sabato, Luglio 6, 2024
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“Lo sviluppo della radio in questi 40 anni è stato molto particolare”.  Intervista a Tiziano Mariani, proprietario Radio Lombardia.

Quello odierno è un viaggio che passa attraverso le innumerevoli trasformazioni avvenute nel mondo della comunicazione toccando, in seguito, fatti e periodi bui che hanno travolto il nostro Paese decretandone cambiamenti nelle dinamiche.
Dialogo, oggi, con Tiziano Mariani, proprietario di Radio Lombardia insieme al quale abbiamo rispolverato i valori insiti in democrazia.

Come nasce radio Lombardia?

Radio Lombardia nasce a Milano nel 1974 ed è una delle prime radio libere in Italia, quando era scoppiato il momento in cui sembrava che tutte le radio diventassero non solamente pubbliche ma anche private.
Prende il via grazie allo spirito di alcuni giovani studenti universitari e, piano piano, subisce un’evoluzione che ha portato l’emittente radiofonica a diventare radio regionale.
Negli ultimi decenni, che sono stati anni meravigliosi, Radio Lombardia ha preso sempre più consistenza e, ad ora, il pubblico è un pubblico di informazione, che ha voglia di conoscere e di conoscere la realtà della Lombardia.

In questi anni, dunque, ha potuto osservare il cambio nel modo di fare comunicazione. Entriamo nel merito di questa metamorfosi.

Il mondo della comunicazione è cambiato moltissimo, negli anni 80’ era fatto ancora sulla carta e stampata e leggermente sull’ on-air, cioè la cosidétta informazione via onde-onde.
L’esigenza di qualcosa di nuovo ci voleva e questo ha condotto alla presenza, all’epoca, di circa 6000 radio libere in tutta Italia.
Adesso abbiamo, invece, circa trecento radio commerciali e altrettante radio comunitarie.
Quello che conta è che lo sviluppo della radio in questi 40 anni è stato molto particolare, si è vista la radio sobbarcarsi la televisione, perché abbiamo avuto attimi in cui la radio resisteva e la televisione no,  in altri momenti la radio è stata primaria rispetto alle notizie derivanti dalla carta stampata e, ora, si è trasformata nel web, in quest’ultimo caso oltre ad avere i canali in Fm comincia ad avere i canali Dab, i digital broadcasting e aloap, ovvero la radio del web che, come sappiamo tutti, permette di ascoltare anche dai telefonini nella metropolitana, dai telefonini si raccolgono notizie in continuazione, mentre 20 anni fa, in questo luogo,  vedevi gente leggere solo i giornali.

Ha parlato di web, il web e le sue piattaforme, un mondo in cui la scarsa regolamentazione sta creando problemi a coloro che fanno informazione. Approfondiamo questo punto.

Dietro queste formule di piattaforme, sorte una quindicina di anni fa, si nasconde un po’ di tutto e di più, secondo il mio punto di vista.
In parte incolpo la categoria di giornalisti di non essere stati in grado di imporsi, avrebbero dovuto resistere e combatterne l’emergere, perché queste ultime non sono regolamentata da nessuno e chiunque può fare quello che vuole, scrivere e dire quello che gli desidera.
Perché dico che bisognava disciplinare: se si apre anche un giornalino in parrocchia, o un giornalino che non è di grande diffusione, bisogna avere la registrazione in tribunale, avere un direttore responsabile e  una serie di regole da seguire, a cui attenersi.
Nelle piattaforme non esiste una documentazione e non so chi sta dietro, forse, grossi poteri e  vedo tutto ciò come un modo per sviare la democrazia.
Basta pensare alla divulgazione, in queste sedi, di fake news, difficilmente individuabili dal cittadino medio, da colui che non ha una grande esperienza,  da chi non ha grande capacità di poter analizzare le notizie.
Quindi, queste piattaforme dovevano essere guidate e, purtroppo, i poteri forti che si celano dietro ad esse non lo hanno permesso.
Per questo penso che i giornalisti e i grandi gruppi giornalistici non abbiano saputo difendere la propria categoria.

Cosa avrebbero dovuto fare secondo lei, per difendere il loro ruolo?

Per difendere il ruolo che, grazie anche a queste piattaforme sta sparendo, non era necessario andare contro le piattaforme, ma  porre in essere un’azione di protesta e i Governi di destra o sinistra avrebbero dovuto avere la forza di regolarne l’accesso, imponendo la presenza di un direttore responsabile e qualcuno che controlli quanto viene pubblicato.
Ricordiamoci che non perché sono una piattaforma posso fare quello che voglio, questa non è democrazia ma anarchia assoluta.

Io penso che chiunque possa comunicare un messaggio, ma occorre farlo con coscienza e consapevolezza di quanto si sta scrivendo, avere una conoscenza base dell’argomento.

Appunto,in questo settore ciò è venuto a mancare e anche la politica è venuta a mancare.
Chi sta dietro queste piattaforme? Quali sono i veri poteri che hanno alle spalle?
Quali sono le vere ricchezza che esse producono per alcune persone solamente?

So che lei ha avuto modo di lavorare con Craxi, ha vissuto Mani Pulite. Che aria tirava in quei momenti nella redazione della sua radio?

Gli anni 92’,93’ e 94’ sono stati bui, nel senso che è stata distrutta una classe politica, un sistema politico che è un sistema di democrazia.
Dopo 30 anni, se ci guardiamo intorno, vediamo il disfacimento che c’è stato.
Bettino Craxi diceva che i poteri forti arriveranno, ad un certo punto, a deviare il concetto di democrazia.
Adesso abbiamo una democrazia, ma statisti come Bettino Craxi, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, Francesco Cossiga e Giorgio Almirante, ognuno con le proprie idee politiche (contestabili o non accettabili), e che sono stati personaggi di una certa levatura culturale e democratica, al momento non se ne trovano.

Radio Lombardia riceve l’Ambrogino d’oro

Penso che quello che differenzia la vecchia politica da quella attuale sia proprio lo spessore culturale.

Io credo che in tutti i settori c’era una grande cultura politica, una grande cultura di senso dello Stato e della democrazia.
Avere il senso dello Stato, secondo me, porta alla democrazia, perché le regole vanno rispettate e quelle democratiche soprattutto.
Questi grandi leader insegnavano al popolo la vera libertà, la vera costruzione del bene pubblico.
Al momento in pochi sono eredi di questi grandi personaggi.
Adesso la politica è fatta di slogan, prima non esistevano slogan.
C’era un disegno politico fondato sulla riforma di uno Stato per il bene comune e non per il bene di pochi.

Torniamo a Craxi, a quel famoso lancio di monetine, un gesto violento e condannabile, ma che ci dice una cosa: in quella fase storica i cittadini avevano la forza, forse, di indignarsi, adesso, sembra che tutto vada bene come va. Vedo rassegnazione. Certo, il dissenso non può essere mai espresso in modo violento.
Lei cosa ne pensa
?

Devo dire che quel gesto è stato da condannare sotto tutti i punti di vista, in quanto significava disprezzo per il personaggio e, soprattutto, per la democrazia.
Dopo trenta – quarant’anni da quel gesto l’universo politico è cambiato.
Ad esempio, una comunicazione giudiziaria, un rinvio a giudizio una condanna porta a un menefreghismo del popolo che è assurdo.
Quando si è indagati occorre fare  tre passi indietro, aspettare che si compiano tutti gli step che devono essere compiuti e dopo l’assoluzione si riparte, lo dico perché nella mia vita l’ho fatto.
Chi è condannato o, nella pubblica amministrazione abbia avuto “fattacci” definiamoli così, accertati dalla magistratura, in politica non può più essere acclamato e neanche portato a certi livelli.

Credo sia una forma di rispetto nei confronti dell’elettore.
A prescindere dallo schieramento politico, il discorso deve valere per tutti.

Perché c’è stato un calo nell’affluenza alle urne?
Perché non esistono più questi principi.
La gente butta sempre la solita frase: “Tanto siete tutti uguali“.
Guardiamo a questi ultimi trent’anni: se la partecipazione alle elezioni aveva una percentuale che poteva coprire l’arco dell’intera popolazione, nel tempo si è ridotta notevolmente.
Prendiamo anche le ultime regionali che hanno visto votare il 42%, una cosa che non può esistere in un Paese democratico.
Il voto è ancora quello che ci rende liberi.

La storia insegna che qualcuno ha dato la vita affinché potessimo esercitare questo diritto.

Mio padre da giovane è stato partigiano, conservo con tanto clamore la tessera del partito socialista, poi guardo il documento che mi dice che è stato partigiano nella Brigata Matteotti.  
Era giovane e molti suoi amici sono stati uccisi per conquistare questa libertà che ha permesso alle generazioni future di vivere tranquillamente senza subire il terrore portato da un fascismo becero.
La democrazia è un dono molto importante e i nostri giovani, non tutti per fortuna, non la sentono ma la vivono come qualcosa di dovuto.
Invece no, dobbiamo dire grazie.
Come diceva il grande maestro Sandro Pertini quando fu contestato dagli studenti: “È grazie a me che ho portato la libertà, se sei seduto lì e puoi dirmi che vuoi,  non so se in un altro momento avresti potuto farlo“.

Come possiamo incoraggiare la gente a tornare credere a quelli che sono stati gli ideali di base e, di conseguenza, riportarli a esercitare attivamente il diritto di voto?

Nel mio piccolo posso dire che per portare la gente a votare occorre cambiare i soggetti politici che si presentano.
Ci vuole gente preparata e di cultura, che sappia cos’è la pubblica amministrazione.
Quando non c’è politica comandano i funzionari, che sono brave persone, intelligenti e capaci, ma non hanno il concetto politico di una democrazia sviluppata. Democrazia significa questo: fare il bene dei soggetti più deboli.


Per concludere le chiedo: c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

Sono molto amareggiato perché i giovani non hanno più lo spirito combattivo che avevamo noi.
Forse, il telefonino, li ha intrappolati.

Ho l’impressione che il cellulare abbia dato loro una visione distorta della realtà.

Il telefonino crea una classe che non si interessa a nulla, a cui basta avere follower.
La vita è una realtà differente.
Torniamo sul discorso che abbiamo fatto poc’anzi: perché queste piattaforme non sono state regolamentate? Forse, volevano la gente stupida.

La gente vive di like e social.
L’apprezzamento arriva da un click, da persone che neanche si conoscono e questo fa perdere il senso delle relazioni umane.


Se non regolamentiamo queste piattaforme, la democrazia subirà un colpo.
Solo quando sarà troppo tardi, qualcuno, ne comprenderà il vero valore, la possibilità di dire tutti i giorni quello che pensi.

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