Solo Stile. Intervista ad Alessandro Fanta.
Amo ascoltare e narrare storie, quella di oggi è legata al cammino di un giovane imprenditore milanese, il cui mix di pazienza, trasparenza, tenacia e capacità, supportato, anche, da un solido team, è risultato essere il punto di forza che gli ha permesso di trasformare la sua passione in attività di successo.
A raccontarmi, oggi, una creatura dal nome” Solo Stile” è Alessandro Fanta.
La prima domanda è di rito: quando nasce “Solo Stile” e qual è stata l’idea che ha condotto al suo materializzarsi come realtà?
Solo Stile nasce nel febbraio 2012, ormai, dunque, abbiamo toccato i dieci anni.
Sono un ex writer e negli anni 90’ già disegnavo e dipingevo, tramite un’amica poi, ho seguito un corso di illustrator e photoshop.
Con il tempo, infatti, dipingere sui muri mi ha annoiato e ho, conseguentemente, iniziato a riprodurre in vettoriale, quindi sul computer.
In quel periodo facevo, oltretutto, il DJ nei locali, mi sono perciò creato le mie maglie con tanto di logo ufficiale; subito dopo ho dato vita a eventi hip hop, sia a Milano che fuori e, per ogni evento producevo le magliette per tutto lo staff , dall’artista al PR senza escludere il resto dei collaboratori.
Mi sono trovato a dover fare un campione in un famoso negozio di Milano, è sorta una “discussione” con il proprietario che, tra l’altro, era un amico: ho scelto in tal modo di mettermi in proprio.
Nasce così “Solo Stile”.
Entriamo nel merito dell’attività svolta.
Perché le magliette? È solo una strategia marketing o c’è dietro dell’altro?
La maglietta, nel mio periodo era pubblicità, anzi, si può dire che era l’evoluzione del semplice volantino, possiamo paragonarla a un ricordo dell’evento.
Infondo, però, sì: è anche una mossa marketing.
Mentre, adesso, rispetto alla tua attività, una maglietta, cosa rappresenta?
Ad ora, essa deve delineare l’artista, è il merchandising , di egli ne è l’immagine.
Secondo me, il vestiario, che sia in forma di t-shirt, felpa o, addirittura altre tipologie di gadget, devono rappresentare l’artista in sé: non è solo il nome su un indumento.
Come merchandising deve rappresentare il progetto dell’artista in quel momento, il suo modo di essere, il suo modo di farsi vedere agli altri.
Quindi, non è più un semplicemente un disegno stampato su una maglia, almeno, per me, dopo dieci anni di attività.
Secondo te, una maglietta può essere un valido strumento per diffondere la cultura dell’arte?
Certo, ma soprattutto perché io faccio anche abbigliamento per i writers, essendo stato uno di loro.
Ad esempio tra i diversi artisti noti a Milano, curiamo il merch di Prosa Bang e, nel farlo, utilizziamo i disegni che decide lui, li selezioniamo e li mettiamo sulle maglie che divengono così il suo “marchio da visita”.
Hai voglia di approfondire la figura del writer: cosa lo differenzia da un altro genere di artista?
Cos’ha in più secondo te?
Il writer in più ha l’inventiva e il genio sul disegno.
Ognuno di loro ha modo di esprimere la propria arte e ha sempre qualcosa in più rispetto alla maglia di un artista cantante in sé.
L’artista cantante è prodotto da altri, quindi ha dietro un ufficio stampa, un grafico per il disco e, spesso, la grafica di questi ultimi è fatta da writer o da disegnatori.
È grazie alla base, all’artista che viene prima dell’artista cantante che si riesce a costruirne l’immagine: non tutti lo sanno, ma nella musica c’è sempre chi necessita di avere alle spalle la figura del writer o dell’illustratore che vada a svilupparne e crearne la figura.
Noi di Solo Stile ci occupiamo anche di questo.
Essendo stato un writer e avendo amici writers, cerco sempre di dare qualcosa in più all’artista.
Tanti, a volte, preferiscono la semplicità, deve però, esserci dietro una mente.
Ti faccio una domanda relativa all’emergenza sanitaria che ci ha colpito. Come azienda, siete riusciti, comunque, a funzionare?
Abbiamo avuto molte difficoltà e ne abbiamo anche in questo momento.
Ci sono periodi in cui si lavora poco e il problema è dovuto al fatto che, essendo la mia azienda legata al merchandising di artisti e cantanti, se essi non fanno live, concerti, dischi o singoli e noi siamo sempre dietro a loro, automaticamente, anche noi, produciamo meno.
La maggior parte del merchandising è venduto nel corso di un concerto o live in un locale, quindi, questa pandemia ci ha toccati abbastanza.
Dato che siamo anche una ditta e-commerce, non ci serve andare in giro, fare e disfare, possiamo lavorare dietro le quinte e, nel corso dell’emergenza gli stessi artisti dovevano guadagnare, quindi, magari, uscivano con un singolo associato a una maglietta.
Va sottolineato che parte del ricavo di un artista deriva dal merchandising, non esclusivamente dalla vendita del disco.
Nel 2022, l’artista non guadagna tutto dal disco, guadagna dal merch, dalla pubblicità, dai live e dai concerti.
Quale filosofia si cela dietro alla scelta di stampare opere di artisti su magliette?
Noi, come “Solo Stile”, cioè Io , Francesca Ettore e Ivan ci occupiamo di portare le opere degli artisti sull’abbigliamento, in questo caso, magliette, ma il progetto può essere esteso alla gadgettistica come felpe, cappellini… tutto ciò che riguarda cioè la personalizzazione.
Il concetto è : se non riesci o non puoi acquistare una tela del tuo pittore preferito che, magari, la vende a tot mila euro, allora puoi avere la maglia con la sua opera a un prezzo contenuto.
Si possono fare le limited edition, e pezzi numerati.
Se torniamo indietro, nel writing, questa formula esiste da una vita: a New York da anni le opere dei writers sono portate sull’abbigliamento.
Negli anni 90’ le stesse Adidas o Nike stampava su maglie o scarpe le grafiche di noti writers, quindi, non è una cosa nuova, la differenza è che i giovani di oggi non conoscono questo modo di approcciare all’arte.
Può essere che l’Italia in sé, questo strumento sia arrivato molto molto dopo, o non sia proprio arrivato, in quanto siamo un Paese culturalmente arretrato?
È una vita che siamo indietro.
Beh, è un problema evolutivo…
Ti rispondo sorridendo perché su qualsia cosa, l’Italia è indietro venti anni rispetto all’America.
Per quanto riguarda il discorso merchandising, io ci sono entrato abbastanza prepotentemente nel 2012, ma due grossi merchandiser che conosco, con cui lavoro e collaboro di cui uno segue Eros Ramazzotti e Zucchero, arrivano dagli anni ottanta.
Io sono stato quello che nel 2012 ha portato l’on – demand in Italia, cioè la produzione solo sul venduto.
Esempio: mettiamo la maglia di un artista sul sito, la gente la ordina, la acquista, mentre io la stampo e spedisco.
Questo è il servizio che nel 2012 ho portato agli artisti in Italia e, questo strumento, in America era in voga già da dieci anni.
Nel 2002, in America si parlava di pre-ordine: secondo tale formula, semplificando, l’artista annuncia che solo per ventiquattro ore o altre tempistiche decise dal management è in vendita la sua maglia o il suo merchandising.
Cosa succede, la gente accede al suo sito e, nel corso di ventiquattro ore la ordinano.
In sintesi: tu preordini una maglia, a me giunge l’ordinazione e io ti informo che entro cinque/sei giorni lavorativi il prodotto ti arriva.
Di conseguenza, l’artista non si compra duemila magliette, se le tiene nel magazzino e poi le mette in vendita pagandole anticipatamente al merchandiser.
No, l’artista mi paga esclusivamente sul venduto.
Con “Solo Stile” ho voluto portare questo servizio.
Per farti capire quanto siamo arretrati, porrei in evidenza anche la situazione attuale delle tecniche di stampa l’Italia, anch’essa, inevitabilmente, indietro.
Proviamo ad approfondire il discorso tecniche di stampa.
Perché siamo così indietro, cosa, secondo te, non funziona?
Non è che non funziona, è la mentalità dell’italiano che è vecchia.
Abbiamo inculcato nel cervello che la serigrafia è sempre la migliore tecnica di stampa : in alcuni casi non è così, dipende tutto da ciò che devi produrre.
Una quadricromia con la stampa serigrafica necessita di avviare tutti i macchinari, ciò comporta un prezzo maggiormente alto.
Con una stampante diretta, che è quella che uso io, carichi l’immagine, pre-tratti la maglietta, stampi l’immagine con migliaia di colori direttamente sulla maglia.
In ogni caso, utilizzo tutte le tecniche, serigrafia compresa, quest’ultima la uso solo per questione di semplicità e velocità. Comunque, preferisco la digitale e ti dico, in USA essa c’era già dieci anni fa, qui puoi procedere per quadricromia digitale perché i costi sono più bassi e, attualmente, il discorso costi è un enorme problema, in quanto essi incidono sulla produzione e, soprattutto in questo periodo, essi vanno, necessariamente, abbattuti.
In sintesi, sei uno che preferisce le tecniche moderne.
Sì, anche perché si avvicina maggiormente a quello che faccio io, nel momento in cui disegni cose particolari, sei obbligato ad usare determinate tecniche.
Qual è il vantaggio dell’oggettistica rispetto a una qualunque altra forma di marketing?
Partiamo dal fatto che nell’oggettistica rientra anche l’abbigliamento, quindi, come dicevo prima è un ricordo da parte di chi lo acquista durante l’evento.
Tanti prendono, magari, due magliette perché una la indossano e l’altra la tengono nel cassetto per non rovinarla.
Non è semplice rispondere, ma il concetto è quello: l’oggettistica come forma di marketing si intreccia al ricordo.
Quindi è un qualcosa legato ad un’esperienza intima e personale. Risiede in questo la sua forza?
Esatto.
Lavorate a stretto contatto con le case discografiche, come ci siete arrivati, come si sviluppa tale lavoro e come interagisci con esse e con i loro manager?
Arrivare alle etichette è un percorso strano, particolare, diciamo che ci arrivi tramite, appunto, il manager. Sai, io ho avuto la fortuna di conoscere e avere tra gli amici artisti dei mie tempi, dato che negli anni novanta frequentavo “Il Muretto” uno dei ritrovi più importanti del Rap e dell’Hip Hop di Milano, e la mia fortuna è stata che molti ragazzi da me frequentati sono diventati i rapper famosi di oggi, nel frattempo io avevo preso la via del writing, mentre altri del Rap.
È successo che ci siamo ritrovati, producendo io magliette, mi hanno chiesto di occuparmi del loro merchandising, mi hanno, in seguito, messo a contatto con i vari manager, infatti, nonostante l’artista fosse un mio amico, avevo quest’obbligo.
Il manager, approva il discorso merchandising, il passo successivo è però l’incontro con l’etichetta musicale che lo produce.
Il giro è, dunque, questo.
Ho avuto la fortuna di conoscere e vedere crescere il 90% dei rapper di Milano i quali sanno che al momento del bisogno io ci sono.
Si parte così dall’artista, al manager e all’etichetta.
Ovviamente è importante l’aiuto di Ettore Monaco, perché quando io sono in laboratorio è lui che si reca a parlare per me, se poi occorre interfacciarsi direttamente con manager e artista ad esempio in Sony e Universal devo andarci per forza anche io.
La parte strettamente burocratica, dal prendere appuntamento alla comprensione di ciò che vogliono è coordinata da lui.
Alessandro Fanta, Ettore Monaco, Ivan… nel team però, è presente una quarta persona, tua moglie, il cui ruolo è fondamentale.
Insomma, una donna al comando di tutto, nonché la figura femminile del trio.
Certo, Francesca mi ha supportato in questa pazzia e, regolarmente, mi frena quando c’è da frenarmi.
Diciamo che è l’anima dell’azienda, lei si occupa di gestire la ditta, i pagamenti, le mail, i resi e le fatture.
Io sono quello che mette le mani sulla produzione, quindi, il cotone che serve, la grammatura, l’inserimento delle grafiche.
Lei è, come si dice in gergo l’Amministratore Delegato.
In poche parole è colei che vi rimette tutti in riga.
Esatto.
Se vogliamo fare gli americani è “L’ Administrative Manager”: per qualunque cosa bisogna passare da lei.
Siete una squadra che funziona, ognuno di voi assume un proprio ruolo.
Sì, senza di lei sarebbe difficile amministrare l’azienda.
In questo settore, la concorrenza è tanta?
Certamente, ma non ho paura, sono sempre stato uno che non si tira indietro: la concorrenza a me piace.Adoro essere colui che infastidisce.
Se mi “rubano” un artista me lo riprendo.
Qual è regola per stare in piedi?
Non avere paura di niente.
Svegliarsi la mattina e dire: perfetto, oggi, devo fare quello che serve.
Pensare che se un giorno non dovesse andare bene, non cambia, domani si riparte.