Jeanne Hébuterne. Tra pittura, amore e morte.
In questa vita non è difficile morire / vivere è di gran lunga più difficile”.
Vladimir Majakovskij
Se storia e psicologia pongono l’accento sulla veridicità dell’assioma genialità / fragilità, il medesimo discorso, non sempre, può riguardare l’affermazione che attribuisce all’arte il potere, in quanto medicina dell’anima, di salvare l’individuo da gesti inconsueti.
Narro, oggi la breve vita di Jeanne Hèbuterne, talentuosa pittrice che disperazione indusse al rigetto per l’esistenza terrena.
Estremamente bella, minuta, dall’incarnato etereo e i lunghi capelli castani con riflessi rossi che le garantirono il soprannome di “ Noix de coco”, Jeanne Hébutern venne definita “ Vicieuse et sensuelle” da Tsuguaru Foujita pittore e poeta giapponese per il quale posò.
Semplicemente perfetta, dunque, una vera Divinità in terra, a maggior ragione quando alla componente fisica si aggiungono ulteriori elementi quali l’intelletto, la serietà e le evidenti doti artistiche che le permisero di iscriversi all’Académie Colarossi fondata nel XIX secolo dallo scultore italiano Filippo Colarossi che, non solo accettò studentesse, ma permise loro di dipingere modelli maschili nudi.
Il destino nei confronti della fanciulla assunse un modus operandis alquanto conflittuale: se da un lato le concesse in dono possibilità e numeri per emergere, dall’altro si dimostrò meno generoso, ponendola nel dicembre 1916, innanzi ad Amedeo Modigliani del quale, in seguito, divenne musa e compagna fino alla morte.
La relazione con l’uomo fu subito condannata dalla cattolica e conservatrice famiglia di lei così che, nel luglio 1917 , la coppia andò a vivere insieme presso uno studio a Montparnasse.
L’amore di Jeanne per l’artista livornese fu spesso irrequieto.
Per la donna furono tre anni di passione, sofferenze e umiliazioni in quanto non mancarono i tradimenti dell’uomo e sovente scoppiarono litigi, nonostante ciò la fanciulla lo amò profondamente, sinceramente e sempre, come il primo giorno, quando decise di lasciare la certezza derivante dal focolare domestico per intraprendere il proprio percorso futuro con uno squattrinato artista italiano, malato e dedito ad alcol e droghe.
Vissero in perfetto stile bohémienne e patirono le ristrettezze economiche che tale condizione comporta, mangiarono nei café degli artisti e frequentarono mostre.
Modigliani dipinse Jeanne a più riprese e ne riconobbe lo spiccato talento, ma la giovane donna sottomise il suo genio a quello maggiormente innovativo del compagno.
Nel 1918 si rese conto di essere incinta e Modigliani, più volte, la ritrasse nel corso delle varie fasi della gravidanza con il ventre che piano piano lievitava e un volto illuminato di dolcezza.
Dopo la nascita della piccola Jeanne la situazione degenerò: il pittore tornò alle sregolatezze, riprese a frequentare altre donne e, in preda a un violento furore, creò nuove opere.
In dolce attesa per la seconda volta nel 1919, Jeanne ravvide il suo volto ormai sbiadito, distante anni luce dai primi ritratti eseguiti da Modigliani: ad egli diede tutta se stessa e, inevitabilmente, ne pagò le conseguenze, sia dal punto di vista fisico che psichico.
In quei pochi attimi di stabilità apparente che le si presentarono, disegnò e diede sfogo a una molteplicità di opere dalle molteplici interpretazioni.
La Hébutern amò ritrarre figure femminili, la sua, in particolare, anche nuda.
La donna, così come i tanti artisti con la quale ebbe modo di relazionarsi, fu ben lontana da quella pittura che caratterizzò l’impressionismo, legata cioè alla natura con i suoi giochi di luce e alle scene di vita della società borghese.
Visse anch’ella il mutamento e si lasciò ammaliare dalla componente emotiva, dalla mordacità della linea e da un accentuato cromatismo.
Diversamente dai toni scuri e linee allungate che caratterizzarono Modigliani, Jeanne si auto immortalò nel suo spirito più risoluto, energico, forte, con sguardo fermo e seducente, lo chignon alto o due trecce abbandonate sulle spalle; linee e cromature decise sembrano risentire del tratto orientale di Tsuguaru Foujita.
Nelle sue opere si notarono leggere influenze gauguiniane e post-impressioniste.
In “Natura Morta“ posizionato all’interno di un ambiente spoglio vi è un pianoforte chiuso, sopra al quale è riposto uno spartito musicale aperto; un mazzo di fiori è ancora incartato e, a rendere ancora più inquietante il tema, la presenza di candelabri vuoti.
Il tutto venne eseguito con una grande qualità espressiva.
“La suicida” svela il dramma interiore vissuto in quella particolare fase e, forse, rappresentò il presagio di un funesto avvenire
Ella si dipinse nella sua camera, sopra al letto e il corpo reclinato in una posa scomposta: si è appena pugnalata, dal petto fuoriescono le prime gocce di sangue e il ventre gonfio ne indica lo stato interessante ; l’occhio si sofferma sul rosso di sangue, capelli e gonna.
Un duro inizio come da buon romanzo richiede una fine altrettanto tragica.
Il 24 gennaio del 1920, Amedeo Modigliani consumato dalla tubercolosi si spense.
Accanto a lui la compagna.
Se in prima battuta la giovane donna restò fredda e impassibile, la perdita del suo Modì le risultò a tal punto insopportabile che optò per una soluzione estrema, senza ritorno.
Il giorno stesso venne condotta in una confortevole camera d’albergo, nella quale il mattino successivo, sotto al guanciale una cameriera trovò un rasoio, ragion per cui fu portata a forza nella casa paterna.
Infine il triste epilogo: devastata dal dolore del lutto, intorno alle quattro del mattino del 26 gennaio, al nono mese di gravidanza si lanciò dalla finestra dell’appartamento al quinto piano.
Morì sul colpo insieme al bambino portato in grembo.
Jeanne incarna la conflittualità tra Eros e Thanatos, ovvero l’ eterno scontro tra impulsi differenti: l’amore inteso quale forza in grado di generare la vita e la morte con la distruzione che essa genera.
Se il primo elemento riconduce alla sopravvivenza, il secondo alle tendenze autodistruttive.
Thanatos sconfisse Eros, sottraendola non solo all’amore di madre, ma anche a quello per l’arte.
Con il suicido, a suo modo, Jeanne creò una sorta di continuità con il suo grande amore, nella vita come nella morte.
Un Io reso fragile dal tormento causato dalla morte del compagno, impedirono alla giovane di espandere le proprie inclinazioni naturali e acquisire, pertanto, una propria individualità artistica distaccata da vicissitudini personali legate alla figura del noto artista.
Del resto, recita l’epitaffio : “Compagna di Amedeo Modigliani, devota fino all’estremo sacrifizio.”
In questa tragica vicenda brucia però vivo un pensiero : quell’amore che fu una ragione per vivere si tramutò in ragione per morire.