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Musica e non solo… Intervista a Alberto Fortis, cantautore.

| Mara Cozzoli |

Quello odierno è un viaggio attraverso la discografia e la sua evoluzione, un percorso nel quale non può mancare l’importanza degli aspetti contenutistici di un testo, attraversando risvolti personali e professionali.
Dialogo, oggi, con Alberto Fortis  artista che non necessita di presentazioni e al quale cedo il passo.

Ha tanti anni di esperienza alle spalle. Com’è cambiato il mondo della discografia?

Il mondo della discografia è cambiato totalmente, così come è cambiato il mondo.
L’arrivo di quello che noi del settore chiamiamo ”liquido” ha decretato una nuova luogo sfera.
Il mondo della musica che, sensorialmente parlando, è quello più immediato,  è anche quello che ne ha subito le maggiori conseguenze, in quanto è stato il settore più scaricabile.
C’è stato uno svuotarsi di quelle che erano state le tutele e dell’attenzione a curare determinati progetti.
Ma, insomma, il mondo è questo e, dunque, bisogna usare bene quella materia molto affascinante che è il web.


In tutto ciò, come sono cambiati i gusti di coloro che ascoltano e quanto questo influenza le scelte discografiche?

I gusti sono cambiati proprio in seguito a quanto abbiamo appena detto.
Non c’è più quel tempo di sedimentazione e assorbimento di un progetto, la voglia, la curiosità, il tempo di scoprire determinate linee di composizione e di vita dell’artista che hanno condotto a quel progetto.
Una volta avevamo LP e 33 giri, si analizzavano le copertine e i lavori grafici, oggi è una cosa, appunto, velocissima dove si usa il singolo di un progetto e la durata è cortissima.
C’è un turn over che ha decretato un altro tipo di mercato che premia solo le nuove generazioni  che, comunque, si dividono molto in quello che è un uso superficiale del mezzo.
Di contro, ci sono anche molti ragazzi giovani che, invece,  hanno molta attenzione e anche in web fanno uno slalom e hanno una navigazione piuttosto precisa e indagativa.
La cosa che a me spiace e, su questo, tiro un po’ le orecchie alla mia generazione e a quella immediatamente precedente (over quarantacinque e cinquanta) che usano veramente poco il cellulare per la musica e ciò non  crea un contro mercato, un peso sulla bilancia.
Tendenzialmente, se un’analisi critica si può fare, oggi è premiata molto la velocità quindi la superficialità dei prodotti e questo si evince anche dalle tematiche e dai contenuti.
Anche se, ci sono molti artisti e ragazzi con sale in zucca e, al di là della generazione,  sento molto la voglia di recriminare questa sostanza.
Ho notato molta stanchezza rispetto al becero e fine a se stesso con questi testi dozzinali, monocordi, univoci e portatori di un identico argomento.
Questo mi porta a pensare che non c’è un mondo vero, coltivato e nutrito dell’artista stesso, quindi è molto a cliché.
Però, ripeto, c’è tanta voglia di bellezza, ma vedo solo ancora un po’ di difficoltà in questa contro aerea nel farsi sentire e, conseguentemente, nel poter influenzare le scelte mediatiche che sono quelle che dettano legge.
Se un artista si muove tantissimo sul web, ma poi non si presenta a una manifestazione televisiva o non è suonato su un network principale, purtroppo il grande pubblico non lo percepisce.
Si augura che ci possano essere, nonostante la difficoltà dell’epoca, quei famosi momenti in cui riparte un certo di tipo di risveglio e rinascimento.

Mi ha parlato di contenuti. Come nascevano e come nascono le sue parole e i suoi testi?

Come sempre.
Fare musica e farla seriamente è una questione di metabolismo e interscambio con il mondo e la società. Non esiste un’ora o un attimo preciso in cui si compone magari, si predilige un momento della sera o della notte nel quale, per ovvi motivi c’è più quiete.
Però, le canzoni nascono nell’immediatezza, ad esempio per strada.
Spesso, le strade possono essere un input, uno stimolo.
Quasi sempre il tutto parte dall’aspetto melodico perché la canzone è melodia.
Per quanto mi riguarda, io mi registro un’idea ad esempio sul cellulare mentre sono in giro, poi a casa la sviluppo sullo strumento e, infine, lavoro sul testo.

Se al giorno d’oggi avesse proposto A voi romani, cosa sarebbe accaduto?

Non credo che l’avrebbero fatta passare perché, in questa fase storica, si assiste ad un determinato tipo di provocazione che è edulcorato, fine a se stesso e comodo per determinati codici.
Le cose mosse da una volontà sociale e da una coscienza personale che possono dare fastidio, probabilmente, ora, non verrebbero pubblicate.
Nella mia ultima produzione legata a questi ultimi quattro anni, canzoni come ”Venezia” che è stata galeotta per vincere, lo scorso anno, il Leone D’oro  e per la bella esperienza del Red Carpet di quest’anno alla mostra del cinema se, ascoltata attentamente, si comprende che il testo possiede , davvero, un’attenzione e un aspetto oltraggioso che, secondo me, è ancora più forte di altre canzoni polemiche che ci sono state prima.
Tutto questo dipende anche da come e quanto un prodotto viene comunicato ed esposto.

In La sedia di lillà traduce la sofferenza e la condizione di non accettazione in poesia. 
Nonostante siano anni che lo racconta, lo racconta anche a me?

Sì.
Come dico sempre ho trasfigurato il finale tragicizzandolo un po’.
In realtà, questa persona non si è mai tolta la vita, fortunatamente.
Questa situazione mi ha toccato molto da vicino, in quanto ha toccato mio zio materno, lo zio del cuore, uno sportivo che aveva una moto e una barca a vela e per un incidente banale andando a cogliere frutta, su una scala,  cade e rimane tetraplegico.
Si può immaginare che tipo di tragedia una persona possa vivere, nonostante questo e grazie alla sua fibra fortissima è vissuto per altri vent’anni.
Inoltre andando in un centro di rieducazione vicino a Londra è riuscito a recuperare, un pochino ma ha recuperato.
Ha passato anni lucidissimo e in totale immobilità, una cosa, immagino, tremenda da sopportare,  mi ha toccato e ispirato questo testo.
Quando lo si andava trovare cercava sempre di darci un segnale di speranza e fiducia nella vita anche se ogni tanto confessava il suo non farcela più.
Lo ricordo che a volte piangeva e l’ho scritto nella canzone parlando di quella ”goccia molto chiara e rughe di cemento”
Questo fa parte della trasfigurazione artistica ma  anche di ciò di cui l’arte dovrebbe vivere.

Cosa serve all’arte?

Intanto l’arte non deve vivere sempre di  cliché o mirare solo alla classifica, perché così non si sedimenta.
Credo che gli ultimi quaranta /cinquanta anni di musica abbiano lasciato delle cose che rimarranno nel tempo, mentre di questi ultimi dieci/ quindici anni, non so, mi pongo la domanda e spero che qualcosa resti, ma credo poco.

Quanto il suo trascorso personale le è stato d’aiuto nella scrittura?

É fondamentale, come in tutte le cose, perché una società funziona se c’è un’istruzione di base.
Oggi, forse, purtroppo, c’è anche un calo di questo aspetto, quindi stiamo assistendo a un sensibile imbarbarimento generale.
Per quanto mi riguarda io ho avuto la fortuna di avere avuto un’istruzione.
Ho studiato otto anni al collegio Rosmini di Domodossola che negli anni 70’ era tra i due/ tre più accreditati in Italia.
Molto importante è anche ciò che si respira in famiglia e in questo sono stato  fortunato, ho avuto una bellissima famiglia dove la medicina la faceva da padrona, anche io ho studiato medicina con i primi tre anni regolari.
Un famiglia di medici: papà, zii.
Ho un cugino illustre che si chiama Angelo De Gasperis a cui l’ospedale di Niguarda ha dedicato un’ala della struttura e che è stato il primo ad eseguire un trapianto di cuore.
Respiravo aria di dovere e dignità che poi ho trasferito nell’arte e che mi ha portato a vivere l’arte anche come terapia.
L’arte ha una forza notevole.

Il suo essere cantautore l’ha, dunque, aiutata nella gestione delle emozioni?

Molto perché torniamo a quell’osmosi con la società e con il quotidiano di cui parlavamo prima.
Lì esce la tua formazione quindi,  è chiaro che anche per un mio percorso personale il fatto di poter attingere all’arte è  stato ed è in momenti come questi un grosso aiuto, però bisogna farlo senza nascondere la testa nella sabbia come fanno gli struzzi.
Ad esempio il mio secondo lavoro ”Tra demonio e santità”  che, sicuramente, ha spiazzato, nel tempo è diventato una delle bandiere più forti della mia produzione,  si combatte contro l’aspetto formale e il ben pensare a tutti i costi nei canoni.
Ideologicamente e artisticamente i miei maestri sono stati John Lenon e Bob Dylan, bandiere artistiche e sociali.

Perché la musica riesce a mandare messaggi così forti, qual è il suo potere?

Perché è la forma d’arte sensorialmente più  rapida, immediata e anche più incosciente.
É la forma d’arte che a una prima lettura meno ti impone l’analisi.
L’armonia si riflette anche sul mondo vegetale, pensiamo alle piante e a quanto reagiscono rispetto a quanto sentono.
È stato fatto un esperimento meraviglioso al Polo Nord, dove un ice-bearg è stato impattato da una fascia sonora di diversi generi musicali, facendo in modo che la forza di impatto fosse identica a seconda del genere musicale.
Ecco, cosa stranissima il ghiaccio si è crepato quando ha ricevuto la musica di Mozart. Questo, secondo me, dice molte cosa.

Prima di lasciarci, però le chiedo: c’è altro che vorrebbe aggiungere?

Naturalmente, prego sempre tutti, di premiare l’attualità.
Questo lo dico agli addetti ai lavori. Faccio un esempio: il responso è sempre il concerto,  il rapporto diretto con il pubblico e qua si aprono quelle sliiding doors: anche quest’anno stiamo facendo un’annata bellissima  con concerti live, cominciati con il Primo Maggio in Piazza della Scala, poi un concerto al Vittoriale nella casa di D’Annunzio, recentemente all’Auditorium Alfano di San Remo con tutta l’orchestra sinfonica, la band e il corpo di ballo… eravamo in sessanta sul palco, più tutte le altre produzioni e il nuovo singolo.
La pecca, in genere, della comunicazione è relegare l’artista a un particolare momento storico senza conoscere bene quello sta ancora facendo, nell’attualità.
Non sono un amante della nostalgia e degli Amarcord e, infatti, la differenza la fanno gli artisti che, anche se hanno una storia, creano prodotti di attualità.
Alzo, dunque, questa bandiera.

Impossibile, allora, non porle un ultima domanda: progetti e programmi per il futuro?

Allora, adesso siamo sempre in tuornée, arriviamo da un concerto fatto in piazza a Pistoia dove c’erano circa tremila persone,  un concerto a Como e dovrebbe essere confermata la mia partecipazione a un concerto il 26 novembre al Lincoln Center di Manhattan a New York.
Inoltre, il nuovo singolo uscito un mese e mezzo fa “Mambo, Tango e chachacha” che, in questi giorni,  si sta creando anche in lingua spagnola con la traduzione di un’artista argentina molto famosa.”

Mara Cozzoli

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