Giovani e Futuro. Intervista a Pietro Cattorini, CDA Fondazione Quercioli.
Allarmanti dati statistici raccontano che oggi, in Italia, oltre il 22% della fascia di popolazione tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora, il 35,4% di chi ha tra i 18 e i 24 anni abbandona precocemente gli studi (Istat 2019) e il 38% dei giovani si dice insoddisfatto della propria vita (sondaggio Sodexo pubblicato da Il Sole 24 Ore).
Per cercare di capire quanto sta accadendo, dialogo oggi con Pietro Cattorini, membro del CDA di Fondazione Quercioli, ad assisterci, Franco Cazzaniga, Presidente della Fondazione stessa.
Buongiorno dottor Cattorini, innanzitutto, raccontiamo, descriviamo, quella che è l’attività di Fondazione Quercioli.
Fondazione Quercioli è una fondazione di cultura politica, ispirata all’umanesimo, della sinistra riformista con attenzione al sociale.
Con dei compagni di strada che sono stati “Casa della Cultura” di Milano e Associazione Fortitudo, il 26 settembre scorso, abbiamo organizzato l’evento “ Una vita Autentica” , seguiti da relatori di alto livello, al fine di riflettere su quali strumenti educativi e sociali siano oggi necessari per favorire l’orientamento e il raggiungimento di percorsi significativi nei giovani, che troppo spesso, come ci dicono i dati e i sondaggi, sono insoddisfatti del proprio percorso accademico e di vita.
Tema di questo vostro evento è stata quindi la condizione giovanile. Secondo voi, cosa sta accadendo? Perché? Cosa ha condotto a questi dati?
A nostro parere vi è una difficoltà delle Istituzioni, della scuola, dei servizi ad accompagnare i giovani nell’ accrescimento della loro capacità di lettura di sé, anche in rapporto al mondo, di discernimento e visualizzazione più chiara di quelli che sono i propri interessi e desideri rispetto a quelli che sono contenuti nei messaggi di cui sono bombardati sui social, tramite i media o, semplicemente, veicolati dalle loro famiglie o gruppi di riferimento.
Quanto manca, in realtà, è una maggiore autoconsapevolezza non riconducibile a gap informativi, oggi quasi inesistenti nella società dell’informazione.
Ciò è un ostacolo al dispiegamento pieno della personalità.
Abbiamo una Costituzione che all’art. 3 dice che la persona va accompagnata nello sviluppo della sua realizzazione e del suo benessere esistenziale complessivo: questo non ci sembra stia accadendo.
Cosa manca in sé alla scuola, in questo momento? Ad esempio, prendiamo il ruolo dell’insegnante: deve limitarsi al solo insegnamento o avere qualcosa in più?
Allora, noi abbiamo un modello scolastico nel quale l’orientamento e l’accompagnamento alle scelte è delegato ai professori, i quali non sono formati e indirizzati per svolgere tale compito, come contrariamente avviene altrove, dove questo compito è svolto da professionisti dell’orientamento,
Esistono scuole che investono in questo ambito perché possiedono le potenzialità economiche per poterlo fare, creando così momenti in cui vi è maggiore attenzione a percorsi educativi, alla comprensione di sé e alla visualizzazione dei propri desideri, ma a livello curriculare non sono previsti percorsi formativi che vanno in questa direzione e i programmi ministeriali non rispondono in modo forte a questi obiettivi.
Nel caso della scuola secondaria di primo grado, che è quella che poi dovrebbe gettare le basi per le scelte future, quali sono i vuoti che voi riscontrate?
Recentemente è uscito un report della Fondazione Agnelli che individua nella scuola media un momento in cui si aggravano le differenze di opportunità tra studenti, nel senso che non c’è una percepibile crescita dei livelli di apprendimento e di educazione.
È stato quindi rilevato come il principale punto critico del sistema scolastico.
Con il nostro evento abbiamo chiesto ad alcuni relatori che si occupano di psicologia, psicoanalisi e filosofia di provare a dare letture di come si sviluppa il sé e come cresce.
Vi sono differenti modelli che inquadrano questo sviluppo e, ovviamente crediamo si debba proprio partire da queste letture antropologiche per apportare politiche nuove per la scuola e non solo.
Parlando del disagio del singolo studente, quale ritenete sia il più diffuso?
Possiamo dire che il numero dei Neet è in crescita e l’Italia è il Paese europeo in cui la percentuale è più alta.
Tocca circa il 30% l’abbandono scolastico universitario dopo il primo anno Report parlano di alte percentuali di studenti che dicono: “Non rifarei ciò che ho fatto Ovviamente il disagio è presente in maniera diversa nella visione del mondo di ciascun studente che a suo modo prova a fronteggiare i propri compiti evolutivi. Abbiamo per cui provato a iniziare un percorso di indagine e provare a rispondere a questo tipo di problema.
Questa pandemia quanto ha inciso su queste statistiche?
Parecchi dati ci dicono che l’impatto è stato molto forte, specialmente la perdita della socialità in ambito scolastico può essere stato solo un fattore peggiorativo, facendo venire a mancare momenti di reciproco rispecchiamento e riconoscimento.
Nel corso dell’evento è intervenuto il Prof. Pietropolli Charmet, fondatore del “Centro Minotauro” di Milano che si occupa di adolescenti, che ha rappresentato bene le dinamiche dovute al Covid, focalizzandosi sullo spaesamento causato dalla pandemia rispetto alla persa percezione del futuro.
Secondo voi, concretamente, come si può intervenire?
Il primo passo è costruire una sorta di consenso sulla difficoltà e su quali modelli possano rispondere a queste esigenze.
Crediamo sia necessario che ciascuno sia accompagnato in un percorso che non è solo di informazione, nozione e studio, ma anche capacità di leggersi, di riconoscere i propri interessi e di conoscere i propri desideri, quelli più autentici.
Ci sono diversi modelli teorici impegnati in questo.
Al nostro dibattito ha partecipato la Professoressa Laura Nava, presidente della Società Italiana per l’Orientamento e Docente Ordinario di Psicologia dello sviluppo a Padova, il cui centro, seppur poco ascoltato, è uno dei pochi in Italia che si occupano a livello scientifico di dinamiche legate all’orientamento.
Vi sono infatti alcune variabili specifiche sulle quali occorre intervenire: consapevolezza di sé, sana preoccupazione verso il futuro e visualizzazioni dei futuri possibili.
Studiano modelli di orientamento, validati anche dalla letteratura scientifica e pubblicate su riviste internazionali.
Qual è il miglior percorso affinché il ragazzo possa giungere a questa consapevolezza del sé?
Occorre un allenamento a parlare di sé, a inquadrare i proprio interessi, a tradurli in forma verbale con l’aiuto di un professionista, che può essere uno psicologo, uno psicoterapeuta, un counselor di orientamento, ma sicuramente in forma dialogica, di confronto con l’altro.
Ci sono alcune proposte in digitale, in cui si utilizzano dei test per dire: “Ok, sembra che tu hai questo, piuttosto che quell’altro interesse”.
Sono test antiquati, ma facilmente vendibili.
In realtà i modelli sani e validati dal dibattito internazionale e in psicologia dell’orientamento passano sempre per un confronto dialogico, lungo almeno cinque colloqui, all’interno di un percorso che deve essere rinnovato in fase evolutiva.
Un allenamento dunque a discernere più parti del sé, a leggersi in maniera aperta.
Per quale motivo la scuola non è in grado di supportare quanto mi sta dicendo? Ciò la presenza di uno staff tecnico che segua questi ragazzi? Dove sta la falla?
Prima di tutto perché non è pensata in quest’ottica.
Punto secondo, le scuole, soprattutto quelle pubbliche, non hanno soldi per pagare professionisti qualificati che intervengano in questo modo.
Le scuole migliori seguono percorsi di orientamento, ma che sono al massimo due o tre ore gruppali, un’ora, individuale, all’ultimo anno di scuola superiore.
Spesso, alle scuole medie, il consiglio orientativo arriva dal consiglio di classe, quindi semplicemente dagli insegnanti stessi.
Per giungere a una conclusione, qual è la vostra visione? Cosa proponete?
Beh, noi siamo una fondazione politico- culturale, quindi la nostra idea è porre l’attenzione sul tema, andare al nocciolo, farne oggetto di dibattito pubblico e influenzare la discussione politica in questa direzione.
Potenzialmente produrre policy per riforme che vadano in questo senso.
Quali sono i settori che necessitano urgentemente di riforma?
Sicuramente la scuola, ma anche tutto il mondo dei servizi alla persona e i servizi di ri- orientamento professionale che vengono erogate a livello regionale, che potrebbero essere maggiormente spinti verso politiche di questo tipo.
Cosa vede per il futuro di questi giovani?
Beh, il futuro è diverso per ognuno di loro.
Sicuramente il progetto di ognuno è figlio della sua visione del mondo, del sistema di valori che sente più forte, autentico e significativo, che non può quindi rispondere a una logica collettiva
Il discorso è che senza l’intervento sul settore scuola, sorge la possibilità di perdere questo futuro. Era a questo che volevo arrivare.
Certo, il tema è fornire gli strumenti e il supporto tecnico necessario affinché il ragazzo possa visualizzare il futuro nel quale si vede meglio e si sente più autentico, che gli restituisce cioè maggior significato.
Tutto ciò è un allenamento che crediamo deve essere previsto e a cui deve essere dato più tempo nel corso delle ore scolastiche.
I settori artistici, creativi, inseriti in un contesto scolastico anche al di fuori delle ore ufficiali, quanto può essere utile?
Moltissimo, vi sono sistemi scolastici, come quello finlandese, in cui addirittura una parte delle ore viene scelto dallo studente, nel senso che ha la possibilità di decidere alcune materie da studiare e sul quale formarsi perché rispondono maggiormente ai suoi interessi.
In sé l’attenzione alla creatività è importante per tutti, vi sono ragazzi che hanno particolare predilezione per l’ambito artistico, ed è giusto che ci si debba concentrare anche su questo.
Per concludere ringrazio Pietro per il tempo concessomi.