Beni confiscati alle mafie e loro riutilizzo. Intervista a Mariano Di Palma, referente Libera Campania.
In occasione dell’anniversario della legge n. 109/96, Libera ha elaborato i dati dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata.
Sono 22.548 i beni immobili destinati ai sensi del Codice Antimafia (+14% rispetto al 2023) mentre sono in totale 19.871 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati.
Sono 3.126 le aziende destinate (+77% rispetto al 2023) mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione.
In Campania sono 3.106 i beni immobili (particelle catastali) confiscati e destinati mentre 3416 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati.
Sul lato delle aziende, sono 330 le aziende confiscate e destinate mentre sono 669 quelle ancora in gestione.
La Campania con i suoi 170 soggetti gestori è la seconda regione, dopo la Sicilia, per numero di realtà sociali che, ogni giorno, si impegnano per costruire percorsi di cambiamento e di riscatto a partire da luoghi e spazi che erano il segno del potere criminale e, attualmente,, sono invece la dimostrazione di come la camorra può essere sconfitta.
Dialogo, oggi, con Mariano Di Palma, referente regionale di Libera Campania.
Sequestro e confisca sono i due passaggi che condurranno al reinserimento del bene immobile nel circuito legale. Come avvengono questi momenti?
Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie è regolato dalla legge 109 del 1996.
La procedura è abbastanza chiara ed ha a che fare con i procedimenti amministrativi e penali che legano i reati del 416 bis (reato associativo) al sequestro degli immobili.
Quindi, abbiamo una prima fase che ha a che fare riguarda il rapporto della magistratura ordinaria che ha diversi gradi.
Vi è, infatti, il sequestro di primo grado e quello di secondo grado, inseguito la confisca che, a sua volta è di primo e secondo grado per giungere poi a quella definitiva.
Di conseguenza, quando il bene supera questi gradi di sequestro e confisca viene confiscato definitivamente.
Superate queste fasi, il bene viene trasferito all’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati che è un ente preposto alla gestione.
Nel momento in cui il bene confiscato viene preso in gestione da quest’ultima deve essere consegnato ai comuni attraverso dei momenti ad hoc in prefettura.
Quando avviene il trasferimento del bene al comune, sarà il comune stesso ad avviare il procedimento di assegnazione.
Un bene può essere riutilizzato su due piani differenti..
Esatto, può essere utilizzato sia su quello sociale che su quello istituzionale.
I beni utilizzati sul fronte istituzionale sono destinati ad esempio, alle forze dell’ordine o i ministeri.
Cioè, le istituzioni stesse possono segnalare un interesse particolare verso procedura di confisca che coinvolge un bene specifico, in tal caso il bene, prioritariamente, è destinato a uso istituzionale, quando questa situazione non si presenta, come avviene nella maggioranza dei casi, il bene può essere affidato o trasferito alle destinazioni degli enti locali, i quali devono promuovere un bando di riuso sociale nei tempi e modi previsti dalla legge.
Nel periodo che passa dal sequestro alla confisca i beni vengono gestiti da appositi amministratori giudiziari nominati che, nel rapporto con l’agenzia delle entrate, ne gestiscono gli usi per evitarne il deterioramento.
A livello di tempistiche, questo percorso quanto può richiedere?
Dipende dal procedimento.
I percorsi della giustizia non sempre sono definiti. A volte, la procedura è evidente quindi il procedimento di sequestro e confisca è più rapido, altre volte, naturalmente, sono più lenti e ci possono volere anche degli anni.
Parliamo dell’importanza sociale dei beni riutilizzati.
Intanto, non parliamo solo di importanza, ma anche di fondamenta.La legge 109 del 1996 sancisceil principiodell’uso sociale dei confiscati.
La legge, conseguentemente, ne prevede in anticipo l’uso sociale.
Questo perché la stessa legge è il frutto di un percorso di partecipazione: era una legge già depositata in Parlamento che è stata approvata grazie alla mobilitazione di circa un milione di cittadini e cittadine che si sono impegnati nel 1995 e nel 1996 nel spingere affinché l’attuale legislazione venisse approvata.
Il principio alla base è che proprietà e redditi dei mafiosi avendo una provenienza illegale sono beni sottratti alla comunità e, di conseguenza, agire attraverso un sistema di prevenzione e repressivo non basta, ma a questo va aggiunto un in più che permette, dunque, la restituzione dei alla comunità attraverso il riuso sociale.
Se ad essere posta sotto sequestro è un’azienda, come funziona il procedimento?
I procedimenti di sequestro e confisca delle aziende sono uguali a quelli dei beni immobili.
La differenza sta nell’ amministrazione giudiziaria perché una cosa è conservare un bene immobile per evitarne il deturpamento e il deterioramento, tutt’altra cosa è un’azienda.
Un’azienda è una società e occorre verificare diversi elementi che gli amministratori giudiziari nella fase di sequestro e confisca devono controllare: numero lavoratori, stato dei conti, cercare di mantenerla in vita sia dal punto di vista della contabilità sia dal punto di vista di verificare l’effettiva estraneità dei soggetti coinvolti all’interno dell’impresa, cioè se lavoratori o lavoratrici assunti erano legati al clan di riferimento a cui il bene è stato sottratto.
Una volta compiuto questo, l’azienda può essere assegnata sempre secondo il criterio del riutilizzo sociale con diritto di prelazione da parte di lavoratori e lavoratrici presenti nell’azienda che, qualora siano estranei ai fatti, possono costituirsi in cooperativa sociale o impresa sociale, rilevare l’azienda e continuarne la gestione economica.
Quali sono le criticità?
Le criticità sono enormi perché l’amministratore giudiziario deve avere la capacità di gestire la contabilità in un momento di sequestro.
Spesso, se le aziende arrivano a confisca definitiva sono già morte, questo per due ordini di problemi: l’azienda è talmente inquinata al suo interno o ha a che fare un mercato talmente inquinato all’esterno.
Salvare l’azienda diventa, dunque, particolarmente difficile perché l’azienda era in vita in virtù di presenze illecite o era un’azienda che serviva come appoggio per altri affari.
Esiste, inoltre, il problema delle aziende che potrebbero essere sanate e che se non vengono curate, preventivamente, attraverso un attento monitoraggio degli amministratori giudiziari da un lato, e delle associazioni di categoria dall’altro, rischiano di morire e disperdere un grosso numero di lavoratori.
Questa è una grande sconfitta per lo Stato, naturalmente si può pensare ad un’azione di prevenzione e si deve fare un’azione di prevenzione e repressione se si verifica che un’azienda è collegata ad un clan di mafia o camorra, per capirci, però è una sconfitta per lo Stato se l’azienda prima promuoveva lavoro e adesso il lavoro non c’è più e le persone vengono lasciate a piedi.
Per questo bisognerebbe studiare maggiormente le forme non solo di organizzazione, ma anche di accompagnamento della fase di sequestro e confisca.
Al momento ci sono diverse proposte su cui Libera e CGL si sono mosse, una delle quali è “Io riattivo il lavoro”.
Insomma, è un tema molto delicato.
A quali tipi di attività vengono destinati sia immobili che aziende e a chi possono essere destinati?
Agli enti del terzo settore e, quindi, cooperative sociali e associazioni, cioè tutti quegli enti iscritti al registro Nazionale del terzo settore.
La tipologia di destinazione uso la definisce il comune in relazione con l’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati al momento del trasferimento.
Il comune può anche cambiare destinazione d’uso in corso, di conseguenza è quest’ultimo che prevede il tipo di vocazione che può essere occupazionale, abitativa, sociale legata a servizi di welfare o a servizi socio sanitari, ricerca e innovazione, case rifugio per donne vittime di violenza, piccole esperienze abitative per migranti o rifugiati e richiedenti asio.
Non c’è una definizione preliminare.
In sintesi: servizi alla persona, sedi associative, meccanismi di impresa sociale soprattutto in campo agricolo e innovazione sociale.
Il comune decide in funzione di quelle che sono le necessità del territorio?
Questo sarebbe il desiderata spesso, però, ci siamo trovati difronte a destinazione d’uso fatte a casaccio o lasciate così com’erano.
Il comune dovrebbe interrogarsi in virtù di un processo di ascolto del territorio e di analisi del contesto che il servizio politiche sociali dovrebbe già avere.
Quanti beni, al momento, non sono ancora stati ancora destinati?
La stragrande maggioranza dei beni confiscati non sono ancora stati destinati.
Perché?
Perché manca una pianificazione delle politiche pubbliche sul tema del riutilizzo sociale dei beni confiscati.
Mi riferisco, soprattutto, al meridione dove poggiano la maggior parte dei beni confiscati presenti sul territorio nazionale.
In questi anni si è fatto un grande sforzo sulla base dello sforzo dell’innovazione e della progettazione degli enti del terzo settore, però è il pubblico che dovrebbe provare a pianificare e immaginare meglio i propri servizi.
Importante è la crescita occupazionale per mezzo, ad esempio, la nascita di start up e cooperative attraverso l’uso sociale dei beni confiscati.
Questo manca perché la politica non ci ha messo testa ed il rischio è che per lavarsene le mani si approdi alla privatizzazione dei beni confiscati.
Questo sarebbe un disastro. Quali potrebbero essere le conseguenze?
Da sottrarre un bene alla criminalità per restituirlo alla comunità, si passerebbe a una banalissima compravendita per alleggerire e ingrossare le casse comunali, regionali o di enti locali.
Innanzi a noi abbiamo una forte possibilità occupazionale di welfare e se cediamo all’idea della privatizzazione e della vendita faremo esattamente quello che è stato fatto per la gran parte del patrimonio pubblico del nostro Paese che è stato svenduto a grandi capitali immobiliari e finanziari per non generare alcun posto di lavoro e ingrossare la rendita di pochi e non favorire la sviluppo occupazionale di tanti.
Il disastro è dovuto al fatto che si perderebbe un’opportunità di sviluppo e di intervento in aree degradate con forte povertà.
Noi abbiamo più di 35 mila beni confiscati a disposizione e per questi beni non c’è un programma di uso sociale ma vengono gestiti senza alcuna visione.
Mi sta dicendo che tutto ciò di cui abbiamo parlato fin’ora non è sentito come una priorità rispetto al Paese? L’antimafia non è una priorità del Paese?
No, non è sentito come una priorità.
La lotta alle mafie, in generale, non sono più una priorità nell’agenda politica, anche se tutti ne parlano.
Ciò che noi stiamo osservando sono ipotesi di destrutturazione della storia dell’antimafia sociale, penso alle proposte di coloro che vogliono indebolire lo strumento delle intercettazioni, cambiare il 416, il concorso esterno.
C’è un modello di giustizia che è sotto attacco per cui l’antimafia sociale ha segnato un punto importante.
Ancora più marginale è il tema dei beni confiscati che non viene proprio considerato sul dibattito pubblico e non viene neanche visto come un’occasione di sviluppo locale.
Anche se non se ne parla come strumento cardine dell’antimafia sociale, bisognerebbe guardarlo come strumento di sviluppo occupazionale del mezzogiorno.
Questo punto di vista, purtroppo, manca del tutto.
Ad oggi, qual è la situazione in Campania?
In queste settimane sono usciti i dati.
Sono 170 le esperienze di utilizzo sociale dei beni confiscati.
La Campania è la seconda regione per esperienze di riuso sociale dopo la Sicilia.
In questi anni abbiamo fatto un grande sforzo per accompagnare tante realtà a immaginare pratiche innovative di riuso sociale.
In alcuni casi il riuso agricolo si è mischiato agli orti sociali, costruendo importanti esperienze di comunità in cui confisca e riuso non ha significato solo togliere il bene al mafioso, ma ripopolare.
Stiamo facendo tante esperienze di welfare generativo a Napoli e in provincia di Caserta.
Oltre ai numeri c’è tanta qualità.
Per concludere le chiedo: all’origine di tutto c’è una legge che è il pilastro fondamentale.
La legge Rognoni- La Torre.
Secondo lei, dovrebbe essere rivista e aggiornata?
La Rognoni-La Torre è la pietra miliare della legislazione europea.
Guai a chi la tocca.
Rubrica “Mafie: Ieri, oggi e domani“.