Parlando di writer. Intervista a Alessandro Fanta e Dropsy.
Figlio di un movimento artistico sorto negli anni 70’ a New York, il writer per molto tempo è stato oggetto di dibattito: artista o vandalo?
Al fine di tracciare il viaggio di questa figura (comprendente origine ed evoluzione), dialogo, oggi, con Alessandro Fanta e Dropsy, i quali nel corso di una lunga chiacchierata, oscillante tra elemento culturale e sfera personale, ne evidenziano i tratti caratteristici.
D.
Il writer o graffiti writer nasce a New York negli anni 70’, viene utilizzato questo termine in quanto, fondamentalmente, scrive il proprio nome detto “Tag”.
Alla base di tutto c’è l’evoluzione delle lettere dell’alfabeto, la ricerca dell’originalità stilistica che, non solo lo differenzia dagli altri, ma lo rende un maestro o “king”.
A. F. Nasce nei quartieri, o meglio per uscirvi.
In America delineava anche una sorta di sfida: ci si recava, infatti, a fare “bombing “nel quartiere opposto.
Principalmente è questo.
D.
Vi è anche un discorso di gang, se vogliamo, ma soprattutto, inteso come quartiere o zona di provenienza. Era molto importante il senso di riscatto, di rivalsa sociale, di uscita dal ghetto: per questo motivo a New York dove è nato, proprio sui treni della metropolitana, rappresentava un modo simbolico di fuggire dal proprio ambito e far girare il proprio nome in tutta la città.
In sintesi, funzionava così: il “pezzo” dipinto sul vagone non veniva cancellato, conseguentemente, passava, ad esempio dal Bronx al Queens.
Parliamo di cinquanta anni fa, di un fenomeno che ha avuto un impatto globale talmente grande da diventare la forma di espressione artistica più diffusa sul pianeta.
Dove vai vai, in qualunque luogo, trovi un graffito
Passando alla sfera personale, come vi siete evoluti nel corso degli anni?
A.F.
Beh, diciamo che negli anni, ma parlo per me che sono partito come writer negli anni 90’, ad un certo punto ho abbandonato lo spray e mi sono dedicato allo sketching, allo scrivere, a dipingere in digitale…altri hanno percorso strade differenti.
Lasciati i muri ho disegnato copertine di artisti, rapper, magliette.. insomma, ho optato per un lavoro orientato più a un discorso grafico.
D.
Ho avuto anch’io la mia evoluzione, nel senso che, essendo un metodo di pittura applicabile a qualsiasi tipo di superficie, sono passato dai muri, ai treni, alle tele e non solo…
Occorre sottolineare che già a partire dagli anni 80’ molti writers esponevano le opere in gallerie d’arte, da A One a Rammelzee e Dondi, la creatività non ha prezzo.
A.F. Io la parte delle tele l’ho proprio saltata, ho fatto muri, metropolitana e treno per schizzare, non appena è nato il metodo su photoshop, direttamente al digitale.
Prima facevo tutto a mano, con il mouse, ai tempi con esso tiravo le linee e dovevo contemporaneamente guardare lo schermo…poi, fortunatamente, sono state inventate le tavole grafiche, , i tablet e gli IPAD.
La tecnologia è stata, dunque, un supporto rispetto al raggiungimento anche a livello di tempistiche del risultato finale?
D. La tecnologia cambia e su molte cose ti aiuta, anche gli spray che utilizzavamo agli inizi, non erano come ai giorni nostri.
Adesso hanno fatto linee di vernici apposta per i writers con un certo tipo di copertura, più pastosi e una certa varietà di colori incredibili.
Prima i colori erano solo quelli, anzi, per essere precisi, erano i tipici spray da ferramenta.
Per un ragazzino che ha iniziato cinque anni fa questo “perfezionamento” dei materiali utilizzati è normale, mentre una volta, ad esempio con il bianco era impossibile coprire il nero, oggigiorno, chi riesce a dare alle proprie opere effetti realistici, ai tempi poteva sognarselo, e se riusciva era una sorta di Michelangelo.
Se si è in grado di disegnare con i tappini e gli spray attualmente a disposizione, raggiungere questi risultati è molto facile, è solo questione di pratica.
A.F. Si chiama iperrealismo…
Approfondiamo…
D.
L’iperrealismo è bello da vedere, ma la mia idea di arte è differente.
A.F.
Adesso fanno i ritratti sui muri.
D.
Il discorso è che se lo fai con uno stile tuo che risulta inconfondibile, allora, è arte, se semplicemente ti limiti a ricopiare, sei un decoratore.
Secondo me, se non sei originale non sei un artista, l’ho sempre vista così, perché nel mondo del writing, dei graffiti, trovare uno stile che ti differenzia dagli altri, che ti rende riconoscibile anche da lontano è fondamentale.
Soffermiamoci sul throw up e sulla relazione che intercorre con l’originalità.
D. Consiste in una scritta, colorata, fatta velocemente e gettata sul muro: si esegue come fosse una firma.
Se ci pensi, tutti gli artisti che hanno fatto la storia dell’arte, li riconosci dal loro stile pittorico.
A.F. La scritta può essere bombata, fatta a palline, ma eseguita velocemente.
Alla base del writing vi è la ricerca di un proprio stile, di originalità.
Ciò che vi chiedo è: come riuscite a raggiungerla?
D. Con l’inventiva, provando e riprovando.
A.F. Diciamo che ti viene da sola.
Ciò che vorrei capire è se si tratta di qualcosa di studiato.
A.F. È istintiva, la raggiungi con il tempo.
Quando ho iniziato a fare i puppet, la prima cosa che ho fatto è stata cercare di capire come poterlo realizzare, poi, nel tempo, ho creato il mio tratto, tipo scarpe o cappuccio giganti e il corpo più piccolo.
D. C’è un evoluzione alla base.
È un po’ come quando vai a fare un qualsiasi corso, anche di pittura.
Ti danno le basi, le indicazioni per dipingere in questo o quel modo; se sei un’artista prendi quanto ti è stato insegnato e ci crei qualcosa di tuo, altrimenti copi.
La stessa cosa delle lettere.
Quando ho iniziato chi era più avanti di me, mi ha dato delle dritte, da lì, ho disegnato tutti i giorni, piano piano ho cambiato qualche forma.
Infine, se sei fortunato tiri fuori qualcosa di tuo che ti permette di farti riconoscere.
Tirando le somme: ti alleni
Ciò che vorrei capire è se si tratta di qualcosa di studiato.
A.F. È istintiva, la raggiungi con il tempo.
Quando ho iniziato a fare i puppet, la prima cosa che ho fatto è stata cercare di capire come poterlo realizzare, poi, nel tempo, ho creato il mio tratto, tipo scarpe o cappuccio giganti e il corpo più piccolo.
D. C’è un evoluzione alla base.
È un po’ come quando vai a fare un qualsiasi corso, anche di pittura.
Ti danno le basi, le indicazioni per dipingere in questo o quel modo; se sei un’artista prendi quanto ti è stato insegnato e ci crei qualcosa di tuo, altrimenti copi.
La stessa cosa delle lettere.
Quando ho iniziato chi era più avanti di me, mi ha dato delle dritte, da lì, ho disegnato tutti i giorni, piano piano ho cambiato qualche forma.
Infine, se sei fortunato tiri fuori qualcosa di tuo che ti permette di farti riconoscere. Tirando le somme: ti alleni
Riassumendo dietro l’originalità vi è dedizione.
D. Dedizione, studio e inventiva.
Vedo, ancora adesso, gente fare lettere che andavano quarant’anni fa.
Nel 2022 penso spesso: quella S è stata inventata quarant’anni fa, non solo la riproduci, ma sei anche contento?
Certo, sei bravo, hai disegnato bene, però cambia.. se non c’è evoluzione tutto muore..
A.F. Vedo tanti writers fare sempre la stessa lettera, che ci sta, ma nel momento in cui sono stati loro a inventarla… è il loro stile, il segno che li contraddistingue.
Cercare il proprio stile… entriamo nel merito.
D.
Se arriva il tizio X che ha iniziato dieci anni fa, ricopiando, non evolvendo mai, rifacendo cose già fatte da altri prima di lui, la vedo una perdita di tempo.
Non li considero artisti, ma fotocopie.
Prendiamo come esempio Basquiat.
Se nel 2022 vedi un soggetto creare tele con lo stile di quest’ultimo, sorgono spontanee due domande: cosa mi rappresenti? che senso ha?
Per quale motivo, giuridicamente, i graffiti vengono considerati atti vandalici?
D. Perché in teoria li fai sulla proprietà pubblica o privata.
Bisogna dire che c’è un codice da seguire.
A.F. Il codice dice che non si toccano monumenti e chiese.
D. Non vai a fare un graffito sulla macchina parcheggiata sotto casa o sul furgone del vicino: ciò permette di comprendere che il writer non lo fa per vandalismo, ma per esprimersi.
A.F. Andavi a farlo sulla fabbrica, sul muro di una ferrovia, sulle FS.
D. C’è però anche dell’ipocrisia: se uno è famoso, allora, va bene tutto, tipo Banksy che ha toccato i muri di Venezia.
Tante volte si esagera. Ti dico, a livello pratico, a me è capitato che mi “sparassero”, voglio dire, non spari a uno che rapina una banca, ma spari a uno che disegna con una bomboletta su un muro o su un vagone?
Ai tempi era così…
Adesso, però, avete gli Hall Of Fame, spazi liberi destinati ai graffiti..
A.F. Diciamo che, nel tempo, Milano, ha “regalato” cento muri legali, che però erano già quasi legali grazie alle crew ed erano, anche, già dipinti.
Data la dicitura “legali”, arriva il ragazzino che ci passa sopra.
Vi sono, dunque, i pro e i contro in questa cosa.
Si creano anche discussioni tra crew.
D. In assenza di rispetto, questo capita..
A.F. Regalando questi cento muri si è andato perdendosi il concetto di rispetto.
Un tempo, infatti, i writers si davano da fare per avere permessi dal Comune o dalle fabbriche private per avere la concessione del muro, così che, nel momento in cui si presentavano le forze dell’ordine, detta concessione veniva esibita.
Anni fa, ho attenuto la concessione per dipingere sui muri della Plasmon, adesso abbattuta.
Io ci potevo andare quando volevo, se arrivava un soggetto di un altro quartiere doveva chiedermi il permesso.
Come si può risolvere questo problema, secondo voi?
A.F. L’unico modo è capire chi è l’artista o la crew che dipinge su quel muro, contattarlo o contattarli e chiedere di avere o condividere lo spazio.
Se la risposta è no, allora no.
Di principio, se sei un artista rispetti l’arte altrui.
D. Uno che copre così, a caso, è però uno che ha cominciato adesso.
Quando sei nell’ambiente da un po’ di anni, non vai certo a coprire il lavoro di un altro.
Proviamo a elaborare il rapporto che intercorre tra arte e rispetto.
D. Io sposo quanto precedentemente ha affermato Alessandro: se sei un artista rispetti l’arte e, in generale, quella degli altri.
Dato che si possiede questa sensibilità, non si è vandali: i writers non creano opere d’arte, non scrivono così, a cazzo, su Chiese e vetrine.
Essendo un movimento che si è diffuso in tutto il pianeta, c’è anche una percentuale di imbecilli che vanno scrivendo ovunque, macchine comprese.
Cioè, in tutti i settori si trova qualcuno che non si capisce quali problemi abbia, dunque, non bisogna generalizzare.
A.F. Per quanto mi riguarda, rispetto l’arte degli altri, però ho sempre questa fissa: chi fa realismo o iperrealismo non è un writer.
Ti rispetto perché sei bravo, ma non ti rispetto sulla parte del writing.
Che relazione sussiste tra writer e gallerie d’arte?
D. Nel mondo dell’arte alcuni di essi sono molto quotati e costano un sacco di soldi.
A Parigi organizzano tantissime mostre aventi ad oggetto le personalità degli anni 80’ di New York.
Si può dire che il tutto è gestito da un élite focalizzata sui grandi maestri che hanno inventato questo stile.
Abbiamo writer che guadagnano bene, fanno quadri delle loro opere pur non essendo ai livelli dei grandi maestri di New York, sebbene siano europei e storici.
Ha senso prendervi e portarvi dentro una galleria d’arte? Con questo, intendo l’ingresso del writing nel mercato dell’arte.
A.F. Certamente, dipende tutto da ciò che hai fatto e se ha un senso quanto hai fatto.
Tieni conto che valutati sono coloro che apportano novità.
Perché avete scelto il writing?
A.F. Ci sono nato, sono nato “per strada”, ho frequentato il quartiere, la zona, la città.
Per strada ci si conosce..
Ho iniziato davanti scuola con gente più grande di me che già dipingeva.
Il bello è che ci si confrontava… vigeva un vero e proprio principio di comunità: ci scambiavamo book e idee, inoltre apprendevamo l’uno dall’altro.
Mi sentivo bene a fare questo, stavo bene dentro a questo meccanismo.
Sicuramente non lo si fa per moda, coloro che sono partiti per questo motivo sono spariti, gli altri, invece, sono in giro anche da cinquant’anni.
D. Quando ho iniziato ero proprio un ragazzino, avevo 15 anni… era l’88’, quando il movimento era praticamente giunto in Europa.
Mi sono voltato e mi sono detto: “ Chi ha fatto quella scritta?”.
Erano circa due persone, massimo tre che lo facevano.
La cosa mi ha preso e mi ci sono messo anche io… andavo in giro e facevo foto, ne ho conosciuti alcuni di persona, ai tempi c’erano i punti di ritrovo, c’era il muretto di San Babila, frequentato dai primi rapper.
Come per tutte le cose, penso che il motivo per cui si decide di farlo sia soggettivo, dalle attitudini con cui inizi a farlo.
Sono fondamentali due elementi: passione e costanza.
Devi martellare, non mollare, bisogna continuare sulla strada intrapresa… essere sicuri di sé.
Bisogna fare tanta gavetta, ci sono step da superare.
Abbigliamento?
D. Una volta ci si vestiva larghi, tra l’altro le tute che indossavamo costassero parecchio.
A.F. Ci davano dei barboni, nonostante i miei pantaloni larghi, a ben guardare, avessero un prezzo superiore
di quelli firmati.
Un pantalone mi costava centocinquantamila lire. Pensa, agli inizi rubavo i pantaloni di mio padre che era più grosso di me.
Quando entravo in casa di mio nonno mi diceva: “Vestito così in casa mia non entri, se vuoi entrare devi vestirti normale”.
Rispetto a quanto mi state dicendo, spesso si dice vi sia una relazione con il senso di ribellione. Cosa ne pensate?
A.F. Io non l’ho mai provato, era il mio stile. Fare graffiti, per me, non è ribellione.
D. Questa cosa è sempre stata scritta sui giornali… vandali e ribelli.
Era proprio a questo a cui volevo arrivare.
D. L’italia vuole sempre mistificare tutto
Perché, allora, vi è tutt’ora questa tendenza a fare girare un informazione che non corrisponde a realtà?
A.F. Non lo so, forse, per screditare questa cultura, sempre secondo me.
Non l’ho mai capito… fin dagli inizi graffiti e rap venivano collegati ai centri sociali.
Adesso dicono che il rap è spaccio e armi, invece non è così.
Ho fatto serate Hip Hop in cui, se non eri ben vestito, non entravi nel locale.
Infine, sfaldiamo la credenza secondo cui il writing è legato al contesto sociale.
A.F.
Ci sono writer che lo fanno perché economicamente stanno bene, noi del settore lo sappiamo.
Immagine in evidenza, Dropsy.