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La passione di Artemisia

“Il nome di una donna fa star in dubbio finché non si è visto l’opera.. sono un animo di Cesare nell’animo di una donna”.
Artemisia Gentileschi

Ragazzina stuprata, donna e pittrice.
Figlia del già noto Orazio Gentileschi, primogenita di cinque figli maschi, Artemisia visse un contesto storico/ familiare equiparabile a una prigione, un ostacolo a imporsi nell’ambito di un ramo strettamente maschile.
Dotata di forte personalità, spirito anticonformista e talento artistico  fu in possesso di capacità che la resero una rarità rispetto alle colleghe del tempo.
A sedici anni mise in risalto le sue inclinazioni naturali dipingendo “Madonna con il bambino”, opera che vide raffigurata l’amica Tuzia con il figlio tra le braccia.
Nacque nel 1593 a Roma, nel 1611, inaspettatamente, la sua vita subì una tragica interruzione: un abuso sessuale ad opera di Agostino Tassi, amico del padre,  anch’egli pittore, figura dubbia dal trascorso poco limpido ed equilibrato.

Madonna Con Il Bambino

A distanza di un anno si aprì il processo, un inferno della durata di cinque mesi, nel corso del quale la Gentileschi venne sottoposta a violenze  e umiliazioni: schiacciamento dei pollici, obbligo di visite ginecologiche pubbliche, interrogatori su interrogatori che la tramuteranno da vittima in carnefice.
La sua posizione, inoltre, apparì non essere delle migliori a causa della denuncia tardiva. Nonostante tutto, non si tirò indietro, proseguì, non ebbe paura.
Non la spaventò l’opinione pubblica, non vi furono giudice, tribunale o Chiesa in grado di mutare la decisione presa.
Volle affermarsi, Artemisia, difendere il suo diritto ad essere donna in un mondo di uomini.
Il processo terminò con una lieve condanna per il colpevole e la scoperta che quella sera complice di quell’efferato gesto fu proprio Tuzia.  Da questo momento, Artemisia iniziò a dipingere con vigore, traducendo in luci e ombre gli elementi delle più forti, contraddittorie e drammatiche passioni, seguendo in tal modo gli insegnamenti di Caravaggio, suo grande maestro.

Giuditta Decapita Oloferne

Il tema dello stupro, secondo alcuni critici d’arte è riscontrabile  nelle due versioni di “Giuditta decapita Oloferne” e “Giuditta e la Fantesca”,  i dipinti vengono  infatti letti come una rivincita sul torto subito : due donne,  insieme, attraverso l’azione, sconfiggono la violenza alla quale vengono sottoposte.
Occorre altresì ricordare che “Giuditta decapita Oloferne” fu rappresentata da molteplici artisti contemporanei e predecessori della donna.
A rumore terminato, le venne imposto un matrimonio riparatore.

Giuditta e la Fantesca

Lasciò  Roma per trasferirsi a  Firenze.
Con il cuore in frantumi ma la mente finalmente libera, libera da una figura paterna opprimente e difficile da sostenere, del quale ripudiò addirittura il nome, leggera così da un disperato passato.
Con decisione riuscì a mettersi in evidenza, divenne una vera professionista ed entrò a far parte dell’Accademia. La sua mano acquisì sempre più autonomia, assumendo una propria individualità. Da questo momento, visse tanto la ricchezza, quanto la povertà dovuta ai debiti contratti dal marito. Ancora una volta, con pugno di ferro fu lei a risolvere la situazione.
Artemisia e la sua determinazione la portarono a divenire imprenditrice delle proprie capacità: lasciò il marito e si dedicò esclusivamente a pittura e figlie

Suanna e i vecchioni

Negli ultimi anni, però, non fu più lei, probabilmente, sfiancata da una vita vissuta in prima linea, contornata da grandi battaglie. La sua fiamma, piano, piano si spense: scomparì il vigore artistico che la caratterizzò e, l’ardore con la quale in “Autoritratto come allegoria della pittura” lanciò la sua provocazione alle norme pittoriche del  tempo si perse.
Come nelle sue ultime opere smarrì l’energia, anche la sua stella cessò di brillare: è il 1652  quando esalò l’ultimo respiro.
Nel 2021  Artemisia simboleggia l’affermazione e l’indipendenza della donna in ambito personale e professionale.
Risulta essere la prima donna nella storia a denunciare uno stupro.

 

Autoritratto come allegoria della pittura

Mara Cozzoli

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