Vivere d’ arte. Intervista a Stefano Pierotti, scultore.
Ancora una volta ci addentriamo in quel magico mondo chiamato Arte.
Ad accompagnarmi in questo viaggio, Stefano Pierotti, classe 1964, scultore, le cui opere sono state esposte in note Gallerie d’arte tra le quali : Galleria Vittorio Poleschi, Marescalchi di Bologna, la Galleria d’Arte Portofino, Petrarte Edizioni, Gestalt di Pietrasanta e Susanna Orlando di Forte dei Marmi.
“Prima di rispondere alle domande, vorrei fare una premessa: sì può anche vivere d’arte, basta si sia disposti ad accettare quello che per me è diventata ormai una prigionia“.
Perfetto Stefano, dopo questa tua introduzione possiamo iniziare. La prima domanda è quasi un rito: quando è avvenuto il tuo primo approccio all’arte?
Innanzitutto bisognerebbe distinguere oggi cosa è arte. Detto questo il mio approccio alla “materia”, i miei primi disegni, i miei primi pongo o das, risalgono a quando ero bambino.
Poi alle scuole medie il professore di educazione artistica, mi consigliò studi artistici, liceo o istituto d’arte, io però, scelsi l’istituto tecnico industriale perché il mondo dell’arte, mi sembrava già all’epoca un mondo troppo “strano” .
Successivamente mi sono riavvicinato all’arte da autodidatta.
Tra l’altro la tua è una storia particolare: ti occupavi di altro, poi, hai preso la decisione di dare tutto stesso alla scultura. Hai voglia di raccontarci questo passaggio?
Sì, come detto avendo fatto studi tecnici. Mi diplomai come perito aeronautico e fui assunto dopo poco la maturità a lavorare alla Aermacchi a Varese (quella delle frecce tricolori per intendersi). Là, in quel periodo, forse scontento di timbrare un cartellino e infilarmi tutti i giorni dentro un angar, ripresi a disegnare e a modellare la creta.
Ovviamente i primi lavori erano come tutti i primi lavori, molto “acerbi”. Poi, pian piano, ritagliandomi spazio e tempo sono riuscito a trovare una mia dimensione, un mio stile.
Arrivò anche la prima mostra in via Margutta a Roma nei primi anni 90’.
Ma “l’arte” per me era ancora un mondo tutto da scoprire.
Perché hai scelto proprio la scultura?
Non so bene. Probabilmente per indole. Trovo che il vedersi concretizzare qualcosa che riempie uno spazio a livello tridimensionale sia come una sorta di miracolo creativo. Prima lì non c’era niente. E adesso quel vuoto viene “riempito” da una scultura che in qualche modo vive e trasmette (spero) emozioni.
A livello di trasmissione emotiva, secondo te, cos’ha la scultura che la pittura non ha e viceversa?
Mah, non so. Sono due cose che forme d’arte completamente diverse. La scultura è fisicità, la pittura credo sia più immaginazione. In u quadro ti ci immergi, cerchi di entrare dentro quel sogno. Con le scultura ci giri intorno, vorresti toccarla, accarezzala.
Nell’immaginario collettivo, le opere nascono da un giorno all’altro, in pochi si rendono effettivamente conto di tutto ciò che circonda il risultato finale. Generalmente, quanto impieghi per terminare una scultura?
In effetti credo sia anche vero: le opere nascono da un giorno all’altro, ma solamente nella tua testa. È quella però che si può definire l’ispirazione. Da lì a che l’opera prenda forma, c’è tutta una fase “meccanica” che richiede tempo, impegno e spesso pure fatica.
L’ispirazione di solito, almeno per me, avviene per caso: sfogliando un libro, una rivista, visitando una mostra, un museo, vedendo qualcosa per strada, oppure un sogno… è una cosa inspiegabile.
Capita spesso che quella idea per urgenza debba essere “partorita” immediatamente, o altre volte subisce un processo di elaborazione mentale: ci sono cose che vedi, pensieri che fai, che ti colpiscono e magari rimangono nella tua testa per mesi, a volte anni. Un giorno, rielaborate dalle tue esperienze di vita, senti il bisogno di restituirle.
Inizia quindi un processo creativo fatto di armature, sostegni per apporre la creta o, in altri casi, tagliando o scalpellando direttamente sul marmo, ferro o legno, o ancora attraversando tutte le fasi di fusione nel caso del bronzo
Da quel momento al risultato finale, passano alcuni giorni, a volte mesi o anni (come nel caso della scultura di Ayrton Senna o il Crocifisso di Tor Vergata)
Sei un “provocatore”, qual è il limite oltre cui la provocazione non deve spingersi? Ma soprattutto, in cosa consiste la provocazione.
Provocare per me vuol dire fare nascere nelle persone una domanda: Cosa avrà voluto dire? Quali sono i motivi che lo hanno spinto a realizzare questo, a compiere questa azione?
I temi che ho affrontato spesso, attraverso le mie provocazioni sono di denuncia.
Altre volte la provocazione può essere uno gioco, una sorta di ironia. Sarà poi il lettore che cercherà attraverso quel gesto una ragione che non sia anestetizzata dai media e quello che la società intendono far credere o passare per vero di un particolare momento storico.
Il limite nella provocazione è molto soggettivo. Certo bisogna fare attenzione che l’installazione, nel caso della scultura, non arrechi pericolo a cose e persone.
Dal punto di vista della comunicazione, noi artisti siamo “abbastanza protetti” (e l’ho messo tra parentesi perché non è sempre vero in questo Paese) dall’art 21 della Costituzione.
L’opera “Oltre le radici” è stata oggetto di un singolare episodio. Vuoi raccontarlo ai nostri lettori, spiegando le motivazioni di tale scelta, che da parte mia, mi sento di condividere.
Quello che ho compiuto di recente sulla mia scultura collocata all’ingresso della città di Lucca, ha radici lontane. Per spiegare quel gesto non basterebbe un articolo dedicato solo a questo. La cosa comunque che ho voluto contestare con questo gesto, arrampicandomi sul quella pianta in cor-ten che attraversa una grande parete, tagliando tutte le foglie che rappresenta(vano) la nuova vita intrapresa dai migranti lucchesi in altri luoghi, costretti(!) ad emigrare per cercare fortuna, e scrivendo con una bomboletta spray “Oggi è Domenica, domani si muore” (celebre poesia di Pasolini) , dicevo, quello che ho voluto contestare è il senso di proprietà di un’opera d’arte. Prima di tutto l’arte appartiene all’artista che l’ha creata e “donata” al pubblico. Non si può pensare che l’artista, una volta consegnato il suo lavoro, abbia cessato di esistere.Si deve mantenere rispetto e considerazione. Cose che nel caso della scultura di Lucca non sono mai esistiti.
Ed allora il “committente” esercita il proprio potere irriverente attraverso strumenti che sembrano impunibili in quanto ha sborsato del denaro per comprare l’opera.
Ma il rispetto per l’artista non deve mai cessare di esistere.
Già in un’altra occasione hai avuto modo di assumere lo stesso identico atteggiamento. Hai voglia di entrare nel merito? Cosa è accaduto? Come si è conclusa la vicenda?
Dal conto mio trovo queste reazioni geniali.
Penso tu ti riferisca a quando dipinsi di rosso sangue il mio Crocifisso che fu l’icona e porta santa della giornata mondiale della gioventù del giubileo romano nel 2000.
Ebbene, anche quella volta feci quel gesto per protesta contro l’arroganza della Chiesa (in questo caso il “proprietario” dell’opera era il Vaticano) che aveva sì acquistato la mia scultura per quell’evento, ma la scultura sarebbe poi dovuta essere collocata nella chiesa in costruzione architettata da Richar Meier (lo stesso dell’Ara Pacis). Finito l’evento però venne come abbandonata in un cantiere diventato col tempo una discarica a cielo aperto, dormitorio di derelitti che arrecarono addirittura danni alla scultura. Dopo tante mie insistenze ed uno scandalo andato in onda per più puntate sul Tg2 in cui il giornalista vaticanista denunciò l’accaduto, “recuperarono” quel crocifisso e lo installarono senza nessun ritegno e criterio (senza cioè tener conto di alcuni parametri vitali come altezza, inclinazione ed illuminazione e senza riparare i danni subiti) ai piedi della nuova chiesa di Tor Vergata,
Di nuovo non valsero niente le mie lettere per correggere un installazione che sconvolgeva il contenuto della scultura. Ed allora una sera presi una scala, dei barattoli di vernice, mi arrampicai sulla scultura (che è alta più di 6 metri) e la dipinsi tutta di rosso.
Venni denunciato, ci fu il processo e alla fine venni assolto perché il reato, secondo il giudice, si trattava di un cosa tenue
In “Ascensione”, opera avente ad oggetto un corpo attratto da una forza che discende dall’alto, scolpisci e rendi vivo il tormento.
Certo, con “Ascensione”, descrivo un corpo di donna che ascende al cielo e comunque a nuova vita. La scultura l’ho terminata durante il primo lockdown e probabilmente riflette quello che stiamo vivendo in questo storico momento. Quindi esprime sì, un tormento ma in un gesto liberatorio di elevazione. Quello che tutti noi avremmo bisogno.
Per affrontare temi legati al sociale, un artista, quali caratteristiche deve possedere? Conta più l’anima, la tecnica o la commistione di entrambi gli elementi?
“Sacrificia” contiene in sé un significato che ci terrei fossi tu a spiegare.
Sì, secondo me l’arte dovrebbe affrontare anche temi sociali.
Con “Sacrificia” ho voluto evidenziare, attraverso la crocefissione, che in questa società la vera creatura finita in croce è la Donna. Assistiamo giornalmente a violenze e femminicidi, ma la Chiesa stessa tace. Quella scultura la installai qualche anno fa sulle rive del lungotevere in prossimità di Castel Sant’Angelo, a pochi passi dalla Città del Vaticano. Ma venne sequestrata, caricata su un camioncino della nettezza urbana e scomparve nel nulla …
Passiamo alla sfera personale.
Cosa significa essere un artista? Ma soprattutto, come vive un artista?
Molti pensano che essere artisti, o meglio fare l’artista sia un privilegio, una fortuna. Che si viva in totale libertà esenti da ogni vincolo e responsabilità: in realtà (almeno per me), l’arte è diventata una specie di condanna. Ti rendi conto, anche attraverso alcuni importanti riconoscimenti, che non potresti fare altro che questo, ma il mondo che ti circonda, l’ambiente stesso dell’arte ti è quasi ostile. Si costretto ad accettare compromessi per vivere che sminuiscono il tuo operato.
Che rapporto hai con l’arte e quali stati d’animo ti attraversano?
L’arte diventa una necessità, perché è il tuo modo di comunicare, di esistere.
Torneresti mai indietro rispetto alla scelta di fare della creatività il tuo lavoro?
Non so risponderti. Probabilmente col senno di poi…
Infine, quali prospettive per il futuro?
Il futuro in questo momento è incerto per tutti, più che mai per me. Tutto muta con una velocità impressionante, consumato, quasi divorato.
Sì, la scultura di solito rimane, ma viene quasi voglia di distruggerla con le proprie stesse mani …
Concludendo, ringrazio Stefano per il tempo concessomi.