle a genesi organica.

Dal punto di vista nosografico sono del parere di riservare la denominazione sindrome di instabilità psicomotoria solo a quegli individui di normale potenzialità evolutiva, sia motoria che intellettiva, che presentino un serio problema d’integrazione tra i processi attentivi e quelli concentrativi. Indispensabile sarà la diagnosi differenziale con altre sindromi che presentano nel quadro sintomatologico un marcato sintomo d’instabilità. Tra queste possiamo citare alcune forme di ritardo psicomotorio, di psicosi, di disarmonie regressive, di varie epilessie, di dismetabolismi interessanti il sistema nervoso centrale, d’insufficienza cerebellare, di encefaliti, di intossicazioni croniche (piombo, fenotiazine, benzo-diazepine, fenobarbital, idantoinici) e varie malattie neurologiche.

La diagnosi differenziale con la sindrome da insufficiente inibizione motoria (Fig. 3) è importante sia per l’intervento delle cause e sia per il tipo di approccio psicomotorio.

Da quanto sopra esposto risulta tuttora carente l’identificazione del preciso meccanismo patogenetico del disturbo attentivo, ma è possibile differenziare forme cliniche in cui si riscontrano sintomi commisti di diverse sindromi da cause varie, da sindromi nelle quali sono riscontrabili solo sintomi specifici dell’instabilità.

Denckla e Heilman (1979) sostengono che il solo sintomo iperattività non è sufficiente a connotare una sindrome, in quanto questo sintomo è comune a diversi quadri patologici. Risulta indispensabile e prioritario definire le caratteristiche della sindrome e differenziarle da tutte quelle diverse sindromi in cui l’instabilità è un sintomo tra altri.

La sintomatologia ufficialmente riconosciuta per la sindrome è: ipereccitabilità, iperattività, impulsività e disattenzione, alla quale è frequentemente associata l’intolleranza alle frustrazioni, la mancanza di autocontrollo e la difficoltà di adattamento alle regole, specie a quelle che richiedono un contenimento motorio. Per il riconoscimento della sindrome l’ICD1O e il DSM-IV richiedono che il complesso sintomatologico sia pervasivo e l’insorgenza entro i 7 anni; per contro numerosi autori fissano i limiti dell’insorgenza a 5 anni.

Russo Roberto Carlo

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