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Le parole hanno un peso, le azioni anche.

Premetto che questo articolo non vuole essere un atto d’accusa e neanche d’assoluzione rispetto a nessuno dei protagonisti di una vicenda giudiziaria, il cui percorso, per altro,  è solo agli inizi e del quale sappiamo poco o niente.
Il mio compito è portare a riflettere sull’importanza dell’uso delle parole, le quali divengono portatrici di messaggi così potenti da donare la vita o distruggerla.
Ancora una volta, infatti,  abbiamo assistito a uno scempio Istituzionale e non solo, in quanto l’indecoroso uso di espressioni  ha coinvolto anche un giornalista professionista, per giunta.
La presunta vittima di uno stupro denuncia il suo presunto carnefice, un tale Leonardo Apache La Russa, figlio di Ignazio La Russa, Presidente del Senato.
Condivisibile o meno, l’uomo difende il figlio.
L’inaccettabile risiede nel contenuto di folli e incontrollabili dichiarazioni: “Dopo averlo a lungo interrogato, ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante. Di sicuro lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni. Lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio “.
Razionalmente mi sento di affermare  che un figlio non deve essere interrogato, bensì con egli  occorre aprire un dialogo cercando, in tal modo, di creare una relazione empatica, di stabilire, dunque, un legame affettivo.
Fatemi capire: nei tempi che furono, Artemisia Gentileschi si sottopose allo schiacciamento dei pollici e al pubblico al fine di provare la realtà dei fatti, dobbiamo farlo ancor oggi, nel 2023?
A qualcuno non è chiaro ma l’uso di cocaina (indicativo di un profondondo malessere) non implica, certamente, un lucido consenso a un rapporto sessuale e la denuncia tardiva non nega attendibilità a un soggetto: chi sostiene il contrario ha come unico scopo delegittimare la denunciante.
Siamo caduti, dunque, nell’ennesimo caso di vittimizzazione secondaria ovvero, una forma di colpevolizzazione da parte di individui o Istituzioni che, non solo minano l’autostima, ma conducono la donna a sentirsi in difetto,  a non denunciare per paura di non essere creduta.
Incalza, in seguito, Filippo Facci editorialista di Libero (non nuovo a certe uscite mezzo stampa) che, irrispettoso innanzi a uno stato di fragilità, scrive: “Risulterà che una ragazza di 22 anni era indubbiamente fatta di cocaina prima di essere fatta anche da Leonardo Apache La Russa”.
Nel mezzo, quindi, di un catastrofe culturale ed educativo-affettiva sorgono in me una serie di domande: “Dov’è Giorgia Meloni, prima Presidente del Consiglio Donna? “, “Perché colei che esordì urlando: Sono una donna, sono una madre, sono cristiana” tace?.
Infine, dove si nasconde la donna e madre che dovrebbe condannare l’uso abominevole delle parole?
Del resto, a stabilire la veridicità di quanto accaduto sarà il potere giudiziario e non “l’interrogatorio” del signor La Russa (nella duplice veste di PM e giudice) al figlio.

Certa che, presa nel complesso, questa storia avvenuta a breve distanza dal caso degli youtuber pone, nuovamente, l’accento sul sempre più dilagante disagio giovanile.

Pongo un ulteriore quesito: quanto conosciamo, veramente, i nostri figli?

L’apocalisse è solo all’inizio.

Immagine in evidenza : Desert Wind, Magda Charelli.

Mara Cozzoli

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