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Milano più sociale. Periodico di informazione online

Il tema della « follia » tra letteratura e cinema italiani. A cura di Abderrahim Naim.

Quale relazione sussiste tra cinema e follia? Nello specifico, in che modo, nel corso della storia, quest’ultimo, affiancato da altre esspressioni artistiche quali la letteratura hanno affrontato il tema?
A spiegarcelo, oggi, attraverso un esaustivo articolo, Abderraihim Naim.

La follia è stata solo un tema secondario che si può trovare in ogni genere cinematografico. Così, nonostante il numero considerevole dei film che trattano il tema dei disturbi mentali, sono pochissimi quelli che lo affrontano direttamente come tema principale.

In effetti, il cinema tedesco si è orientato molto presto verso il fantastico, dando vita a un’estetica dell’orrore in cui la follia era un tema centrale. Da quel momento in poi, nel cinema (francese e americano in particolare) si susseguono film che trattano di anomalie psichiche in tutta la loro diversità, film in cui ogni generazione si imbatte nei propri orribili incubi.

Molte domande sorgono sul rapporto tra cinema e follia. La follia è una patologia sociale che deve essere neutralizzata, oppure è una sofferenza profonda che deve essere perdonata o addirittura aiutata? Come si pone la società nei confronti del malato di mente e, al contrario, dell’immagine che quest’ultimo ha delle relazioni umane? Dobbiamo rinchiudere i malati mentali e privarli dei loro diritti e della loro dignità?

In questo intervento cercheremo di dare una breve panoramica sul tema della follia nella letteratura e nel cinema italiani. Innanzitutto, come approccio definitorio, diciamo che il concetto di “FOLLIA” comprende diversi significati e aspetti con gradi diversi, ovvero: alienazione, furore, delirio, pazzia, follia, dinoccolato, nevrosi, psicosi, fobia, schizofrenia, mania, disturbo, squilibrio, paranoia, perversione, assurdità, incoscienza, stoltezza, stupidità, capriccio, passione, stravaganza, frenesia, isteria, psichiatria, megalomania, malattia, genio, grano di follia, rabbia.

La psichiatria sostituisce il termine “follia” con termini meno offensivi ma sempre ambigui. I “disturbi psichici”, “disturbi mentali”, possono assumere varie forme come schizofrenia, paranoia, mania, autismo, disturbo bipolare, catatonia, fobia… ecc.

Infermità: patologia handicappante che comporta una deficienza fisica o mentale, è lo stato di un individuo che non gode perfettamente di una delle sue funzioni (es. orbo, gobbo, muto, zoppo, sordo…).

La storia degli ospedali psichiatrici in Italia risale al XV secolo, quando la maggior parte delle istituzioni psichiatriche italiane erano gestite da congregazioni cattoliche in manicomi. Gli ospedali erano un’eloquente illustrazione della perdita di dignità dei pazienti confinati in strutture (il manicomio-prigione). Fu nel corso del XX secolo – ed a causa del crescente numero di malati mentali – che le amministrazioni provinciali e i medici psichiatrici cercarono di stabilire una legge che disciplinasse l’internamento dei folli negli istituti psichiatrici.

Nel 1904 si iniziò a regolamentare i “MANICOMI”. (Legge approvata il 14 febbraio 1904).

La legge Giolitti stabilisce i criteri per l’internamento: pericolosità sociale e pubblico scandalo. Il pazzo entra in manicomio non perché è malato, ma perché è pericoloso, improduttivo e di pubblico scandalo. Questa legge è rimasta in vigore fino al 1978.

Le Scene tratte dal film “la meglio gioventù” (2003) di Marco Tullio Giordana; illustrano bene la situazione dei detenuti nel carcere-asilo prima del 1978.

C’era una volta la città dei matti” (2010), un film di Marco Turco che racconta la vita, le azioni e il pensiero di Franco Basaglia (psichiatra italiano, critico dei manicomi e fondatore del movimento della psichiatria democratica).

Il Parlamento italiano ha approvato la «  Legge 180 » chiamata « Legge Basaglia » del 13 maggio 1978, che mira alla progressiva abolizione degli ospedali psichiatrici che disumanizzano i pazienti e alla loro sostituzione con i servizi di salute mentale. Non si può negare che nel mondo della psichiatria Basaglia abbia avuto un ruolo importante nel passaggio dal manicomio alla comunità di cura. Ma questa riforma è ancora lontana dall’essere applicata alla lettera in tutto il Paese e il film “Pazze di gioia” di Paolo Virzi è stato girato nel bel mezzo del dibattito sull’attuazione della legge del 2012 che abolisce gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

Nel suo romanzo “Le libere donne di Magliano” (1963), Tobino, scrittore e psichiatra, spiega che ogni paziente sviluppa una patologia legata alla propria storia “ogni malato è diverso da un altro”; ci dice anche che nell’ambiente ospedaliero la relazione diventa importante, un elemento della terapia. Così, la complicità tra due pazienti diventa benefica per entrambi (il caso delle due donne Beatrice e Donatella nel film “La pazza gioia“).
Il secondo romanzo di Mario Tobino, “Per le antiche scale” (Vertigo, 1972), racconta il prima e il dopo della struttura assistenziale, il trattamento dei malati di mente. Quest’opera è stata adattata nel 1974 dal regista Mauro Bolignini. Questo film, come il romanzo, ci immerge nella vita quotidiana di un’équipe medica in un manicomio.
Tema toccante e doloroso, la follia è stata spesso oggetto di diversi generi artistici in Italia, dall'”Orlando furioso” di Ludovico Ariosto all'”Enrico IV” di Luigi Pirandello, senza dimenticare le canzoni moderne: “Maria Paola” di Gianna Nanni e “ti regalerò una rosa” di Simone Cristicchi; per il teatro, Ascanio Celestini ha scritto una commedia impegnata, “la pecora nera“.
In Italia, tutta la storia della psichiatria è una lotta verso il progresso, con l’obiettivo di rispettare il paziente come essere umano. Certo, la follia è vista come una patologia, ma ha anche un altro volto, quello del genio, della libertà senza limiti e della fuga da una realtà inaccettabile. Il folle diventa il depositario di un’altra realtà che tende a sovvertire l’ordine sociale e/o politico.
Nei loro scritti, Italo Svevo e Luigi Pirandello danno al « pazzo » uno stato di saggio che ha trovato i veri valori della vita, fuggendo dal gioco di ruoli imposto dalla vita sociale.

Ganzetti Raffaella

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