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L’autismo nella società moderna.

| I Bellottiani |

Il termine autismo deriva dal greco autòs che significa “se stesso” e, sin dal passato, è  stato associato a mancanza di socialità.
Il primo ad utilizzarlo è stato lo psichiatra Bleuler che riteneva un paziente affetto da tale sindrome, in quanto ritirato dal mondo reale con un pensiero al di fuori di una logica definita.
Queste persone secondo Bleuler si possono definire apatiche e con un pensiero ripetitivo chiuso in circoli viziosi che portano all’isolamento.
Egli riteneva l’autismo un sintomo secondario della schizofrenia dove le persone allontanandosi da una vita sociale si rinchiudevano in un mondo interiore.
Ai nostri giorni, detta problematica, viene, invece, considerata come un’aberrazione contemporanea, un disturbo singolare di questi tempi disordinati, fatto, spesso, di overdose di videogame.
Nei bambini di oggi tale sindrome si manifesta più frequentemente e rientra nello spettro delle anomalie del comportamento.
Pare che il condizionamento ambientale sia una delle prime cause.
Lo stress, il logorio della vita moderna, già dal grembo materno indurrebbero il neonato a proteggersi dai rischi di una comunità afflitta dalla solitudine.
La chiusura nel proprio scrigno di incomunicabilità altro non sarebbe che, una reazione protettiva alla paura di affrontare l’egoismo totale della società che, senza rendersi conto, produce soggetti autistici perché essa stessa autistica.
Una società, dunque, sempre più confusa dove l’esperienza del vivere insieme è completamente sparita, sacrificata dal puro individualismo, nel quale si evidenzia l’allontanamento dell’individuo dalla vita reale, il quale ne costruisce una virtuale e finta.
L’esigenza di pubblicare foto, video in rete è l’emblema di una società costruita in cui si comunica senza più la necessità di guardare l’altro negli occhi. 

I Bellottiani

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