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Grafologia e criminologia. Intervista a Candida Livatino, perito grafologo

La grafologia è la scienza che ci aiuta a conoscere attraverso uno scritto il carattere, la personalità e la sfera affettiva di coloro che scrivono. Non è una disciplina esoterica, la scrittura è come un’impronta digitale, unica ed irripetibile. Ad esempio, lei, Mara, potrebbe dire di scrivere come la sua amica. In realtà, non è possibile. Visibilmente può essere uguale, ma non lo è perché la sua amica ha un suo vissuto e lei un altro. In precedenza, non c’è stato nessuno con la sua stessa scrittura e neppure ci sarà in futuro.
La scrittura è unica come un’impronta digitale.

Quindi, possiamo affermare che la scrittura è un tratto che contraddistingue ognuno di noi?

Assolutamente, sì.  A me piace citare padre Girolamo Moretti che spiega l’essenza della grafologia: “La mano traccia il segno, ma è l’anima che esprime la forma”.

In quali campi viene applicata?

La grafologia è applicata per le perizie (ne faccio per vertenze giudiziarie), così come per definire profili di personalità (collaboro con testate giornalistiche esaminando la scrittura di lettori/lettrici).
Viene utilizzata anche per analizzare i disegni dei bambini, perché anche dai semplici scarabocchi si può ipotizzare quale sarà il suo carattere.
È usata anche per le risorse umane, cioè per la selezione del personale e la mobilità interna.
Spazia, dunque, in vari ambiti.

Secondo quali meccanismi opera?

Intanto, questo tipo di lavoro non è molto semplice. Serve una preparazione tecnica che si acquisisce in alcuni anni di studio.
Occorrono anche sensibilità e intuito, importanti per svolgere questa professione.
Nei miei cinque anni di scuola, il primo giorno eravamo in ventotto, a fine percorso solo in dodici.
Bisogna interagire con la scrittura, cercare di entrare nell’animo di chi scrive e, per quanto mi riguarda, provare anche delle emozioni.

Esiste un nesso tra grafologia, psicologia e psichiatria?

Il nesso sta nel contributo, in quel qualcosa in più che posso dare. Ovviamente, io non sono psicologa e neanche psichiatra.  Generalmente a me chiedono l’analisi di uno scritto che va a completare il lavoro sulla persona in analisi. Il mio è un contributo che a volte viene richiesto.


Entriamo, dunque, nel merito di “Grafologia e criminologia. Killer e vittime analizzati attraverso la loro scrittura.”
Nel mio ultimo libro mi sono concentrata su chi ha commesso atroci delitti, ma anche su alcune  donne vittime di femminicidio.

È un piccolo contributo a difesa delle donne.
Ho pensato che magari le indicazioni grafologiche che dò potrebbero aiutare a prevenire qualche omicidio.
Nelle interviste sentiamo, spesso, dire: “Come ha potuto quel giovane, così per bene, compiere quell’atto?”.
Se avessi visto prima la scrittura di questo individuo, magari avrei potuto lanciare un campanello d’allarme.

Cosa possiamo rilevare attraverso il segno della scrittura?

Attraverso il segno della scrittura si può rilevare il disagio,  il disturbo della personalità e la sua dimensione.
Possiamo capire se nell’animo di colui che scrive vi è del rancore, della rabbia repressa che potrebbero sfociare da un momento all’altro in atti violenti.
È chiaro che la scrittura non mi dice se la persona è colpevole o meno.



Ha toccato un punto molto legato all’immagine collettiva: si sente, spesso, parlare della grafologia come strumento di supporto alla soluzione di un caso.

Può anche esserlo, per esempio nel caso di lettere anonime o di scritti non firmati. In questo caso il mio compito è di definire se è opera o meno di una persona. Poi la soluzione del caso è compito di altri.
Nel mio libro è presente il profilo di una donna che ha subito violenza e ne ho messo in evidenza i segni grafologici.
Questa persona mi ha raccontato quanto le era successo, per fortuna è ancora qui, tra noi.
Vi è  un capitolo dedicato ai vari segni grafologici che evidenziano la sofferenza e la paura di alcune donne, prima del tragico evento.
Se il proprio compagno assume atteggiamenti prevaricatori o dà qualche segnale di violenza,  osservando i segni della scrittura si può capire se vi è pericolo che la situazione possa degenerare in maniera pericolosa. A quel punto bisogna rivolgersi ad un Centro antiviolenza ed assolutamente non andare all’ultimo appuntamento!

In che modo il tratto grafico aiuta a capire la personalità di un soggetto o la sua problematica? Come parla il tratto grafico?

È l’ inconscio che fa fare un determinato segno grafologico,  rivelatore dello stato d’animo e del disturbo di personalità di un individuo.
Sono gesti fuggitivi che si fanno inconsciamente. Non si prende però in considerazione un unico segno,  ma sono il loro insieme e il contesto in cui si trova che possono dare utili indicazioni.
Una T fatta in un modo, l’astina della V e molti altri segni delineano la personalità di un individuo. Sono tanti i segnali del disagio che si ritrovano nel mio libro.

Quanto è attendibile un profilo di personalità?

Per quanto mi riguarda non è quasi mai successo che mi dicessero: “No, io non sono così”. Quasi tutti si riconoscono, alcuni magari con qualche ritrosia.
Capita che, magari, dopo aver tracciato un profilo, qualcuno mi dica che non è proprio così, ma poi mi richiama raccontandomi il suo passato, avvenimenti che aveva rimosso.
L’analisi grafologica aiuta anche a tirare fuori dall’inconscio ciò che si pensava di aver cancellato.

Le ho fatto questa domanda perché in molti sono scettici.

Lo so. Sono trent’anni che faccio questo lavoro con passione e le confermo che in alcuni c’è  scetticismo.
Io a coloro che sono scettici dico sempre: “Provate a scrivermi qualcosa”.
Poi, dopo che ho analizzato la loro scrittura  mi dicono: “Come ha fatto? Qualcuno le ha detto qualcosa?”.
Sì, rispondo, me l’ha detto lei scrivendo.

Come nasce il suo ultimo libro?

Mi hanno spinto gli episodi di violenza che accadono ogni giorno, in particolare i femminicidi.
Un giorno, all’improvviso, ho pensato di dover scrivere un libro che potesse essere utile per spiegare e magari prevenire qualche femminicidio, visto che sono sempre più frequenti ed efferati.  
Viviamo all’interno di una società malata.
Mi sono convinta che era necessario dare un contributo, attraverso la mia professione, per capire la personalità di chi ha compiuto quei gesti ed eventualmente prevenirne alcuni.
La rabbia repressa, il rancore, il senso di possesso di chi ha ucciso la donna che diceva di amare, sono evidenti nella sua scrittura.  

Com’erano le vittime? Si parla sempre del criminale, di colui che ha ucciso.

Ho pensato anche a loro, affinché altre donne che vivono una situazione analoga si riconoscano.
Ho evidenziato il disagio che  stavano vivendo prima del tragico epilogo.
Ho voluto anche far vedere come nella scrittura di alcune di loro, vedi Sarah Scazzi e Yara Gambirasio vi fossero  gioia di vivere e curiosità verso il futuro che avevano davanti.
Ultimamente molti omicidi avvengono in famiglia, quella che  dovrebbe essere un nido protetto: madri che uccidono i figli, figli che uccidono i genitori.
Dov’è la famiglia, mi domando. Non c’è? Questa cosa è terribile.

Si, è vero la maggior parte delle violenze avvengono tra le mura domestiche. Questo è grave e dovrebbe fare riflettere.

Anni fa, accadeva, ma forse erano casi sporadici. Oggi sono sempre più frequenti, spesso per motivi economici, per accaparrarsi denaro.
 
Sicuramente, in questo momento ci troviamo innanzi a un escalation di violenze che coinvolgono i nuclei famigliari: mariti, padri, e compagni. C’è da dire che, adesso, se ne parla. Nei casi di femminicidio ci sono anche retaggi del passato che vedono la donna come un oggetto. Un discorso che tocca molte sfere: culturale, educativa, affettiva…  Ma, quanto è stato difficile portare a termine questo suo lavoro?

Molto pesante, interagendo con la scrittura entro nell’anima di queste persone, cercando di capire anche il motivo scatenante. E, le assicuro, è molto faticoso.
Ho analizzato anche la scrittura di alcuni serial killer, ne ho studiato la storia.
Ho scelto quelli più crudeli, arrivando alla conclusione che i segni che evidenziano gravi disturbi di personalità sono comuni a molti di loro.
Sono persone che, spesso, hanno loro stessi subito delle  violenze.
Ho messo in luce la collera, il loro bisogno di uccidere e il piacere di veder soffrire le vittime, la mancanza di  alcun nessun senso di colpa.
Nei segni della loro scrittura si trovano però anche le tracce di un’infanzia e di un’adolescenza di grande sofferenza: abusi, maltrattamenti, abbandoni da parte dei genitori, situazioni che hanno generato dei mostri che hanno sfogato la loro rabbia su vittime inermi.

Rispetto al discorso relativo alla personalità cosa la colpisce,  la personalità del carnefice o la personalità della vittima?

Rispetto alla vittima mi colpisce la sofferenza che stava vivendo, la paura che provava prima di essere uccisa.
In qualche modo interagisco con lei, provo una forte empatia.
Nel carnefice, il rancore, la crudeltà  la collera repressa mi creano sensazioni talmente forti che mi sento spossata, quasi svuotata.

Quindi, l’empatia è molto importante.

Sì, mi aiuta anche nella vita di tutti i giorni, anche nelle relazioni interpersonali, al di là del mio lavoro.

Spostiamoci su un altro discorso: la nostra firma, anch’essa parla.

La firma rappresenta la relazione, il nostro biglietto da visita, il modo con cui ci relazioniamo nel sociale, con le persone.
Spesso è abbellita con svolazzi e ghirigori perché la persona vuole presentarsi  al meglio.
Se la firma è uguale al testo vuol dire che la persona è uguale sia nella vita privata che nella vita di relazione.
Il cognome rappresenta il papà, la figura genitoriale e, se anteposta al nome, evidenzia che questa figura è stata idealizzata.

Quando scriviamo in stampatello, cosa significa?

Significa che ci mascheriamo. Non a caso le lettere anonime sono sempre scritte in stampatello, in quanto il soggetto vuole nascondere chi è in realtà.  Tuttavia è possibile capire da alcuni tratti generati da gesti fuggitivi se la lettera è stata scritta o meno da una persona.
Non è facile, ma non impossibile

Per concludere, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere di cui non abbiamo parlato?

C’è una cosa molto carina che mi riguarda personalmente ed è come mi sono avvicinata a questa professione.
Torno indietro di tanti anni. Mio figlio Matteo che ora è grande, scriveva talmente male che gli insegnanti mi dicevano: “Questo ragazzo probabilmente compone temi bellissimi, ma ha una scrittura indecifrabile, sembra arabo”.
Così ho portato Matteo da una grafologa e mi si è aperto un mondo.
Ho capito che questo sarebbe stato il mio futuro e mi sono rimessa in discussione.
Pur non essendo più giovanissima sono tornata sui banchi di scuola e ho fatto questi cinque anni di scuola.
Tornando al problema di Matteo… beh, la sua mano semplicemente rincorreva la mente, il pensiero era così veloce che faceva fatica a metterlo su carta.
Ironia della sorte, adesso, Matteo scrive in arabo meglio che in italiano: l’ha studiato e gli serve per la sua professione.
Insomma, da una negatività è nata una possibilità. Grazie a mio figlio sono qui a vivere questa passione stupenda.
Sono arrivata a cinque libri! Mai e mai lo avrei immaginato ed è per questo che amo raccontare questo fatto.

Mara Cozzoli

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