Vittorio Bonapace, un artista dalle mille sfaccettature.
Pluripremiato artista digitale, scenografo e direttore artistico con sede a Londra, Vittorio Bonapace combina 3D e pittura in digitale raccontando, in tal modo, storie attraverso l’arte.
Autore, inoltre, del trittico “La Divina Commedia” presentato da poco presso “AOTM Gallery” di New York.
Una breve introduzione per lasciare spazio al protagonista di oggi.
Sei un artista poliedrico, hai un lungo e intenso percorso alle spalle: raccontaci la tua arte.
Allora, io nasco come scenografo, ho studiato all’Accademia delle Belle Arti lavorando, inizialmente, a teatro, per l’appunto come scenografo e anche scultore. In seguito mi sono interessato di arte in digitale, quindi software 3D e grafiche tridimensionali.
Mio padre era musicista, quindi ho sempre avuto anche una passione per la musica e ho composto molte musiche quando ero più piccolino, anche composizioni classiche.
Con il tempo l’interesse che avevo per l’arte digitale, accompagnato al fatto che, in qualche modo, speravo fosse possibile venderla come arte in un mercato normale, sono riuscito a mettere insieme il mio background di musica e arte visiva.
Solitamente, ciò che amo fare è connettere, generare un punte tra i maestri del passato come Michelangelo, Caravaggio e tutto quello che ho studiato come scenografo mischiandolo con spunti sociali e contemporanei che riguardano la tecnologia e, a volte, anche la religione.
Ecco, ho cercato di mettere insieme diversi aspetti, inglobando in essi, inoltre, il fattore futuristico con questi rimandi alla tecnologia, al futuro con visioni anche un pò dispotiche della realtà.
Cos’è la Digital Art e quanto è difficile diffonderla?
L’arte digitale è un’evoluzione tecnologica di una serie di arti che si sono sviluppate nel tempo.
Ci sono varie forme, tendenzialmente si sono sviluppate al computer… è un’alternativa con l’ausilio della macchina.
Io mi sono fatto strada con una serie di premi che ho vinto anni fa, trasferendomi e lavorando a Londra: sono stato direttore artistico per diverse compagnie e questo mi ha aiutato a portare nel mondo la mia arte.
Piano piano, come tutti gli artisti ho costruito la mia immagine, c’è stato un interesse che è andato in crescendo, fino a che non è esplosa la crypto arte, che ha permesso di darne un valore di mercato, cosa mai successa prima.
Ho visto alcuni tuoi video, parli della complessità della società. Come riesce un artista a coglierla, immortalarla e comunicarla attraverso l’immagine?
Ho sempre usato l’arte per lanciare un messaggio e indurre a riflessione, anche in maniera non immediata.
Ad esempio, ho fatto di una crocifissione di Gesù Cristo morente davanti a una serie di persone che si facevano dei selfie.
Quindi, giocare su cose che vedo, anche prendendo la metro… gente che si fa uno scatto davanti a qualcosa che succede.
Vedere come la società rende le persone è qualcosa che ho sempre voluto mettere in un’opera d’arte, esse devono divenire il riflesso di quanto osservo quotidianamente.
Ovviamente, ciò che cerco di fare è esprimere, portando in superficie la classicità che è parte della nostra cultura ed educazione.
Cerco di presentare un Michelangelo, un Caravaggio in chiave contemporanea.
Per me questo è fondamentale: riprendere qualcosa e mostrarlo al pubblico nel tentativo, non dico di scuotere gli animi, ma di fare acquisire la coscienza di ciò che sta accadendo.
Poc’anzi hai parlato di musica e immagini. Come sei riuscito a trovare il filo rosso che li lega?
Io non riesco a vedere un lavoro senza un background musicale che possa fare in modo che il destinatario se ne cali nei panni.
Di conseguenza, ogni volta che creo un’opera, creo una serie di sound che ti immergono ancora di più nell’esperienza.
L’ho sempre fatto, mi piace partorire musica e arricchire l’avvenimento fruitivo.
In che misura, presi nel loro complesso, questi due elementi incidono sulla componente emotiva?
Secondo me tantissimo.
Io creo queste opere in cui le luci si accendono e si spengono, sempre con continui richiami alla tecnologia e alla continua connessioni e disconnessioni che l’uomo ha con gli strumenti tecnologici.
Tali emozioni in cui qualcosa evolve per dinamica, pur rimanendo sempre immobile, perché sono video animati ma, in fondo, è un’unica opera d’arte che può essere rappresentata come fermo immagine, possedendo questi leggeri cambiamenti, conduce la persona a vivere un determinato stato d’animo e a comprendere meglio a storia.
I suoni che anch’essi spaziano tra il classico, l’antico, il vintage e il contemporaneo, analogico e digitale che si abbracciano aiutano ancora di più a viaggiare nell’opera e a capirne il senso.
Secondo lei, perché è così difficile fare accettare questa evoluzione?
Con la crypto art sono entrate moltissime persone e tanti studenti che avevano già confidenza con il computer.
C’è stata, dunque, una vera e propria esplosione non solo degli artisti digitali, ma anche del background creativo che non hanno molto a che fare con la figura dell’artista che sono stati in grado di far parte di un movimento.
Questo ha fatto sì che molti collezionisti, anche seguendo il trand contemporaneo, hanno acquistato anche da non artisti e ciò ha creato confusione.
Quello che sta succedendo adesso, secondo me, invece, che sono entrati in questo mondo anche curatori e musei riportando un bilanciamento all’interno del mercato.
Al momento vendono coloro che hanno studiato arte e che seguivano la carriera artistica anche prima di questi ultimi avvenimenti, chi esibisce una prospettiva artistica e rispetta la prospettiva del collezionista che ha alle spalle.
Per concludere le chiedo: il suo passaggio alla Digital Art è stato difficile?
No, per me è stato un processo lineare.
Immagine in Evidenza: Crocifixion