L’eterna lotta tra bene e male nel libro intervista “Passiamo all’altra riva“.
A Seregno la presentazione con don Benito Giorgetta e il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura.
Seregno, cittadina della Brianza, nonché luogo nel quale la ‘Ndrangheta da anni, ormai, ha affondato le proprie radici, rafforzandole sempre più, comune la cui giunta , sciolta nel 2018 per infiltrazione mafiosa, ha ospitato lo scorso 25 maggio, presso “ Sala Monsignor Gandini “ una delle innumerevoli presentazioni di “Passare all’altra riva“, libro – intervista di don Benito Giorgetta, parroco a Termoli a Luigi Bonaventura, collaboratore di giustizia dal 2006 ed ex affiliato alla ‘Ndrangheta crotonese.
La serata organizzata da “ Associazione Culturale Ripartiamo “ avvenuta alla presenza di ambo i protagonisti ha assunto sfumature psicologiche, educative, sociologiche, spirituali e giuridiche, in perfetta linea con il contenuto del volumetto in esame, tramutandosi, infine, in vero e proprio dialogo con i presenti in sala.
Tema centrale il concetto di legalità, affiancato a una concretezza: la criminalità organizzata di stampo mafioso, si evolve, con il mutare dei tempi e della società, un cancro che aggredisce da dentro, istituzioni comprese.
A prendere parola, in prima battuta, è stato Don Benito Giorgetta: “L’idea che abbiamo cercato di tracciare nel libro, significa, anche, difendere il patrimonio della correttezza, della verità, della legalità e della giustizia che, in qualche modo, alberga nel cuore di ogni uomo, perché in esso è depositato il seme del bello, del buono e del giusto. Io dico, sempre, che l’uomo è l’unico è l’unico animale che ciò che fa, non lo fa per eredità istintuale, ma per scelta e per l’insegnamento ricevuto. Prendiamo l’esempio di un cane: tutti i cani del mondo bevono dalla ciotola e abbaiano allo stesso modo, in quanto non essendo liberi sono costretti dal loro istinto. L’uomo, invece, è un essere libero, parla lingue diverse, ha usi e costumi diversi, possiede nobiltà o grettezza d’animo, conosce la violenza o la pace, la pacatezza o l’irruenza: tutto dipende dal luogo di provenienza, da chi e come è stato alimentato nel suo cuore.
Se l’uomo si abbruttisce nel cuore, nell’anima e, di conseguenza, nei comportamenti è perché, diversamente, non gli è stato insegnato e quello ha visto fare.
Occorre, dunque, creare, a monte, un margine educativo che significa di accompagnamento, di estrazione (nel senso più nobile del termine ) dalla propria anima e dal proprio cuore di ciò che di bello è depositato in ognuno di noi. Gli ‘ndranghetisti, per rimanere in tema, non sono solo coloro che sono assunti alla cronaca dei giornali nazionali o internazionali perché hanno firmato delitti importanti o perché hanno compiuto azioni malavitose o via dicendo, questa è la mafia emergente, è la punta dell’iceberg; sappiamo bene che quest’ultimo non è solo la parte che emerge, ma c’è altro“.
Prosegue, poi, Luigi Bonaventura che circa il suo cambio di rotta spiega : “Si raccontano le mafie come fossero una cosa sola, in realtà non è così, ed è giusto entrare nel merito delle differenziazioni. Io non mi sono ribellato solo a mio padre, mi sono ribellato all’ala paterna della famiglia, quindi a mio nonno, ora deceduto, un importante boss. La ‘Ndrangheta è una forma culturale che si tramanda di padre in figlio, cerca consensi, così come lo fa ogni forma di potere, è una mentalità che, con ogni probabilità, esiste già da prima dell’unità d’Italia.
Sicuramente la scelta più difficile è stata quella di ribellarmi alla ‘ndrangheta, alla famiglia, di pensare con la mia testa. Ho iniziato a dissociarmi nel 2005, l’idea di collaborare, definitivamente, con la giustizia è maturata grazie a mia moglie. Durante questa fase ho subito degli agguati, portati avanti anche da mio padre, in quanto da regola, il disonore deve essere lavato dl parente più prossimo. Questo gesto, permette, inoltre, di sedersi alla pari con le altre famiglie e acquisire in tal modo potere: stiamo, infatti, parlando di una famiglia disposta ad ammazzare il proprio figlio nel momento in cui tradisce. Ho ufficializzato la mia collaborazione un anno mezzo dopo, non riuscivo a mettere tutto nero su bianco, perché sono cresciuto con l’omertà. In seguito alla firma di quel verbale, per tre anni e tre mesi, non c’è stato un giorno in cui non ho fortemente desiderato morire.
All’improvviso il mio mondo, ovvero la famiglia, mi ha considerato morto, una vera e propria morte esistenziale, ma da quella morte si può rinascere. Ricordiamoci che se la mafia non dimentica, la ‘Ndrangheta ancora meno. Per me, oggi, la paura più grande è quello che sarà per tutti i nostri figli, perché stiamo costruendo un mondo di macerie. La mia storia dura da 15 anni, non vivo sotto protezione, perché questo programma non funziona“.
Rinascere, tornare alla luce, una seconda volta, un equivalente di ricominciare, a partire da zero, nonostante gli strascichi di un passato sempre vivi e impossibili da cancellare, i quali divengono, a loro volta, l’origine di un processo di analisi e crescita interiore, un percorso di conoscenza di sé che richiede consapevolezza, non solo delle proprie ferite ma anche di quelle inferte.
Come un’archeologa che ama scavare, in questo caso nel trascorso, nei dubbi e nelle emozioni di coloro che mi stanno innanzi, ho posto due domande a Luigi, di natura personale.
“Quali emozioni associ al tuo passato e al tuo presente?”.
“Sai, se mi soffermo sul passato, le mie emozioni sono negative, legate al dolore, quello subito e quello procurato. Ogni emozione della mia giovinezza è stata sempre triste. C’è da dire che ancora, oggi, mi emoziona il coraggio che ha avuto mia madre nel contrastare mio padre e il ramo paterno della famiglia.
Quest’ultima è stata una donna che mi ha dato un briciolo di educazione, il dolore deriva dalle botte che essa ha preso. Ricordo con amore mio nonno materno che per me è stato un esempio: è a lui che mi ispiro.
Guardando indietro, non riesco a trovare giornate ricche di emozioni, eccetto quando mi sposato con mia moglie, la quale ha aggiunto quei semini che mia mamma ha cercato di inculcare in me fin da piccolo, nonostante la famiglia patriarcale. Altra grande emozione del passato è unita alla nascita dei miei figli.
Ad ora, invece, ogni giorno è ricco di emozioni, anche il più brutto dei giorni. A fine serata, mi interrogo, sempre, sul mio agire quotidiano, mi domando se ho sbagliato e dove”.
“Hai mai sentito l’aggettivo “pentito“ come un’etichetta o un peso, gravanti, quotidianamente, su di te? ”, centrando il punto a cui volevo arrivare, ovvero la connotazione negativa, sovente, attribuita a tale termine.
“L’aggettivo pentito è usato in modo discriminante. In realtà non è bello sentire questa società affermare che quelli sono i figli di un ex mafioso o di un pentito. Una delle cose più brutte che ho sentito da quando ho iniziato a collaborare, portandomi a vivere depressione e una forte tristezza dentro è che, spesso, mi sono sentito orfano di Stato. Succede anche questo a un ex ‘ndranghetista ed ex bambino soldato che, non ha tradito la sua famiglia paterna, ma ha, semplicemente, sposato altri valori, quelli cioè trasmessi dall’ala materna. Per quanto riguarda la parola “ pentito “, tra di noi preferiamo chiamarci “collaboratori di giustizia“ , perché, tecnicamente, alla legge italiana non importa se sei pentito, davvero. Penso che se uno è pentito, lo deve dimostrare tutti i giorni, con i fatti. Dopo anni di esperienza ho iniziato a valutare chi è davvero pentito. Un collaboratore di giustizia, veramente pentito e, non prendo me come esempio, ogni giorno supporta gli altri“.
La storia di Luigi, la cui persona ha varcato la conflittualità, il dualismo insito nell’animo umano, nel momento in cui da ‘ndranghetista sceglie la via delle legalità, pone l’accento sulla fragilità umana derivante da una società parallela a quella civile che inculca regole sue proprie e dissacranti, conferma, allo stesso tempo, che un tale stato può essere squarciato, in qualunque attimo per raggiungere il giusto equilibrio, denunciando, perché chi denuncia non sbaglia, mai.
Un elemento è evidente: determinati meccanismi, possono essere bloccati sul nascere, attraverso i duplici fattori cultura ed educazione trasferiti ai nostri figli fin dalla tenera età.
Per quanto mi riguarda, è altresì importane, avvicinare le nuove generazioni all’ascolto empatico dell’altruità.
“Passiamo all’altra riva”, di don Benito Giorgetta
Prefazione di Papa Francesco
Postfazione di don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera contro le Mafie”.
Edito Youcanprint