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Autismo e Sindromi con Spettro Autistico

A questo gruppo appartengono tutte quelle forme in cui il nucleo patogenetico, agente nei primi tre anni di vita, è costituito da una grave problematica nella relazionale sociale sostenuta da diverse cause ipotizzate: fattori organici, mutazioni genetiche, alterazioni metaboliche, carenze neurofunzionali, inadeguati modelli di riferimento, fattori che condizionano una difficoltà da parte dei modelli (anche potenzialmente adeguati) di rapportarsi alle caratteristiche neurobiologiche che si differenziano da una norma evolutiva.

Il comportamento autistico sarebbe secondario ad una distorsione del processo evolutivo o ad una atipia di alcuni processi di sviluppo: attaccamento alla figura materna, separazione- individuazione, conquista della propria indipendenza, adattamento alla realtà nel suo duplice aspetto gratificante-frustrante, acquisizione di competenze, socializzazione. Il bambino non riesce, o lo fa in modo incompleto o alterato, a rapportare le acquisizioni del processo neuromaturativo (normale o patologico) alle stimolazioni ambientali, con la conseguenza di una mancata unicità tra le proprie condizioni vitali ed il significato che queste possono assumere nel rapporto con l’ambiente.

Il momento di distorsione o di rottura della relazione con l’ambiente può essere presente alla nascita o verificarsi ad un dato livello evolutivo ed ivi strutturare il proprio nucleo patogenetico, oppure può essere costituito da diversi livelli evolutivi ognuno dei quali contribuisce a organizzare un complesso quadro sindromico. Le manifestazioni del disturbo autistico possono esser presenti  già verso la fine del primo anno, più frequentemente nel corso del secondo o terzo anno o comparire in età successive con sintomatologie più complesse.

Le patologie riferibili a questo gruppo sono sindromi da alterazione globale dello sviluppo tra le quali possiamo menzionare l’autismo, le disarmonie evolutive di tipo psicotico, le psicosi disintegrative, i gravi e precoci disturbi del comportamento e ogni altra manifestazione sindromica che determini una alterata comunicazione di stimolo-guida tra l’adulto e il bambino.

La problematica fondamentale e caratterizzante queste forme cliniche, determinate da cause diverse, è l’assente o alterato disturbo della comunicazione verbale e corporea.

Epidemiologia

 La frequenza varia a seconda degli autori tra circa 1/10.000 a 13/10.000, con una media del 5/10.000 secondo Fombonne (1995). Prima degli anni 1970 la media oscillava attorno al 4/10.000 nell’ultimo decennio ha superato il 10/10.000. Gilberg nel 1984 ha riscontrato una frequenza a Göteborg del 4/10.000 che è salita al 11,6/10.000 nella stessa città nel 1991, ha interpretato questa discrepanza dovuta all’aumento degli immigrati ritenuti portatori di fattori predisponenti; l’autore non ha preso in considerazione come elemento facilitante un disequilibrio evolutivo una precaria conduzione familiare sostenuta da altri fattori: la lingua, il diverso tipo di vita, le difficoltà economiche, la necessità d’impegno in una situazione sociale molto diversa dalle proprie origini

Circa 1/4 dei bambini autistici presenta un livello intellettivo nella norma, mentre il restante evidenzia un livello inferiore o grave. Il rapporto maschi-femmine è di circa 4 a 1.

Attualmente le diagnosi di autismo sono notevolmente aumentate, ma è da ritenere che tale aumento sia dovuto in parte a maggiore disponibilità diagnostica spesso valutata solo con applicazione di test senza conoscere le modalità di vita del bambino nella sua famiglia e nell’ambito sociale spesso esclusivo verso l’emigrato; in parte per il reale aumento delle sindromi autistiche in una società spesso caotica e dissociante per la presenza di situazioni sfavorevoli ad una norma evolutiva.

Fino alla fine degli anni 80 l’incidenza era di 4-5 casi su 10.000; verso la fine degli anni 90 l’incidenza è salita al 10-15 casi su 10.000. In Inghilterra su un campione di 56946 bambini dai 9 ai 10 anni sono stati riconosciuti 116 casi di autismo ogni 10.000 (1,16%) (Lancet, 368, 210-215, 2006).

Patogenesi

 Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a diversi e spesso contrapposti indirizzi nell’interpretazione eziologica delle psicosi infantili. A partire da De Sanctis e da Kanner sempre più numerosi autori hanno dato il loro contributo di studio, alcuni riconoscendo esclusivamente una genesi psicogenetica per un precoce alterato rapporto ambiente-bambino (in particolare madre- bambino) (Bettelheim, Klein, Mahler, Winnicott); altri individuando le cause in una serie eterogenea di lesioni o disfunzioni neurologiche o alterazioni genetiche (Bergman, Goldstein, Damasio, Frith,); altri (Brazelton, Bender, Bower, Stern, Trevarthen, Tustin) sostengono cause miste a partenza da una situazione disfunzionale che determini una impostazione organizzativa neurologica tale da favorire un difficoltoso e alterato rapporto con l’ambiente.

La diversità di interpretazione sulla genesi e di conseguenza sulla classificazione, ha creato incertezze e indirizzi sia per le diverse impostazioni teoriche, sia per le modalità valutative, a volte esclusive e rigide, sia per le diverse impostazioni terapeutiche psicologiche, psicomotorie, educative, farmacologiche, condizionanti, tutti centrati sul bambino e quasi sempre prive di appoggio psicologico ed educativo ai genitori e di collaborazione e indirizzo alle figure educative e scolastiche.

Classificazione nosografica

Oltre alla diversa interpretazione della genesi, si riscontra una confusione nell’uso dei termini: negli anni 1940-1960 l’uso privilegiato era autismo, poi psicosi, a partire dagli anni 80 autismo. Nel 1968 il Congresso Internazionale promosso dall’OMS riconosceva, sotto il termine «psicosi del periodo infantile», quattro gruppi: psicosi infantili (insorgenza nei primi due anni di vita) che inglobava anche la definizione di «autismo», psicosi disintegrative (insorgenza dopo i due anni e preceduta da una evoluzione nella norma), schizofrenie infantili (a insorgenza nel periodo pre-pubere) e altre psicosi (tra queste erano comprese quelle di innesto su forme organiche). Attuamente il DSM4 e l’ICD10 menzionano il gruppo «sindromi da alterazione globale dello sviluppo» o «sindromi da alterazione pervasiva dello sviluppo». L’ICD10 in questo raggruppamento comprende: autismo infantile (comparsa entro i tre anni e definita da grave anomalia del comportamento sociale, della comunicazione e della reciprocità emozionale con l’altro), autismo atipico (si differenzia dalla prima forma per l’insorgenza dopo i tre anni e per l’incompletezza delle caratteristiche autistiche), sindrome di Rett che non dovrebbe assolutamente essere inclusa in questo capitolo per la sua dimostrazione (1999) di anomalia genetica che condiziona il comportamento, sindrome disintegrativa dell’infanzia di altro tipo (assimilabile alla forma disintegrativa del 1968), sindrome  di Asperger, sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati (ancora molto discussa la sua appartenenza a questo gruppo), altre sindromi da alterazione globale dello sviluppo psicologico.

A complicare l’inquadramento nosografico sono state riconosciute, proposte dalla scuola francese, ma non universalmente accettate, altre entità. Le disarmonie evolutive (Misé) e tra queste quelle di tipo psicotico; queste forme hanno come elemento caratterizzante un «Io a mosaico» che induce un comportamento a volte simil-normale a volte di tipo autistico a seconda della situazione ambientale. L’insorgenza delle manifestazioni è successiva ai tre anni, assume caratteristiche  diverse nei soggetti che ne sono affetti, ma la genesi del problema (così come frequentemente riscontrato nel processo terapeutico) e individuabile nei primi due anni di vita. Probabilmente queste disarmonie potrebbero essere avvicinabili al gruppo delle psicosi disintegrative, ma con un migliore funzionamento mentale. In questi ultimi anni è comparso il termine Sindromi con Spettro Autistico per riferirsi a tutte quelle sindromi che presentano sintomi autistici, ma non completamente invalidanti la comunicazione.

 

A tutt’oggi il problema diagnostico, nosografico ed eziologico delle psicosi infantili, dell’autismo e delle disarmonie evolutive psicotiche, tutte inseribili nel gruppo «sindromi da alterazione globale dello sviluppo» o «disturbi pervasivi dello sviluppo», sono ancora soggette a future modifiche sulla base degli studi più recenti e di quelli futuri. Sembra infatti che la controversia tra genesi organica e relazionale di queste sindromi sia un campo ancora soggetto a nuove impostazioni e modifiche nosografiche. Questi contrasti di impostazioni hanno una loro significativa importanza in quanto l’approccio terapeutico coinvolgerà metodiche diverse a seconda dei fattori eziopatogenetici che hanno determinato le sindromi. Per semplificare il discorso, a partire da ora, userò solo il termine autismo per riferirmi a tutta la complessità delle diverse forme cliniche inquadrabili sotto la voce «disturbi pervasivi dello sviluppo».

A parte la perenne diatriba su questo o quel nome, sull’inclusione o esclusione da un gruppo nosografico e sulla diversa genesi, ci potremmo domandare quale fattore comune possa collegare le diverse sindromi sopra citate, quale sia la leva principale e comune a tutti i casi, che impedisce al bambino di rapportarsi agli altri, di socializzare, di comunicare e di acquisire un discreto rapporto di realtà.

Sintomatologia e Eziopatogenesi

 Nell’osservare i bambini affetti da autismo o da altre forme di psicosi, i sintomi evidenziabili sono numerosi, variamente espressi e commisti: disturbo della relazione, difficoltà ad imitare l’adulto, emozionalità inadeguata alla situazione, uso bizzarro del corpo, disturbi dell’oralità, attività autostimolatorie, sguardo sfuggente, assenza di gesti anticipatori, carenza di adattamenti intensionali al corpo dell’altro, mancanza d’immaginazione, uso peculiare degli oggetti, resistenza al cambiamento, particolarità delle risposte visive e uditive, anomalie o assenza della comunicazione verbale, corporea e del livello di attività, uniformità delle prestazioni intellettive. Alcuni comportamenti risultano particolarmente evidenti e significativi: l’ansia, l’intolleranza alle modifiche rispetto ad una propria realtà, il rifiuto dei modelli evolutivi, l’assenza di gratificazione nel rapporto corporeo con le figure di riferimento, il disinteresse per i coetanei, l’intolleranza alle frustrazioni, il rifiuto delle regole comunitarie. Questi comportamenti sono variamente presenti e più o meno prevalenti nei diversi individui, ma comunicano in modo evidente l’insoddisfazione e il malessere nel rapporto con l’ambiente o l’incapacità a trovare una linea di comunicazione consona con la loro realtà. È come se volessero segnalare la loro impossibilità ad accettare un ambiente incoerente rispetto alle proprie caratteristiche biologiche o alle proprie necessità di aiuto e sostegno evolutivo.

La carente comprensione dell’adulto per le necessità evolutive del bambino, determina l’isolamento, l’assenza di comunicazione, il rifiuto ad accettare l’altro in qualità di guida, il rifugio nell’oggetto feticcio, la ricerca di auto-gratificazione tramite le stereotipie, oppure induce atteggiamenti prolungati di rivalsa contro tutto e tutti (spesso anche contro sé stesso) con manifestazioni aggressive, urla e rifiuti. È l’instaurarsi di una dissociazione tra le necessità dell’uno e le capacità di comprensione dell’altro; dissociazione che può essere completa (comunicazione interrotta) o parziale e anomala (comunicazione distorta). Le cause di tale dissociazione possono essere molto diverse: una organizzazione neurologica con il prevalere o la carenza di alcune specifiche funzioni, un danno organico limitante lo sviluppo, una situazione genetica che riduce le potenzialità evolutive, una condizione ambientale sfavorevole, modelli evolutivi inadeguati. Anche se le cause della dissociazione nel rapporto tra l’individuo in evoluzione e l’adulto in qualità di modello, possono essere molteplici, il malessere del bambino appare essere la risultante più significativa del rapporto tra le due parti.

Una disfunzione nell’organizzazione funzionale di alcune strutture del sistema nervoso centrale potrebbero impostare un prevalere o una distorsione di una funzione rispetto alle altre, creando una modalità anomala di recepire, differenziare ed elaborare gli stimoli ambientali e propri difficilmente comprensibile alle figure di riferimento evolutivo (basti pensare al problema dell’assenza congenita della funzione visiva e la frequenza delle atipie evolutive o le difficoltà del sordo congenito non precocemente riconosciuto).
In tal caso l’eventuale strutturazione psicotica sarebbe imputabile non alle carenze funzionali, ma alla difficoltà di comprendere, da parte dei modelli evolutivi, la diversa organizzazione e quindi l’incapacità di apporto di stimoli appropriati. In eguale maniera, nel caso di una organizzazione deficitaria per una sindrome da lesione organica o genetica, sussisterebbero le potenziali condizioni per un alterato rapporto di aiuto evolutivo. In tali situazioni le figure parentali, anche se potenzialmente adeguate, si troverebbero nella condizione d’impossibilità a rispondere in modo adeguato ad una organizzazione neurofunzionale complessa e anomala.

I modelli di riferimento inadeguati possono facilitare la comparsa di comportamenti psicotici nel corso del secondo anno o in età successive. In alcuni casi, il comportamento del bambino e i diversi colloqui di sostegno psicologico-educativo, hanno permesso la comprensione delle dinamiche che avevano strutturato la patologia. Il comportamento di alcune madri nel corso del primo anno di vita di bambini che hanno in seguito strutturato una sindrome autistica, sono stati molto significativi: una madre non si avvicinava mai alla finestra col bambino in braccio per la paura di buttarlo giù; una madre aveva rifiutato il legame affettivo a causa dell’enorme sofferenza per la morte di un precedente figlio all’età di otto mesi; una madre aveva rifiutato la gravidanza, negandone l’evidenza, successivamente si era comportata con il figlio con le stesse modalità di rifiuto ad un rapporto affettivamente significativo; in una coppia genitoriale si era organizzata una marcata inversione dei ruoli; un’altra madre pretendeva con modalità ossessiva che il bambino affrontasse tutte le esperienze solo secondo quello che lei riteneva valido, negando così l’autenticità e l’autonomia del figlio.

Anche nei casi di figure genitoriali inadeguate è ipotizzabile che vi sia nel bambino una precoce struttura neurofunzionale particolarmente sensibile alle frustrazioni e predisposta ad innestare risposte abnormi. Ad oggi il pensiero dei ricercatori e dei clinici considera la predisposizione neurofunzionale un dato fondamentale nella maggior parte dei casi per lo strutturarsi delle manifestazioni psicotiche.

Indipendentemente dal tipo delle situazioni esposte, il bambino con problematica autistica viene a trovarsi in un ambiente in cui gli stimoli evolutivi e le modalità di rapporto affettivo, non sono consoni alle sue potenzialità. Queste situazioni possono impedire l’aggancio positivo al nuovo ambiente di vita e determinare un autocentraggio gratificante sulle proprie espressività vitali «autismo tipo conchiglia» (Kanner, 1943); difficoltà o impossibilità a risolvere il rapporto di completa dipendenza dalla madre per l’incompleta o assente separazione-individuazione «psicosi simbiotica» (Mahler, 1952); mediocre aggancio al nuovo ambiente che successivamente ostacola il realizzo della sua affermazione e autonomia, determinando l’innesto di una «disarmonia psicotica» (Misés, 1975); presenza di variabili come manifestazioni tali da essere considerato un autismo atipico «autismo tipo confusionale» (Tustin, 1977); eventi particolarmente stressanti nel corso del secondo anno di vita, quali perdita delle figure affettive, cambio radicale del nucleo familiare, istituzionalizzazione prolungata «psicosi disintegrative»; parziale aggancio alla figura materna con scarsa soddisfazione, ma sufficiente a portalo alla scoperta degli oggetti e successivo investimento di autogratificazione affettiva sui medesimi che, in qualità di feticci, finiscono per sostituire la figura umana «autismo tipo feticcio» (Russo, 2001).

Il vissuto che ne deriva è l’incapacità a trovare l’aggancio positivo alla vita, cioè la motivazione ad accettare, nei primi anni di vita, l’altro separato dal sé, apportatore di benessere e stimolo alla propria affermazione; mentre negli anni successivi predomina un funzionamento psichico di confusione tra il sé, l’altro e gli oggetti, è possibile anche un parziale sviluppo psichico spesso irregolare a isole.

La Tustin ha sottolineato l’importanza diagnostica e terapeutica della differenziazione delle altre forme psicotiche dall’autismo inteso come l’incapacità di vivere la separazione del sé dalla madre e contemporaneamente sentirne l’assenza intollerabile e terrificante tale da innestare a difesa l’incapsulamento protettivo con le proprie sensazioni corporee, situazione depressiva della madre e del bambino che l’autrice simbolizza come un «buco nero». Sempre per l’autismo la Bühler sostiene che l’obiettivo del neonato è ritornare a poter vivere la situazione gravidica interrotta dal parto; non essendo nella possibilità di elaborare le nuove informazioni, si richiude su sé stesso. Giannotti e De Astis ipotizzano l’impossibilità nel rapporto madre-bambino di «recuperarsi reciprocamente». L’autismo appena citato (forma nucleare), nel quale si assiste alla chiusura precoce e completa nel rapporto con gli altri, è una forma decisamente poco frequente, a seconda delle statistiche si calcola in media un’incidenza di circa due casi su 10.000; mentre per tutte le altre forme infantili di psicosi e di autismi atipici si calcola la frequenza di1-2 per mille. Ad esclusione dell’autismo tipico, in tutte le altre forme cliniche si riscontra un corredo sintomatologico variabile.

Psicodinamica e analisi dei dati

 Elencate le diverse impostazioni teoriche, le variabili eziologiche e la pluralità e diversità dei quadri clinici, risulta indispensabile una attenta e competente analisi dei dati della storia evolutiva e delle modalità comportamentali in atto. Anche se molte possono essere le variabili del quadro clinico, appare identificabile un denominatore comune: l’incapacità di aggancio alla nuova vita o il sentirsi incompleto, confuso e non soccorso per le proprie problematiche di rapporto con l’ambiente.

Un corretto inizio di terapia dipende dalla possibilità di conoscere i particolari della storia evolutiva, i tempi e le modalità delle acquisizioni, gli stimoli dell’ambiente e le risposte del bambino, il tipo prevalente di comunicazione dei propri bisogni, l’uso del linguaggio codificato, le modalità di assunzione degli alimenti, il ritmo del sonno-veglia, le funzioni sfinteriche, le variabili del livello di emozionalità in rapporto alle situazioni, l’uso prevalente di canali informativi, il tipo di organizzazione dei processi attentivi, le motivazioni ad agire, le resistenze ai cambiamenti, la presenza di strategie per superare le difficoltà, le modalità di uso del proprio corpo, il tipo di organizzazione delle funzioni vitali, l’organizzazione delle attività motorie, i meccanismi difensivi, l’interesse per l’imitazione, l’uso del simbolico, sono tutti fattori che strutturano il tipo di personalità. Sarà inoltre fondamentale conoscere il diverso comportamento nel percorso evolutivo, le dinamiche nel rapporto con l’altro, il momento di comparsa della sintomatologia che ha determinato la segnalazione e la possibilità di riconoscere eventuali segnali precoci di disturbo, occasionali eventi di significato stressante, eventuali deleghe di cura e tutele del bambino ad altre persone. È necessaria una paziente e competente identificazione dei fattori d’ipotesi causale, delle modalità del percorso evolutivo a partire dalla genesi, del riconoscimento delle motivazioni ad agire e delle eventuali funzioni emergenti. Potere ricostruire la storia del bambino e includere i fattori sopra menzionati, permetterà di comprendere il processo eziopatogenetico e le dinamiche che hanno portato alla situazione in essere.
La comparsa dei primi segnali di anomalia evolutiva necessita di un periodo di latenza che può essere molto breve (autismo precoce) o richiedere qualche anno (autismo atipico, psicosi disintegrative, disarmonie psicotiche). A volte i fattori a potenziale strutturazione psicotica permangono latenti per molti anni (struttura borderline della personalità) con la possibilità di esplodere improvvisamente nell’adolescenza o nell’età adulta a seguito di fattori intercorrenti.

Identificazione degli obiettivi terapeutici

 La prima domanda che dobbiamo porci è “Quale è il bisogno del bambino autistico che funzioni da leva per la conquista di un nuovo percorso evolutivo?” La risposta a questa difficile domanda è situata nel percorso dell’organizzazione del disturbo che man mano si è strutturata a partire da alcune necessità evolutive che non hanno trovato risposta o si sono confrontate con situazioni ambientali inadeguate alle loro potenzialità. È la ricerca degli obiettivi terapeutici sottesi dalla o dalle problematiche di organizzazione neurofunzionale che man mano si sono sviluppate. Una fine analisi dei dati sopra menzionati e della storia evolutiva del bambino ci permetterà di identificare gli obiettivi, ma permane il dubbio sulla validità della priorità e della sequenza di affronto terapeutico dei medesimi e quale riflesso possa avere nell’ambiente familiare e sociale la progressiva elaborazione e sviluppo delle tematiche che si sono o che saranno sviluppate nel setting terapeutico.

I diversi casi clinici trattati e quelli che ho seguito come supervisore, mi hanno quasi sempre confermato fin dall’inizio la validità degli obiettivi identificati, mi hanno reso consapevole sulla necessità di attendere il giusto segnale dato dal bambino sulla priorità di affronto di una tematica rispetto alle altre. Il potenziale percorso terapeutico viene progressivamente tracciato dal bambino, anche se con salti e ritorni tra le diverse problematiche; sarà importante riuscire a cogliere questi significati, entrare in sintonia con i suoi vissuti e seguire il filo conduttore della sua ristrutturazione evolutiva. Risulta pertanto necessaria una strategia d’impostazione terapeutica che permetta di limitare il rischio di un inizio errato già nei primi approcci. Questo rischio può essere evitato da un’impostazione del setting terapeutico favorevole a permettere al bambino di esprimere la sua fondamentale problematica e diventare autore dinamico delle proprie potenzialità sostenute, stimolate e rafforzate dalla figura terapeutica.

Terapia

Per la necessità di permettere al bambino di ripercorrere alcune fasi evolutive nelle quali si è strutturata la patologia, risulta necessario un tipo di approccio di rispetto alle necessità di elaborazione concreta delle esperienze e di una modalità comunicativa di adeguata sintonia con il vissuto del bambino. Ritengo che il tipo più adeguato per raggiungere questo scopo sia l’intervento Psicomotorio1 che permette un approccio sull’agito a mediazione corporea con lo psicomotricista.. Sarà anche fondamentale il supporto ai genitori e ad altre figure che si occupano del bambino (nonni, baby sitter, ecc..) che contempli: un aspetto di accoglienza della problematica parentale e relativa sofferenza, la scoperta di nuove possibilità di rapporto affettivo, un aiuto per il nuovo processo educativo e la collaborazione a costruire una nuova organizzazione e conduzione del nucleo familiare. Se frequenta un nido o una scuola sarà inoltre indispensabile una collaborazione con le figure assistenziali e scolastiche.

Russo Roberto Carlo

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