Comunità terapeutiche per minori della salute mentale. Intervista dottor Luca Mingarelli, membro tavolo Ordine degli Psicologi Lombardia, Psicologo e Responsabile Nazionale Comunità Terapeutiche per Minori Associazione Mito&Realtà.
Se prima dell’emergenza sanitaria le comunità terapeutiche per minori versavano in stato di difficoltà, con lo scoppio della pandemia, così come per molte realtà, la situazione è andata peggiorando.
Al fine di giungere a una sintesi completa della condizione delle differenti strutture, dialogo oggi con Luca Mingarelli, membro del CdA “Associazione Mito&Realtà ” nel ruolo di Responsabile Nazionale Comunità Terapeutiche per i Minori, un passato di due mandati come Referente OPL per il territorio di Como e Lecco.
Facciamo subito un quadro generale della situazione.
Premesso che non avevamo una situazione tra le più stabili e rispondente ai bisogni quotidiani già in tempo pre – Covid, in seguito all’ emergenza sanitaria tutto è peggiorato: strutture residenziali, comunità educative, comunità terapeutiche per minori e adolescenti sono entrate non solo in grossa difficoltà, ma sono anche non sufficienti sul piano numerico a rispondere alle necessità di Milano, Provincia e Regione.
Il problema, purtroppo, è fortemente presente anche a livello nazionale.
Quindi, i servizi sociali del territorio che ne necessitano le trovano in genere sempre tutte piene e, conseguentemente, non sanno dove collocare gli adolescenti; il pericolo è il rischio per questi minori di età di finire, qualora si trovi posto, in reparti specialistici non idonei perché non utili in quel momento, o di seguire trattamenti ambulatoriali quasi mai bastevoli e mai in tempo.
Rispetto ai minori seguiti, quali sono le problematiche di cui soffrono e a cui, inevitabilmente, i diversi operatori devono fare fronte?
Le problematiche maggiori sono proprio i disturbi complessi di personalità, disturbi cioè che comprendono problematiche, disagi e sofferenze su vari piani.
Secondo il nostro vertice d’osservazione, oggi, purtroppo, il Covid associato all’uso amplificato (basti pensare alla DaD e ai ridotti per tempo luoghi fisici di incontro ecc ) e poco consapevole di internet hanno peggiorato, notevolmente, il disagio in adolescenza che, a sua volta, chiederebbe una progettazione più compatta tra i servizi della sanità, della neuropsichiatria e delle politiche sociali (servizi comunale e tutela dei minori).
Occorre dunque un grosso lavoro di collaborazione di rete allo scopo di aumentare i contenitori: se la fragilità aumenta bisogna adattarsi mettendo in campo le risorse utili in questo momento storico.
Al momento, tra l’altro, vi è una carenza di personale, come ad esempio psicologi e neuropsichiatri. Questo cosa comporta?
Sì, vi è una carenza di personale sul piano dell’équipe sanitaria, nel quale rientra anche lo psicologo.
Siamo in difficoltà per quanto concerne i neuropsichiatri, questo vorrebbe dire, secondo noi, che gli psicologi potrebbero subentrare e supportare questa carenza: questi professionisti infatti, dovrebbero avere più voce e presenza in ruoli dirigenziali e anche certamente nell’aspetto operativo. Tali aspetti si stanno approfondendo nel tavolo OPL, il tavolo che l’Ordine degli Psicologi Lombardia ha istituito sulle Comunità Terapeutiche per Minori insieme al Vicepresidente Davide Baventore e alla prof.ssa Marta Vigorelli past president della Associazione scientifica Mito&Realtà e la dottoressa Valentina Stirone socia e membra del Comitato Scientifico insieme a me.
Anche gli Ordini degli Psicologi di altre regioni come Lazio, Veneto, Campania e Sardegna hanno attivato sinergicamente tavoli simili.
Da una parte manca un’incisiva presenza di psicologi, mentre c’è un eccesso di figure sanitarie introvabili soprattutto in tempo di quarta ondata di Covid (infermieri e medici specialisti) e a figure che non hanno una competenza clinica (come ad esempio gli OSS); parlando dunque di comunità terapeutiche per minori, che per loro mandato devono avere come fondante un impatto clinico e curante, è necessario che sia rafforzata e valorizzata la figura dello psicologo e psicoterapeuta, non solo nelle comunità terapeutiche ma anche in quelle integrate o educative.
Ciò va di pari passo con delle necessarie ed auspcate modifiche dei criteri di accreditamento che regolano gli operatori presenti in tali servizi.
Esiste una netta distinzione tra le diverse strutture. Entrerebbe nel merito del discorso?
Vi è una evidente differenziazione tra quelle strutture che noi chiamiamo Comunità Terapeutiche trasformative e che son di piccole dimensioni, famigliari, quasi artigianali, che fanno un lavoro sartoriale/artigianale sul soggetto e che si occupano di circa dieci/ dodici minori di età e le cliniche che, invece, seguono circa cento ragazzi con un lavoro più seriale.
Quali sono i principali disagi che il Covid ha generato nei minori?
Cosa sta succedendo?
Partiamo dai dati. Uno studio fatto sulle Comunità Terapeutiche per Adolescenti ha reso noto che dallo scoppio della pandemia sono raddoppiate le richieste di inserimento: è quindi arrivata la conferma di un incremento esponenziale del disagio, fattore di grossa preoccupazione.
Al momento le strutture residenziali non riescono a rispondere al bisogno, quelle semi residenziali ovvero i centri diurni, legati all’area terapeutica e clinica come la neuropsichiatria non sono sufficienti.
Infine, gli ambulatori sia pubblici che privati sono strapieni anche di richieste di colloqui di genitori di minori scompensati dalla situazione attuale.
Da sottolineare sono anche i dati relativi all’abbandono scolastico e del conseguente fenomeno del ritiro sociale che è ad oggi in forte crescita: tanti ragazzi, nonostante il green pass e vaccini fatti, non vogliono tornare a frequentare scuole o università.
Oggettivamente si rendono necessari interventi territoriali, preventivi e non solo, fatti da esperti psicologi direttamente nelle case, in buona sostanza interventi domiciliari psicologici.
L’adolescenza è un periodo in cui uno pensa di poter fare tutto, l’onnipotenza, viste le imposizioni che sono state adottate per via della pandemia, è crollata; sappiamo che il rispetto delle regole non è certo il punto forte dei ragazzini, i quali hanno la fisiologica tendenza a trasgredire.
La coercizione dovuta alla pandemia ha rafforzato il rapporto con la tecnologia che non aiuta la crescita naturale e fisiologica di un adolescente che si avvia all’età adulta.
In Giappone e negli Stati Uniti da anni esiste la sindrome di Hikkomori, in Italia parliamo appunto di ritiro sociale.
Sono dell’idea che occorre fare una maggiore informazione ed investimento sensibilizzando e formando madri e padri, affinché imparino a “maneggiare” i figli il cui atteggiamento, ad ora, tende all’isolamento.
Rimanendo in tema Covid, nello specifico, quali sono le principali problematiche riscontrate nei ragazzini?
Per quanto riguarda gli adolescenti in comunità, la problematica è stata l’ulteriore difficoltà nel separarsi da un ambiente conosciuto, famigliare o sociale di provenienza.
Le comunità funzionano così: il ragazzino, seppur minore, viene invitato dai servizi pubblici quali Neuropsichiatrie o Servizi Sociali dei Comuni o dal Giudice del Tribunale minorile, a fare un’ esperienza di uno o due anni in questo tipo di struttura.
Quindi, in un certo senso, i ragazzini in comunità in questo tempo del Covis, hanno avuto il vantaggio di stare chiusi con compagni- a differenza degli adolescenti non in Comunità che hanno vissuto lockdown e altre regole che non ha permesso loro gli incontri. Il lato negativo è che soffrivano per l’impossibilità di incontri protetti o meno e rientri a casa per problemi di salute, non di salute mentale, un po’come che se, giustamente, la salute fosse più importante del loro percorso di salute mentale.
Gli adolescenti a casa loro hanno sofferto, invece dell’eccesso di stare in famiglia, sempre da mattina a sera con i genitori(smartworking) l’eccesso di stare alle regole e non poter fare due passi al parco o uscire con gli amici.
Hanno sofferto la mancanza della scuola, purtroppo, però, adesso si stanno abituando a questa circostanza e quindi si domandano: perché devo tornare a scuola? Studio bene e mi promuovono ugualmente.
Una lamentazione degli adolescenti non inseriti in struttura è stata: “Siamo stati troppo con i genitori, non è questo il tempo di stare così tanto con loro”.
In tal caso, difatti, si crea una relazione che non è più “sana”, in cui il genitore non può espletare la sua funzione, vivere così tanto insieme non ha cioè aiutato quest’ultimo a svolgere il suo ruolo di padre o di madre.
È possibile che questa situazione abbia visto sviluppare psicopatologie, magari, in precedenza, assenti nell’adolescente?
Diciamo che sono aumentate in quantità, complessità ed è aumentata l’ampiezza del disturbo.
Magari prima il ragazzino non aveva anche il problema del ritiro sociale, non aveva una dipendenza da cellulare o da internet, modalità queste che sono aumentate in tempo di pandemia, fino a giungere all’abuso.
Si richiudono in casa perché tanto con internet possono fare tutto online, dalla droga al sesso.
Ciò è risultato per loro una soluzione ai bisogni del momento.
Ingressi e dimissioni hanno subito paralisi. Perché?
Partiamo dalle dimissioni: abbiamo dei percorsi strutturati e pensati con i servizi invianti che hanno una durata di tempo. Per ogni soggetto che entra in una CT, quindi, si stabilisce fin da prima dell’entrata per quanto tempo dovrà rimanerci.
Con il Covid son rallentatati i tempi di dimissione, perché le comunità hanno dovuto attrezzarsi per potere curare o mettere in isolamento ragazzi positivi ed anche perché la paura di nuovi contagi e del poi non saperli gestire è aumentata.
Ovviamente quando la Regione ha stabilito i criteri di accreditamento (quali spazi e quanti e che tipo di operatori) non poteva certo prevedere una situazione emergenziale, pandemica.Il rallentamento nelle dimissioni ha comportato a sua volta quello delle immissioni.
Ad una dimissione, a volte, corrisponde un’immissione in altra struttura.
Per quanto riguarda i nostri ragazzi non si parla mai di guarigione totale, ma di processo di miglioramento e, a volte, seguito il percorso in una struttura, occorre capire qual è il percorso successivo utile a facilitare i processi di cambiamento e cura, quindi capita che sia necessario un’altra tipologia di struttura residenziale o semi residenziale: non è automatico il rientro a casa dopo un’esperienza curativa in comunità.
Per altro, ad aggiungersi, anche l’indebolimento a causa di contagi dell’équipe, ha comportato un rallentamento negli inserimenti.
Se la struttura aveva un operatore in meno in turno, non poteva gestire un certo numero di ragazzi, perché vi è un rapporto numerico stabilito tra operatori e utenti.
Con l’introduzione del vaccino sta riprendendo un po’ una pseudo normalità, seppur la situazione non sia stabile con l’ultima variante Omicron.
Quindi mi sta dicendo che, sotto certi aspetti, le vaccinazioni nel vostro campo sono state utili?
Sicuramente ci hanno permesso di riprendere una maggiore “normalità”, anche se, visti i peggioramenti delle ultime settimane, Regione e ATS stanno tendendo a darci nuove regole restrittive che dovrebbero servire a contenere la diffusione di queste nuove varianti.
Speriamo si tenda a far procedere di passo salute e salute mentale.
C’è da dire che in tempo di pandemia abbiamo imparato a porre in essere incontri virtuali con le famiglie e con i servizi pubblici, e questo è servito molto e ci ha permesso di continuare a occuparci di salute mentale.
Dal suo punto di vista, a fronte di quanto sta accadendo, come può valutare l’intervento Istituzionale?
Le Istituzioni ce l’hanno messa tutta per venirci incontro e per fare il possibile, ma non è sufficiente.
Il discorso è che vi è un problema di spese, amministrativo, per cui le strutture non riescono a sopravvivere. Ci sono stati costi aggiuntivi dovuti al Covid e alle complessità dei casi che aumentano, sia in quantità che in qualità e, malgrado, istanze e richieste, per ora ci sono state poche risposte, se non piccoli aumenti economici da parte delle amministrazioni e delle istituzioni con cui dialoghiamo insieme all’Ordine degli Psicologi Lombardia (OPL) e all’ Associazione “Mito e Realtà” , cercando di fare presente come si potrebbe migliorare il tutto. Abbiamo davvero bisogno che le Istituzioni mettano mano al settore, mi rendo anche perfettamente conto che sono stati letteralmente sequestrati dalle questioni della salute in relazione al Covid, però la realtà è che gli adolescenti sono il nostro futuro e quindi è necessario un investimento in termini di risorse umane, energia, tempo e denaro.
Le pongo un’ ulteriore domanda: ci si rende conto che la salute passa anche per la mente?
Questa è una bellissima domanda, perché non sembra così automatico viste le quantità di energie che sono, giustamente, dedicate in questo momento alla salute intesa come salute fisica, ma non tanto alla salute mentale che, come dice lei, dovrebbero andare di pari passo.
Pensiamo al passato, ad esempio alla seconda guerra Mondiale che ha sviluppato nevrosi dovute al contesto bellico, questo ci porta quindi ad affermare che la stessa pandemia avrà delle ripercussioni future.
Dobbiamo dare risalto al bisogno di incentivare gli investimenti in salute mentale, dalla prevenzione alla cura, e soprattutto nelle età dei piccoli ed adolescenti, un’area davvero vasta, rinforzando ad esempio gli interventi nelle scuole, con i genitori, organizzando convegni di informazione e formazione, aiuti rivolti alle comunità, aumentandole anche di numero, porre in essere azioni di intervento territoriale domiciliare che possano rispondere, prima che sia troppo tardi, al ricorso a comunità terapeutiche o altro.
Ricordo che anche la salute mentale può incidere sulla salute, un pò come dicevano i nostri antenati “mens sana in corpore sano” e viceversa..
Insomma, insisto sul fatto che prevenire è decisamente meglio che curare.
Ultimamente CPS e consultori hanno seri problemi, non sanno più dove mettere i pazienti.
Esatto, non sanno più dove mettere la gente, sono strapieni. Adesso la visita avviene dopo quattro, sei mesi e magari una persona sta male in quel momento.
Occorre agire per potenziare anche le relazioni tra pubblico e privato e utilizzare nel migliore dei modi le risorse che abbiamo.
Non c’è altra soluzione che mettere subito mano al welfare.
Forse, concorderà con me quando dico che, nella sua tragicità, il Covid ci ha sbattuto in faccia quanto sapevamo non funzionava.
Sono d’accordissimo. È stato un evidenziatore dei malfunzionamenti istituzionali.
Date queste nuove certezze, se si facessero tavoli comuni si potrebbero risolvere i problemi.
Se gli adolescenti perdono la speranza, noi adulti non dobbiamo farlo e abbiamo la responsabilità di continuare a creare gruppi di confronto tra pubblico e privato per dare un freno a questo disagio galoppante.
I grossi danni, oltre a quelli attuali, siamo sinceri, li vedremo anche nei prossimi anni.
Di conseguenza fin d’ora dobbiamo cercare soluzioni creative ed efficaci.