Deontologia e giornalismo. Intervista a Michele Cucuzza.
Accompagnati da Michele Cucuzza entriamo, oggi, nel mondo del giornalismo che, spesso , contestato, rimane, comunque, un campo magico e frenetico, nel quale assume rilievo non solo l’impatto con il lettore, ma anche alcuni principi inderogabili nello svolgimento di tale funzione.
Intervista a cura di Cozzoli Mara e Carlo Capocasa
Quali sono i principi deontologici a cui deve soggiacere colui che decide di intraprendere la strada del giornalismo?
Cominciamo con il dire che l’Ordine dei Giornalisti è regolamentato dal Ministero della Giustizia.
Per i giornalisti professionisti sono previsti 18 mesi di praticantato e un duplice esame, scritto e orale, lo scritto è propedeutico quindi, se non lo si supera, non si ha accesso all’orale che è presieduto da un magistrato, in funzione, proprio, di quanto affermato prima circa la regolamentazione da parte del Ministero della Giustizia: ciò fa capire, chiaramente, come la preparazione del giornalista professionista è anche di tipo giurisprudenziale, dato che si andranno a seguire inchieste e processi dobbiamo sapere cosa sono l’interrogatorio, la Corte d’Assise D’appello, la Corte Costituzionale e via dicendo.
Abbiamo, inoltre, una serie di norme che, naturalmente, dobbiamo rispettare.
In primis la verifica delle fonti, non possiamo diffamare, inventarci notizie, in quanto non solo c’è il rischio di essere smentiti da altri colleghi, ma possiamo incorrere in sanzioni penali e anche disciplinari, richieste di risarcimento che sono molto consistenti e, a volte, mettono in difficoltà rispetto al debitore.
Ovviamente, anche il giornalista pubblicista deve rispettare le regole.
Fin qui la situazione è abbastanza chiara.
Da qualche anno, come è noto, tutto è cambiato: è arrivato internet.
Cerchiamo di capire cosa significa l’avvento di internet.
L’arrivo di internet è la più grande conquistata democratica che, senza spargimenti di sangue, ha consentito a tutti di esprimere la propria opinione.
Mai nessuna rivoluzione è stata così efficace e contemporaneamente senza conseguenze per i protagonisti. Doveva essere questo: il diritto di tutti nell’esprimere il proprio pensiero, informarsi, quindi accedere alle fonti.
La situazione, nel corso del tempo, è degenerata perché, non essendo obbligati alle regole a cui sono sottoposti i professionisti, chi non ha titolarità per scrivere e commentare, in quanto poco informato e facilmente condizionato, ha condotto a quanto vediamo quotidianamente.
Oggi l’informazione è molto influenzata dai social, da internet, le notizie corrono velocissime e agli utenti arrivano milioni di sollecitazioni alcune delle quali sono completamente inventate e altre sono opinioni spacciate per verità, ovvero la post-verità, nello specifico quando affermi che un individuo è un assassino. Sì, ma su quali basi? Questa è una tua opinione.
Quindi, fake news, post verità e, di mezzo, ci può essere anche l’orientamento politico – culturale di una persona.
Ecco, questo rendere difficoltoso il districarsi.
Ha parlato di orientamento politico- culturale, allora le chiedo: come può un giornalista rimanere oggettivo rispetto a una situazione legata alla componente politica sposata? È possibile rimanere obiettivi?
È difficile. Occorre capire cosa si fa prevalere. Secondo me un giornalista deve sapere moderare il proprio orientamento politico. Non voglio parlare di me stesso, ma io sono un cittadino che vota, non uno che non vota quindi, votare significa avere scelto un orientamento politico, avere espresso la propria volontà indipendentemente dal mio lavoro.
C’è da dire che adesso la gente non vota quasi più.
Cosa fa prevalere nel suo lavoro?
La curiosità. Cerco di avere la stessa curiosità della gente, la mia curiosità è quella del lettore e dell’ascoltatore.
Faccio un esempio: la storia di Messina Denaro.
Perché 30 anni di latitanza? Senza raccontare cose facili, ma verità senza dimostranza.
È stato protetto? Sì, ma da chi? Ma seguiamo le indagini di magistrati e carabinieri. Si è consegnato? No, è una panzana clamorosa che viene spacciata per verità, solo perché lo dice Baiano, portavoce dei fratelli Graviano, ergastolani e boss di Cosa Nostra.
Questa è stata un’operazione di inquinamento e, a mio avviso, chi gli sta dietro, mi spiace dirlo, lo fa solo per avere seguito e ascolti, senza fare verifiche, reali.
Escludendo qualcuno, ho notato che si è fatto parlare tutti, forse, troppi.
Nello svolgere il nostro compito, noi siamo come dei vigili urbani: fare rispettare lo stop a chi dice sciocchezze e fare passare chi argomenta in modo convincente e plausibile, comprenderne l’autenticità.
Da cosa deriva il mal funzionamento della comunicazione?
Beh, si fa prevalere l’opinione piuttosto che la ricerca dei fatti.
Tornando a Messina Denaro, vi è l’idea che la mafia sia un potere invincibile, ciò significa che si è subalterni, culturalmente, ad essa.
Uno come Messina Denaro non può avere contrattato, è stato arrestato.
La curiosità dovrebbe essere: come ci sono arrivati? Quindi, bisogna ascoltare coloro che lo hanno arrestato, non le opinioni. Cosa dicono la Procura di Palermo e il Ros? Ci hanno raccontato che dalle intercettazioni ambientali hanno capito che era gravemente malato e aveva un cancro.
Se non ci fossero state le intercettazioni non l’avrebbero saputo, non perché le sorelle che parlano al telefono non sanno di essere intercettate anzi, lo sanno benissimo, però le mezzi frasi ascoltate per settimane, ti portano a capire che quest’ultimo ha qualcosa di serio.
Cosa hanno fatto? In un secondo momento un’operazione di screening di grandissima intelligenza: hanno preso tutti gli ammalati di cancro di 61 anni della provincia di Trapani e hanno indagato su ciascuno di loro.
Qui entra in gioco anche un discorso di privacy, ma ne hanno trovati 10. Da 10 sono passati a 5, da 5 non ne è rimasto nessuno e… in quel momento si è addirittura pensato che l’operazione fosse fallita. Un giorno però, scoprono che una persona che si chiama Andrea Bonafede è contemporaneamente in due posti, uno presso una Clinica di Palermo cioè la Maddalena e uno in provincia di Montebello. Dunque, la notte precedente l’arresto hanno circondato la clinica senza neanche sapere se avrebbero trovato Messina Denaro. L’indomani quando è stata avvistato, alla fatidica domanda: “Come si chiama? “ è giunta la risposta: “Matteo Messina Denaro“.
Le forze dell’ordine, per altro, non avevano una sua foto recente, dunque non lo conoscevano.
Per concludere, ci siamo trovati innanzi a un’operazione di polizia di grandissimo interesse.
Purtroppo, qualcuno è rimasto fermo all’ideologia che il capo mafia non può essere sconfitto.
Quello che conta è lo spirito con la quale si muove il giornalista, l’anima deve essere il più possibile vicina ai fatti e alla verità, prescindendo dalle proprie convinzioni.
Questo è ancora più importante della questione delle fake news, perché nel nostro campo c’è ancora chi si muove seguendo le proprie convinzioni che, a volte, portano alla verità, ma il più delle volte si allontanano.
Quindi, rischia di venire meno la famosa regola delle W?
Sì, quella la insegnano al primo giorno del corso per diventare giornalista, anche se ormai non è necessario.
Uno deve sapere, soprattutto, distinguere una notizia da quella che non è notizia.
Occorre trovarne l’origine. Ora se si pensa di avere le notizie scrollando Google viene da ridere, bisogna essere molto attenti. È anche vero che se si apprendono le notizie dalla televisione, dai siti della Rai o dai quotidiani, quella è fonte… è sicuramente vera, altrimenti, non la direbbero.
Si crea, conseguentemente, una sorta di Gerarchia delle fonti, per la quale una testata nazionale, una TV nazionale, un’agenzia di stampa, hanno maggior valenza rispetto a un qualsiasi blog o canale di comunicazione.
Sono cambiate tante cose: adesso non è la procura a farmi sapere che Messina Denaro è stato arrestato, adesso lo scopro dal sito della Rai che, a sua volta, l’ha saputo dai suoi corrispondenti a Palermo.
Per semplificare: la Rai è fonte e lo è 100000 volte più di un qualsiasi sito che compare sul web.
Quello del giornalista è un mestiere che si impara, ma ormai vige la regola che si nasce imparati.
DI conseguenza, spesso, ci troviamo schiere di giovani che non sanno fare nulla ma vogliono andare in TV perché hanno visto altri andarci. Un semplice modo per non studiare e non fare gavetta.
Distacchiamoci dal mondo del giornalismo per addentrarci in altro: Della sua esperienza a Houston con il professor Mauro Ferrari, cosa ricorda a distanza di anni?
Ho fatto anche un libro che si chiama “il male curabile“.
La teoria del professor Ferrari che, tutt’oggi, continua nei suoi studi, è che intervenire attraverso le particelle possa essere il futuro della lotta contro il cancro.
Sono stato al suo Istituto a Houston al centro del quale vi è il concetto delle nano tecnologie.
La convinzione è questa: se io riesco ad arrivare alle cellule cancerogene attraverso particelle piccolissime come un filo di capello, allora io posso portare la chemio li dentro senza danneggiare i tessuti sani, cosa che, generalmente, la chemio comporta… una persona esce stravolta da una seduta di chemio perché ha subito una violenza nel proprio corpo su parti sane, difatti, non si possono fare troppi cicli di chemioterapia.
L’idea di Ferrari è geniale: andiamo sull’infinitamente piccolo, che è la nano tecnologia e portiamo attraverso le endovene colpendo solo le cellule malate.
C’è un particolare momento che vorrebbe raccontare o descrivere?
Ricordo questa specie di ONU della cura e della salute, tutto il sapere umano era concentrato in quell’edificio al fine di salvare delle vite degli uomini: è stato qualcosa di emozionante e bellissimo: Medical Center di Houston, Texas dove lavora il professor Ferrari. Egli è una persona che ha saputo valorizzare il proprio desiderio di conoscere e migliorare allo scopo di aiutare.
Il suo ruolo di giornalista abituato a raccontare fatti di cronaca lo ha avvantaggiato, ma lo rende maggiormente esposto al dolore umano e alle vicissitudini.
Come valuta, quindi, oggi il suo percorso professionale?
Il mio percorso è molto particolare perché ho cominciato con le radio libere degli anni 70’ quelle che cercavano di rompere il monopolio della Rai perché si considerava quest’ultima un’emittente di regime, legata cioè ai partiti al potere.
A un certo punto è prevalso in me il desiderio di non avere più un pubblico schierato, ma di parlare a tutti.
Ho scelto, quindi, di passare in Rai, qui c’è tutta la gente.
Ho imparato a fare il cronista, prima a Milano, in seguito in giro per l’Italia e, infine, all’estero.
Ho sempre messo davanti la curiosità, ho raccontato i fatti, non le mie convinzioni che, detto tra noi, non interessano a nessuno.
Ho fatto anche un percorso diverso da quello tradizionale, vedi “La vita in diretta“ che sta tra l’informazione e l’intrattenimento, sono passato all’intrattenimento con Raffaella Carrà. Ho seguito una strada singolare, davvero.
Credo di essere l’unico in Italia.
Adesso sono tornato in Sicilia a fare il Telegiornale su Antenna Sicilia e scrivo anche il mio pensiero quotidiano.
La sintesi è che ci si evolve. In mezzo a tutto ciò, la cosa che preferisco fare è raccontare le notizie: è una cosa che sento mia.
In ultimo: quale messaggio vorrebbe lanciare a tutti i giovani che decidono di intraprendere il suo stesso itinerario?
Fatelo! Questo, secondo me, rimane il mestiere più bello del mondo. Mentre svolgete questa professione mettete da parte le vostre convinzioni e lasciatevi guidare dalla curiosità che è quella che vi spinge a pensare e, successivamente, dire: “Fammi capire com’andata? Come è successo?“
In bocca al lupo!