Frammenti dell’io. Intervista a Anita Riva.
Carlo Riva vivifica la verità di una catarsi esistenziale personale, radicata, dapprima, all’involto fisico, ammantato da inusuali vesti, scolpite dal suo sguardo lungimirante e profondo; essa digrada, poi, nella fondatezza della levità di un pensiero plastico, gemmato dalla percolazione, concepita passando attraverso il polisemantico insegnamento di Rudolf Steiner.
Nell’intervista viene raccontato dal labbro e dalla memoria della figlia Anita, che, attualmente, insieme alla curatrice e poetessa comasca Maria Marchese, lumeggia la personalità e lo spessore artistico del padre, perché esso non si perda tra le polverose trame del tempo.
Che uomo è stato Carlo Riva?
Rispondendo a questo quesito in qualità di figlia, ovviamente darò di lui un’immagine alquanto personale e di parte. Detto ciò Carlo Riva è stato un uomo schivo, riservato e dedito all’arte per tutta la sua vita. Si è dedicato ad essa in modo totalizzante e viscerale.
Nato a cavallo delle due guerre mondiali (1926), cresciuto in una famiglia di estrazione sociale umile (artigiana e contadina), primo di quattro figli e votato, per desiderio del padre, alla carriera ecclesiastica.
Una volta deluse le aspettative di mio nonno, viene posto a condurre la bottega di famiglia che, ben presto, si trasformerà nel suo laboratorio.
Dal punto di vista artistico, con il tempo, come si è evoluto?
Essendo nata nel 1963, quando ormai mio padre aveva 37 anni, ho esperienza del suo lavoro in età matura.
Certo è che, partendo dai primi lavori conosciuti, nei quali è facile notare l’influenza impressionista nel racconto della sua Brianza, quelle fiamminghe e manieristiche nei nudi e nella ritrattistica, a me sono più noti i momenti della ricerca contemporanea. È negli anni 70-80 che esprimendosi e crescendo vorticosamente passa da esperienze futuriste, astrattiste, fino ad un simbolismo totalmente “suo”. Grande importanza in ciò è riservata alla conoscenza dal 1974 (anno in cui compie anche la scelta di passare ad una dieta vegetariana) della antroposofia di R.Steiner.
Di formazione cristiano cattolica (con una visione della vita affine al concetto calvinista di manzoniana memoria, tipico dell’area brianzola) e sempre alla ricerca di risposte sul senso della vita e dell’esistenza in generale, Steiner gli è di grande aiuto quando si imbatte nell’ “Architettura della libertà”. Da quel momento “spicca il volo” in un modo tutto suo, dove da un lato stimolato da questa filosofia rivede il suo approccio con l’arte figurativa, dall’altro si impegna in una “divulgazione” dei suoi concetti attraverso “ARS EST MISSIO”, ovvero momenti di opening al pubblico della sua bottega. Grande attenzione verrà riposta poi nella stesura di una sorta di diario quotidiano, fatto di aforismi, brevi discrezioni di opere ed esperienze giornaliere che lo accompagnerà fino alla fine prematura dei suoi giorni.
Quale concezione aveva dell’arte?
A questa domanda risponderò con una sua frase: “l’arte con la A maiuscola è quella che ha il potere di comunicare attraverso l’intelletto astratto le opere che provengono dal mondo cosmico. Ciò appartiene all’individuo in quanto cosciente di una realtà cosmica, di una realtà tattile-visibile, sostanziale, che diventa missione da portare a conoscenza della verità cosmica dentro l’uomo. L’arte è una derivazione dell’amore dell’emanazione del Creatore, quindi è dono. Tutto ciò che abbiamo è dono e come dono lo dobbiamo onorare”. (12.03.1993), tratta dai suoi quaderni.
Suo padre è stato un artista a tutto campo, orientandosi tanto alla scultura quanto alla pittura. Entriamo nel merito ditale aspetto.
Fondamentalmente, mio padre aveva le mani di un artigiano, cioè come ci insegna l’etimologia della parola “artigiano”, essa ha la provenienza dalla parola principale arte, che a sua volta deriva dal latino ars, artis, che indicava ogni abilità “materiale o spirituale”.
Perdonatemi il paragone è a Leonardo da Vinci, e a lui assimilabili e comunque a tutti quei geni a cui mi riferisco nell’accostarlo. Qualsiasi campo fosse investito dal suo interesse, trovava un esito, un riscontro creativo positivo. Non solo pittura o scultura ma oggetti di design e scrittura l’hanno affascinato. Frequentatore della Scala di Milano, grande cultore dell’opera verdiana e pucciniana, non suonava uno strumento ma ne riconosceva le sopraffine esecuzioni. Concludendo, ritengo mio padre un artista a 360° dove la parola arte diviene ragione di vita, l’alito senza il quale non è possibile perdurare.
“I veri artisti sono l’aristocrazia del sentimento”.
Segni, colore e inconscio: in che modo, Carlo, poneva questi elementi in correlazione tra loro?
Decisamente la domanda più difficile a cui rispondere. Ricordo molto bene le sue osservazioni su di una “coscienza cosciente” nell’uomo. La necessità di avere discernimento anche del proprio inconscio. Capire cioè da dove provengono gli input creativi. Nel sul ultimo periodo esisteva una sorta di canalizzazione dell’Universo intero attraverso i suoi sogni. Spesso i sogni venivano, in seguito, raffigurati e tutti i personaggi presenti nelle opere erano protagonisti in una sorta di meta linguaggio. La madre, per esempio, mia nonna, era l’anima antica, colei che porta la saggezza. Infine, per rispondere alla sua domanda, direi che gli elementi citati sono fortemente intrinsecamente legati tra loro.
Infine, tra le innumerevoli opere di Carlo, le chiedo di raccontarcene una che ha maggiormente a cuore.
Non racconterò di una delle opere più belle e significative per il pubblico, ma quella che lo è “solo” per me. Perché è stata fatta solo per me e parla di me. Essa nasce da un preciso episodio: avevo all’incirca otto-dieci anni e come ogni sera, mi sono recata nel laboratorio di papà per ricordargli che la cena era pronta, su espresso desiderio della mamma che, giustamente, si spazientiva ad attenderlo.
Lo trovo con la tavolozza in mano, il camino acceso, intento a schizzare su un album da lui creato con fogli da carta da pacco.
Ad un tratto alza gli occhi e, come rapito dalla mia immagine, gira il foglio e comincia a tracciare velocemente il mio volto. L’ovale, le trecce fermate da due nastri blu, due altre macchie blu a sottintendere i miei occhi, i nostri occhi. Ecco, finisce tutto lì, poi via a cena dalla mamma. Anni dopo ho ritrovato quel foglio e ho ricordato, come quando si riavvolge la bobina di un film, quell’episodio breve ed intenso. Ora quel quadro sta lì, in camera, a raccontare la bambina che ero. Come un mio alter ego. Preziosissimo per me e, forse, banale per altri, visto che è l’unico ritratto che posseggo.
Frammenti dell’io, collettiva d’arte a cura di Maria Marchese e Valeriano Venneri
Inaugurazione
Giovedì 27 Gennaio 2022 presso “QUO IMMOBILIARIA”, Calle Canalejas 13, nella città di Alicante (ES).
Chiusura
Mercoledì 27 aprile 2022.
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