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Horizons . Intervista a Vittoria Palazzolo.

| Mara Cozzoli |

Volgere lo sguardo oltre il visibile, scavare nel proprio intimo e, infine, trovare la giusta dose di armonia che conduce all’equilibrio.
Dialogo, oggi, con Vittoria Palazzolo, artista la cui ultima personale, “Horizons”,  mostra al fruitore  come il “vedere”  possa tramutarsi in magico agire, divenendo strumento per avventurarsi  al di là dello spesso muro che impedisce il vivificare delle emozioni.

Per cominciare, ci racconti il suo percorso artistico.

Ho iniziato all’età di tredici anni, forse, anche prima.
Come diceva mia madre, sono nata con il pennello in mano, quando avevo tre anni, infatti, mi portava l’album da disegno con le matitine per disegnare e all’epoca, non so per quale motivo, disegnavo tante giapponesine.
Da qui è partito tutto, ero affascinata dall’arte ed era quanto volevo fare.
È stato un percorso lungo ed è, tutt’ora, molto lungo.
L’arte è un lavoro, ma per me è qualcosa di più: una missione, una strada da seguire, estesa e tortuosa perché, comunque, occorre trovare il proprio segno pittorico, continuare a lavorare, giorno e notte.

Continuamente evolversi, quindi…

Certo, bisogna sempre evolversi, in quanto se ti senti arrivato sei morto.
Nella mia testa io sono sempre al primo scalino, perché così deve essere , inoltre, mi permette di vedere un futuro luminoso.

Ha avuto un grande mentore.

Sì, ho frequentato il liceo artistico, ma la mia vera fortuna è stata quella di avere incontrato all’età di ventitré anni un maestro che si chiamava Cleo Zanello che mi insegnò i fondamenti della pittura. Egli, a sua volta, fu allievo di Felice Casorati.
Ho avuto una guida molto severa, mi insegnò che quando si dipinge non si gioca e non si scherza, perché l’arte è un lavoro potente, una missione davvero importante.
Mi ricordo ancora che quando salii nel suo primo studio con quei colori, con il profumo di pipa e la musica classica di sottofondo io, veramente, entrai in estasi.
Mi fece anche dipingere con il suo cavalletto.
Sono stata sua allieva per dieci anni, nel 2000 lui morì e io dovetti camminare con le mie gambe.
È stata dura perché in origine ero molto zanelliana, però lo stesso Zanello mi ha sempre detto di stare tranquilla che, anche lui, inizialmente era casoretiano, ma lavorando e disegnando ha trovato la sua strada.
Nel 2020 ha avuto luogo la mia rinascita, la mia riscoperta: ho voluto mettermi a dura prova decidendo di fare l’artista a tempo pieno.
In realtà ho fatto tante mostre anche quando ero ragazzina dal 1989, per la precisione,
A quel periodo risalgono i miei primi passi, le prime collettive, poi le personali, ho esposto in Italia e  anche all’estero.
Adesso, percorro un mio pensiero pittorico che è l’universo… l’ho sempre sentito con la differenza che ora sono in grado di raccontarlo perché ho le basi e la tecnica che migliorerà, sempre.

Sta dicendo una cosa bella e importante: nonostante l’esperienza che ha alle spalle mira sempre a migliorare.
Questo è segno di umiltà.

Certo, se nella vita non si è umili, si è ciechi, perché non si può vedere ciò che, veramente, la vita può offrire.
In questo caso, nella vita artistica, bisogna essere pronti a vedere con gli occhi dell’anima, se un artista ragiona razionalmente non riesce a vedere oltre il proprio naso, di contro se ragiona con la voce interiore riesce a vedere mondi meravigliosi.
Per questo mi sento sempre nel primo scalino perché ho ancora tante cose da imparare, vedere e fare.

Quale criterio utilizza per creare al meglio?

Io ho trovato un mio modo per lavorare.
Do il titolo al tema, poi tiro giù tutti i titoli dei quadri e dal titolo realizzo l’opera… insomma, faccio questo tipo di ricerca.
È un mio modo perché canalizzo molto l’universo, gli parlo, perciò quando vado a comporre la mia opera conosco già quello che voglio fare.

Nella sua ultima personale, “Horizons”, attraversa stati emotivi molto profondi.
Partendo dal suo concetto di orizzonte, proviamo a spiegare quali sono, invece, i suoi orizzonti.


L’orizzonte per me non è quello che vediamo e che divide mare e terra o cielo e terra, per me quell’orizzonte è un inizio della propria vita.
Dobbiamo guardarci dentro.
Ad esempio, non sappiamo cosa c’è oltre l’orizzonte, quindi non ci conosciamo, ma se noi esploriamo il nostro IO, ascoltiamo la nostra voce interna e ci immergiamo in quelle luci e in quei colori, in quella sottigliezza e delicatezza, significa che entriamo in punta di piedi con una visione molto ampia.
Oggi, ci stanno, sinceramente, devastando la mente, ci stanno facendo diventare tutti uguali, noi però abbiamo una mente e un cervello che è perfetto, un’anima che è meravigliosa che, ascoltando la nostra voce interiore e non quanto vediamo in TV o attraverso i media, sono in grado di sganciarsi da quella negatività che stanno trasmettendo.
Con la mia pittura voglio dare una nuova vita, voglio far comprendere che tutti noi abbiamo del potenziale.
Per questo motivo ho intitolato questo mio ciclo “Horizons”.. guardare dietro quella riga, perché dietro ad essa vi è una vita meravigliosa e bisogna guardare con occhi diversi, liberi e privi da influenze esterne.

Quindi, è esatto dire cheHorizons” invita a esplorare il proprio intimo, prendere contatto con se stessi e, infine, ritrovare il giusto equilibrio?

Certo, per trovare quell’equilibrio che già c’è.
Se noi guardiamo  l’arcobaleno, che equilibrio ha? Che colori ha? I tramonti, l’alba, quanto equilibrio hanno? La terra, la natura e il mondo animale?
Tutto è super equilibrato e quello che voglio fare è portare tutte le persone a fare dei passi indietro, ma passi da gigante.
Cioè, fare passi indietro per fare una bella pulizia e guardare avanti come guardare un orizzonte.

In che modo filosofia e psicologia vanno ad intersecarsi nella tua arte?

Vanno a braccetto. Se non c’è filosofia non c’è arte e, di conseguenza, non c’è psicologia.
Occorre una mente così pulita, così avanzata e libera da condizionamenti per poter vedere questi elementi all’interno della mia opera.
Quanto lei ha appenda detto, è una cosa molto saggia e importante.
Le mie sfere sono mondi al cui interno vivono, appunto, questi tre elementi: filosofia, psicologia e arte.

Forme e colori, invece, come riescono ad agire sulla componete emotiva?

È tutto emozionale, sono quadri con colori che nascono da soli.
Come le dicevo prima, quando dipingo canalizzo, vado in trance come tutti gli artisti, perché ci si stacca dalla realtà per entrare in un mondo onirico succede, dunque, che le emozioni sono talmente elevate che i colori nascono… non è una scelta razionale ma di anima.
Io utilizzo solo i cinque colori primari e da qui faccio una mia mia tavolozza perché non compro colori già pronti ma li preparo. 
Con questi colori tocco le corde delle anime.
È come se il quadro prendesse vita da solo.
Io sono solo un mezzo che dipinge, sono un contatto con l’universo, che adoro, perché è immenso.
Sono dentro l’universo, vedo i colori e dipingo.

Ha utilizzato il verbo vedere. Cosa significa vedere le sue opere d’arte e i suoi colori?

Allora, vedere le mie opere d’arte è vedere quello che ho dentro.
Sono le mie emozioni che trasferisco su tela.
Imparare a vedere oltre, io ho questa idea nella vita in generale, mai soffermarsi, mai essere pigri ma spaccare lo specchio e andare oltre.

Per concludere, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

Vorrei dire che con il ciclo “Horizons” ho fatto un percorso europeo che è partito da Vienna ed è terminato qui, a Milano.
Per me, davvero, la pittura è una cosa che ho dentro da quando sono nata.
Sì, è proprio una missione.
La cosa bella è che quando le persone vengono in studio da me a Domodossola, dove ho anche la mia galleria personale, si commuovono e si emozionano in una maniera bellissima.
Questo è il messaggio che voglio dare.


“Horizons” personale di Vittoria Palazzolo

Mara Cozzoli

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