Intervista a Francesco Muzzopappa, scrittore e autore di “L’inferno spiegato male”.
Superati Cerbero, Caronte, due amanti sfortunati, Minosse, un tristissimo Conte che tutto sgranocchia e altre povere anime (che qui non sto a raccontare), termino il mio viaggio attraverso la Selva Oscura.
Ad attendermi, all’uscita, non Lucifero, bensì Francesco Muzzopappa, essere tutt’altro che famelico e demoniaco, ma simpatico scrittore, autore di “L’inferno spiegato male” edito De Agostini, libro game destinato ai più giovani, il cui scopo è avvicinarli con estrema semplicità e simpatia al capolavoro del Sommo Poeta.
Buongiorno Francesco, la prima domanda che ti pongo è davvero banale: Come nasce l’idea di un libro game dedicato a Dante.
Con De Agostini lavoro a stretto contatto, c’è un ottimo rapporto da un po’ di tempo: ormai pubblico con loro da un paio di anni. Quando si è presentata l’opportunità di scrivere qualcosa per celebrare i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri ho pensato subito di proporre l’Inferno in chiave ludica e innovativa.
In cosa consiste un libro game?
Il libro game è un libro interattivo, in cui i lettori sono chiamati a compiere scelte, superare ostacoli e risolvere enigmi che io stesso ho inventato e inserito per rendere il libro più completo. Devo dire che l’idea è stata subito sposata: ho lavorato tantissimo sul testo perché i miei ricordi dell’Inferno erano molto sbiaditi, quindi, per tutta l’estate 2020 ho studiato a fondo non solo il testo originale, ma anche vari compendi e parafrasi.
Il risultato è molto divertente, ironico, ho infatti cercato di rendere l’inferno spassoso, digeribile, soprattutto per il target di età al quale mi rivolgo, cioè dagli 11 anni in su. L’Inferno, ovviamente, è un libro molto complesso che va posto in maniera molto semplice ai ragazzi, del resto molti meccanismi, molti livelli (essendo il racconto di quest’ultimo molto stratificato) non sono immediatamente comprensibili.
Il mio lavoro è stato di semplificazione per rendere il testo più agile possibile.
Scrivi in prima persona, ti intercali nella figura di Dante Alighieri, rendendolo umano nella manifestazione delle emozioni, in particolar modo nell’esporre le proprie paure.
Normalmente , a me piace molto scrivere in prima persona, perché crei un’immedesimazione maggiore, anche nel lettore, che vive insieme a me che scrivo, il testo.
Ho reso Dante più umano, l’ho portato all’altezza dei ragazzi, ha una personalità molto svagata, fresca.
È un Dante molto giovanile.
Esatto. C’è una commistione di linguaggi per cui è un Dante dei giorni nostri, parla di cose che i ragazzi conoscono alla perfezione, pur facendo un crossover, in quanto questo libro è dagli undici anni in su e, molto spesso, tocca argomenti comprensibili anche ai più grandicelli.
L’idea di un Dante alla portata facilita l’immedesimazione nei ragazzi e, soprattutto, presta la spalla a un gioco di ruolo, perché automaticamente, Virgilio diventa il più saggio.
Il saggio Virgilio rappresenta il maestro, colui che guida.
Leggendoti, ho avuto l’impressione che rispetto al “tuo” Dante, sia rimasto nel 1300’.
Questo mi porta anche a pensare alla contrapposizione tra la società odierna e quella che fu.
Esattamente.
Virgilio doveva essere una guida solida e, allo stesso tempo, avere l’autorevolezza di raccontare e spiegare a Dante tutti gli incontri che compiono all’interno dei vari cerchi, gironi, bolge e zone fino a giungere a Lucifero, in modo credibile. Quindi, Virgilio andava lasciato nella sua bolla saggia e credibile. Posso dire che gli ho dato lo stesso carattere con cui l’ho immaginato leggendo la Divina Commedia. Non ne ho cambiato la personalità, anzi, l’ho reso, forse, maggiormente permaloso, ma ci sta! Come nei migliori giochi d’amicizia c’è sempre quello più svagato e quello più serio. Vi è equilibrio e alchimia tra le parti, questo rende il testo ludico e istruttivo, distribuendo così il carico su due personaggi diversi.
Passiamo al terzo personaggio, Specchietto, che imprime maggior stampo culturale. Fondamentalmente, rappresenta l’approfondimento.
Ricordo che sui sussidiari scolastici c’erano sempre gli specchietti.
Quindi, in funzione del libro, questi ultimi sono uno strumento didattico che i ragazzi già conoscono, che ho inserito in maniera ancor più paradossale: Specchietto è dotato di vita propria, ha un carattere, a volte si ribella a ciò che dice Dante, si offende, si risente ma, soprattutto, si risente anche se chiamato in causa per fare la sua parte. È molto altro rispetto al suo ruolo, però è quella parte di testo dedicata all’approfondimento. Se i dialoghi di Dante e Virgilio aiutano a comprendere il cammino infernale, la parte di Specchietto è utile per approfondire i personaggi della storia, che avrebbero rallentato il ritmo se fossero stati trattati dalle voci dei due poeti. Mi serviva un ulteriore personaggio che fosse quasi avulso dalla storia, ma che riuscisse ad approfondire nomi, circostanze, cenni storici o semplicemente degli incontri da me narrati per sommità.
È una terza voce narrante.
Vi è un altro fattore molto interessante: L’ ingresso delle postille da parte della Casa Editrice.
È stata una mia idea far entrare questo quarto personaggio, una nota di colore.
Non sono un dantista, racconto l’Inferno come lo racconterei io e non come lo farebbe un dantista. Ho voluto creare una sorta di lotta con la Casa Editrice (una lotta totalmente empirica) che esige un racconto ben fatto, un libro scritto in un certo modo.
Quindi, ogni tanto, subentrano gli appunti della Casa Editrice quasi ad ammonire Dante, Specchietto e Virgilio affinché non escano fuori dal seminato.
Ad un certo punto, nel cammino, subentra il Mago di Oz. Perché questa scelta?
Adoro il Mago di Oz.
Normalmente, i libri game sono appunto libri che hanno bivi da scegliere, vie che conducono a finali differenti.
Se l’Inferno avesse avuto finali troppo lunghi, e quindi, strade parallele troppo raccontate, troppo verbose, avrebbe finito per annoiare: sarebbe diventato un libro troppo lungo.
Volevo dare un bivio più corposo da seguire parallelamente alla storia, che ricalcasse un’ altro classico.
Il Mago di Oz narra di una combriccola che viaggia, e in qualche modo, metaforicamente, come assetto ricorda Dante e Virgilio: due persone che compiono un viaggio per arrivare ad uno schema finale.
Quindi, è nata questa follia: Dante e Virgilio all’interno del Mago di Oz, con Dante, a volte, chiamato Dorothy e l’incontro con il Leone, lo Spaventapasseri e l’Uomo di Latta.
È il paradosso che tiene i ragazzi attaccati alle pagine, rendendo il testo più leggero e dinamico.
Il tuo, però, non è stato un viaggio compiuto in completa solitudine: come complice e compagno un fumettista.
Quando scrivo per ragazzi, ho sempre l’abitudine di accompagnare i mie testi con illustrazioni, scegliendo fumettisti che possano, non solo arricchire il testo ma, se possibile, dare una chiave di lettura ancora più divertente.
Ho scelto Daw, Davide Berardi, illustratore molto conosciuto tra i ragazzi, il cui fumetto più noto è “A come ignoranza”.
Ha un tipo di umorismo molto immediato che mi convinceva tanto e che può essere assimilato al mio: abbiamo un modo di trattare l’ironia molto simile.
Daw ha aggiunto una dimensione visiva al testo, cosa importante quando si ragiona sulla narrativa per ragazzi. Il connubio è stato vincente.
Più sfoglio il libro, più mi rendo conto di quanto sia folle e divertente per i ragazzi.
Strumento utile per avvicinarsi allo studio della Divina Commedia, ancora prima di avere una guida più solida da parte di scuole e professori che se ne occuperanno in maniera approfondita.
In che modo un fumetto può stimolare la curiosità di un ragazzo?
Parto dalla mia esperienza personale. Innanzi tutto, sono un gran lettore e ho iniziato appunto leggendo fumetti.
I fumetti della Stefi, mi parlavano di scuola, natura e amicizia, senza fare lezione, sviluppando in me la curiosità per saperne di più.
Non vi era lo strato di pesantezza, che spesso, un’ altro tipo di approccio, magari saccente, avrebbe usato con un ragazzino della mia età, non ottenendo gli stessi risultati.
Sono cresciuto leggendo Gianni Rodari che diceva: “Perché insegnare qualcosa ai bambini annoiandoli se puoi farlo divertendoli?”
Questa è rimasta la mia matrice: Dare qualcosa alla lettura dei ragazzi divertendoli, e questo puoi farlo attraverso testo e fumetti.
Un particolare mi ha colpito: nel Canto XXII, accosti la situazione descritta alla mafia. Ho trovato questo punto molto forte.
Molti Canti hanno dannazioni che si prestano a essere rilette attraverso una lente un po’ più contemporanea. Parliamo di molti dannati che non sono relativi a epoche scomparse, che ci hanno consegnato gli stessi tipi di frodi, truffe e traditori.
Abbiamo ancora tali tipologie di dannazioni, alcune delle quali molto contemporanee, che i ragazzini conoscono oppure con i quali devono imparare a confrontarsi.
Uno dei temi che affronto spesso nei miei libri è il bullismo. Sono molto attento a usare l’ironia come veicolo per parlare di tanti argomenti.
L’idea di introdurre elementi che riconducono alla Camorra e alla Mafia è un modo per renderli accessibili, portando all’attenzione situazioni esistenti che vanno combattute.
Dietro l’ironia vi è molta intelligenza.
Sai Mara, questo si spera sempre, nel senso che l’ironia presuppone che dall’altra parte ci sia un cervello sveglio, in grado di cogliere, capire i sottintesi, frecciate ed inventive.
È difficile farlo con i ragazzi.
Mentre con gli adulti, attraverso la satira e la parodia puoi dire cose non dicendole, senza cioè essere espliciti, con i ragazzi devi essere esplicito, evitando assolutamente di trattarli da stupidi. Per me sono piccoli uomini e piccole donne, non sono dei ragazzini, quindi li tratto in maniera intelligente, anche se, a volte, l’umorismo che propongo è da cogliere.
Ciò che mi rincuora, sono i ragazzi che, nel corso degli incontri con le scuole, mi dicono: “Quella cosa, mi ha fatto ridere, mi ha fatto pensare”.
Secondo te, è più difficile, rivolgersi a un ragazzino o a un adulto?
Scrivendo mi rendo conto che sono due universi diversi. Il ragazzino vuole essere stupito continuamente, è spietato. Se lo deludi ti abbandona a pagina due, non vuole più saperne di te, neanche se esce un’ altro libro con la copertina ancora più colorata.
Con gli adulti, vi è un discorso legato alla bontà del genere che faccio.
I ragazzini non hanno la spocchia verso l’umorismo, gli adulti un po’ sì.
Spesso, nei libri per adulti si cerca l’impegno, la riflessione che può arrivare anche con quest’ultimo, di contro, i ragazzi lo cercano, in quanto è per loro un modo per entrare tra le pagine dei libri.
L’umorismo per ragazzi è una specie di “Cavallo di Troia” per entrare in libreria. Gli adulti devono in primis essere convinti che stai facendo un buon lavoro, che non sei un improvvisatore, che hai gli strumenti per poterne parlare: vieni sempre visto come fossi un comico, che vuole semplicemente fare ridere.
Dal mio punto di vista, il tuo Inferno non è spiegato male, anzi, emerge il lato educativo.
Ci ho lavorato davvero tanto. In realtà, supponevo che per il settecentenario della morte di Dante uscissero tanti libri, con titoli seriosi. Io volevo fare l’esatto contrario. Chiaro che per attirare l’attenzione dei ragazzi dovevo utilizzare un titolo volutamente ottuso. Secondo me, un ragazzo si avvicina maggiormente a un “Inferno spiegato male” che a un “Inferno spiegato bene”.
Con la scusa del titolo fuorviante, lo blocchi all’interno di una narrazione che ti racconta un Inferno approfondito.
Quanto mi dici, mi consola, perché è sempre difficile metterci la faccia quando scrivi un libro che ha in copertina un titolo come “L’inferno spiegato male”, ma una volta che comprendi il trucco, comprendi sia il tentativo insito nel testo, sia il lavoro (che è stato davvero sfiancante) per rendere digeribile un grandissimo classico come Dante.
Quale messaggio vorresti lanciare ai ragazzi della nostra generazione?
A me piacerebbe che i ragazzi frequentassero le librerie, questo è l’ obiettivo di ogni mio lavoro.
Ho abbandonato presto la lettura perché mi era stato regalato un libro sbagliato, troppo adulto, con discorsi troppo più grandi di me. Pensavo che tutti i libri fossero così, questo è un po’ ciò che pensano i ragazzi. Se si parte da un libro sbagliato tendono a generalizzare e pensare che tutti i libri siano così.
I libri che scrivo io sono uno strumento per rassicurare i ragazzi e dire: “Tra le tante cose che fate per svagarvi, tra un video gioco e gare con gli amici, metteteci dentro un libro, perché può essere divertente”.
In conclusione, ringrazio Francesco per il tempo concessomi.