Evoluzione psicologica della donna. Intervista a Micheal Morelli, psicologo.
Il mondo della psiche è qualcosa di vasto e complesso, un luogo dove le chiavi di lettura possono essere svariate a seconda dell’approccio, ma nel quale esiste un unico filo conduttore.
Per capire come si evolve la psiche della donna e come ogni fase della vita vada a influire su quella susseguente dialogo, oggi, con Michael Morelli, psicologo.
Quali sono le fasi evolutive che caratterizzano la formazione della psiche femminile?
Erich Neumann, psicoanalista junghiano, ha tracciato un percorso evolutivo dello sviluppo della psiche femminile, suddividendolo nelle fasi archetipiche che portano progressivamente da uno stato inconscio alla differenziazione e allo sviluppo della coscienza. La prima fase è uno stadio matriarcale, l’epoca della Grande Madre, in cui la personalità della bambina è orientata verso il nutrimento, l’accoglienza e il supporto. Poi, inevitabilmente arriva la fase di separazione dall’inconscio: questo avviene tramite un processo di differenziazione in cui la donna si separa dalla madre archetipica. Inizia a sviluppare una coscienza autonoma e una consapevolezza di sé come individuo distinto. Questa fase è complessa e implica il confronto con aspetti di sé che possono essere percepiti come conflittuali o opposti alla figura materna. Nella fase successiva, la donna incontra la propria componente maschile interna, l’Animus, che rappresenta l’aspetto razionale, attivo e logico della psiche. Questo rapporto con l’Animus è fondamentale perché la aiuta a bilanciare l’aspetto emotivo e ricettivo con la capacità di agire nel mondo e di affermarsi. Individuazione: l’ultima tappa rappresenta la realizzazione della piena individualità della donna. In questa fase, la psiche femminile ha integrato gli aspetti e le qualità femminili e maschili, che coabitano in armonia dentro di lei.
In che modo, se questo succede, una frase va ad influire sull’altra?
Dipende molto da persona a persona.
In realtà fin dalla prima infanzia è possibile riconoscere alcuni dei tratti caratteristici dell’individuo. Per esempio, in una famiglia con tre fratelli, questi ultimi sono tutti diversi, fin da piccoli, anche se crescono nello stesso ambiente famigliare.
Però, se il bambino dipende interamente dai genitori, l’adolescente cerca di rompere questo legame di dipendenza.
Alcune persone possono avere bisogno di atti autoaffermativi più decisi per rompere il legame familiare, altre meno; è soggettivo.
Ha appena accennato al distacco dalle figure genitoriali, a tal proposito, si parla di processo di separazione- individuazione. Vorrebbe approfondire anche questo punto? In cosa consiste questo processo?
Individuazione è un termine coniato da Jung.
Lui parte dal presupposto che ogni essere umano, al di là di come viene plasmato
dall’ambiente, ha un suo patrimonio innato di capacità, talenti e predisposizioni.
Quindi, l’individuazione è andare via via sempre di più a riconoscere e integrare tutte queste predisposizioni innate che, inizialmente, gli vengono fornite in modo inconscio, qualcosa che è presente fin dalle origini e lui deve via via integrare, diventandone consapevole.
Più l’ambiente diventa vincolante, più questo processo è faticoso.
In quest’ottica i disagi hanno, molto spesso, la funzione proprio di portare la persona a riscoprire parti di sé che ha dimenticato o che non ha ancora riconosciuto.
Quindi, sono dei veri e propri fattori evolutivi.
Cosa può accadere quando l’individuazione non segue quello che dovrebbe essere il suo reale sviluppo? Di contro, cosa succede quando invece fila tutto in modo regolare, anche se ho qualche dubbio possa accadere.
Allora quando ci sono dei degli intoppi, che spesso dipendono dalla pressione che l’ambiente mette sull’individuo, ciò che quest’ultimo ha assimilato si scontra con ciò che è suo proprio, individuale, subentra il disagio, che è una sorta di attrito fra la tendenza a omologarsi all’ambiente e quella a sviluppare la propria originalità. Jung parla proprio di vita piena, la sensazione di vivere una vita piena, mentre dall’altra parte c’è un potenziale inespresso che ci sta chiamando proprio attraverso il disagio.
Il disagio, dunque, è quando l’individuazione non sta procedendo in modo regolare e arriva per avvertimenti del fatto che c’è un tema che devi affrontare, che lì c’è un nervo scoperto che devi guardare.
Dall’altra parte se, invece, l’individuazione procede in modo lineare noi esprimiamo noi stessi, abbiamo delle passioni, delle attività creative che ci accompagnano, attraverso cui troviamo delle oasi di benessere e ci sentiamo un pò in armonia con noi stessi, centrati e la vita si svolge in modo fluido.
Questo naturalmente è utopistico, perché nella vita incontreremo inevitabilmente crisi, conflitti, etc, che ci servono proprio per far maturare ciò che deve germogliare.
Abbiamo parlato di adolescenza nella donna, come avviene il passaggio dall’adolescenza all’età adulta?
È il corpo a scandire i ritmi, le fasi, i passaggi dello sviluppo. Il corpo cambia, in modo spontaneo: la bambina cresce fino a che arriva la pubertà, il ciclo mestruale, il corpo cambia seguendo delle leggi antiche ed eterne. La psiche deve svilupparsi seguendo il corpo. Ad un certo punto del processo di sviluppo questo avviene anche attraverso l’incontro con un partner che incarna proprio quell’Animus di cui parla Neumann e che consente alla bambina di diventare donna.
Nel mito di Kore- Persephone, la fanciulla anche attraverso l’incontro con le parti più oscure, sia di sé che della vita, con le piccole grandi ferite in ambito sentimentale, cresce e si evolve.
Quando Kore viene rapita da Ade che la allontana dall’ambiente familiare in cui vive in simbiosi con la madre Demetra. Il maschile, che non è per forza un maschio, la porta a diventare Persephone, la regina del mondo sotterraneo. Questo ci ricorda che l’evoluzione avviene anche tramite le esperienze traumatiche che ci segnano in modo più o meno profondo.
Secondo lei è possibile che in qualche modo questo scarto, questo cambiamento da parte dell’adolescente non venga accettato?
Sì, sì.
Lo stato dell’adolescente è proprio quello della di una lotta continua col proprio corpo che cambia, col proprio ambiente familiare da cui sente di dipendere e a cui si sente ancora legato.
Dall’altra parte inizia a sentire il legame invece con i pari, con i suoi amici e il gruppo.
Sono tanti mondi che si incontrano per alcune persone in modo più semplice, mentre per altre si creano dei conflitti molto profondi, a volte profondissimi, a volte devastanti.
Dipende molto da persona a persona, di norma più la pressione della famiglia è forte, nel senso che i genitori non sempre accettano che, a un certo punto, il figlio debba percorrere la sua strada, per cui lui ha bisogno di una lotta più forte sia con loro che con se stesso per percorrere quella strada.
In questo caso, secondo lei, non dovrebbero essere gli stessi genitori a lavorare su se stessi?
Eh, beh, sì.
La relazione è fatta di più parti, quindi, è chiaro, mi viene da dire, che un genitore che è molto controllante col figlio abbia, a sua volta, anche con se stesso un atteggiamento di un certo tipo, quindi, a monte lui dovrebbe lavorare su sé stesso, andare a incontrare anche lui quelle parti di sé che proietta sui figli, che cerca di tenere a bada attraverso il rapporto coi figli diciamo.
Poi, dipende sempre dalla situazione, però senza dubbio sì.
Spostiamoci all’età adulta. Cosa caratterizza la psiche femminile che dovrebbe essere già formata?
Sì, la psiche femminile è già formata, però poi ci sono anche lì tante età, tante fasi in cui una donna può incarnare più un volto del femminile piuttosto che un altro, la psiche femminile contempla tante realtà molto diverse che noi mettiamo in opposizione, ma che in realtà sono complementari: c’è il femminile nella sensualità, nella maternità incarnata nella presenza, nella cura, nel sottile nutrimento per le persone intorno a lei.
Sono tanti volti e, spesso, una cosa che ho riscontrato nelle pazienti donne, è che quando uno di questi aspetti manca, può subentrare ansia o un disturbo che è la pressione di quella parte che è stata esclusa
Una donna ha tante realtà in cui e presente rispetto. all’uomo che è più unilaterale.
Quindi, visto che ha citato anche l’uomo, parliamo di questa differenza. A cosa è dovuta l’unilateralità a cui ha accennato?
Anche all’uomo, naturalmente, appartengono più realtà, però lo spettro è meno ampio.
L’uomo è molto più identificato con l’intelletto, anche se non è sempre vero, però socialmente l’uomo è più identificato con l’intelletto, con il pensiero e con la concretezza.
Essendo più concreto è più mentale e, forse, anche questo fa sì che sia, probabilmente, più arido e che possiede anche meno risorse.
Pensando ai pazienti uomini è, forse, un mondo più prevedibile che comporta una complessità minore, quindi meno problemi, meno situazioni complesse da affrontare, ma anche meno colori, meno profumi, meno creatività.
Che nesso, intercorre tra l’evoluzione sociale dalla donna e quella psicologica?
C’è una difficoltà che sta incontrando la donna. Partiamo dal fatto che la donna si è liberata e questo è un grande risultato che, come società, abbiamo ottenuto, però dall’altra parte ha identificato un po’ il liberarsi come acquisire e vivere più la sua parte maschile.
Tutto ciò fa sì che molte donne, magari, trascurino dei volti del femminile, considerando questo una liberazione, quando invece forse come società dovremmo valorizzare anche il mondo femminile, non solo la le donne come individui che si liberano, ma anche cercare di enfatizzare tutti quegli aspetti del femminile che in realtà vengono sempre considerati subalterni.
Si sono liberate le donne, ma non si è ancora liberato il femminile.
Quali sono i tipici disagi legati al mondo femminile?
I disturbi del comportamento alimentare sono molto femminili, anche se qualcosa sta cambiando. L’ansia, la depressione, dipende.
Attacchi di panico abbastanza spesso.
A dire la verità, probabilmente l’uomo, essendo, come dicevo prima, un pò diverso, ha anche più difficoltà a parlarne, ad accettare di avere delle difficoltà, quindi anche per quello è vero che abbiamo più consapevolezza della psiche del mondo femminile e dei disturbi del mondo femminile.
Sulla donna c’è più pressione che sull’uomo ed avendo molti volti, essa non può tirarli fuori o, comunque, li tira fuori ma poi entra in conflitto, banalmente, immaginare la propria sessualità.
La sessualità femminile viene molto repressa e molto demonizzata.
Secondo lei è un problema più di natura culturale?
È un problema di natura sia culturale, perché da migliaia di anni la sessualità femminile viene, soprattutto, intorno al bacino del Mediterraneo molto repressa con l’avvento del cristianesimo. prima era anche sacralizzato, c’erano proprio, appunto le idee. erotiche della sessualità, c’erano le orge sacre, c’era molta meno repressione.
Oggi ci sono ancora degli strascichi.
C’è un retaggio di questa, di ciò che le donne hanno subito nel tempo. Quindi, sì è molto culturale.
Reprimere la propria sessualità quali conseguenze può avere?
Dipende da persona a persona.
Reprimere la propria sessualità può generare ansia.
Molte ansie sono dovute a repressione della sessualità intesa non solo come attività sessuale, ma anche semplicemente come fantasie, cioè nel sentirsi liberi di vivere la sessualità quale Identità.
Mi colpevolizzo perché non posso sentire o dire la sessualità in un certo modo, non posso essere quel certo tipo di persona quando mi trovo nell’intimità, quindi è proprio una cosa che va in profondità, nell’identità e, dunque, può scaturire di tutto, da un’ansia a una un’ipocondria.
Il corpo non è più un luogo di piacere, ma un luogo di malattia e preoccupazione.
Sono molto frequenti anche sindromi psicosomatiche tipo vaginiti, eczemi, disturbi dermatologici e acne: nella sessualità leggo il fuoco che non vivo che, addirittura, può arrivare a spaventarmi.
L’argomento è amplio e molto articolato. Prima di concludere le chiedo: c’è qualcos’altro che vorrebbe aggiungere? Qualcosa che magari ci è sfuggito e che necessariamente deve essere detto.
La psiche è molto complessa e quindi queste sono delle letture possibili.
Poi, come avrai capito io faccio riferimento molto a Jung, quindi do questa lettura. Poi ci sono tantissime letture possibili.
Parto dalla mia esperienza sul campo, profonda ma anche molto concreta e realista.
Però è sempre la lettura.
Il riferimento a Jung è stato molto chiaro quando ha affrontato il tema della creatività, dell’individuazione e dei talenti o predisposizioni da integrare. Inoltre, ha fatto riferimento alla mitologia che è in parte alla base della psicoanalisi.
Tanti elementi che si intersecano tra loro, insomma.
Certo, è vero.
Ciò che è davvero sorprendente è che noi non lo sappiamo, ma abbiamo una conoscenza dentro di noi, c’è qualcosa che conosce i miti senza che noi lo sappiamo.
Tipo ci sono dei sogni di pazienti che senza che non conoscono assolutamente nulla di mitologia, ma i sogni sembrano proprio dei miti.
Tirano fuori dei miti antichi e non si sa come.
Ad esempio, noi abbiamo le ossa nel corpo e una struttura mitologica e da lì proviene un’energia molto intensa, terapeutica e creativa.
Immagine in evidenza: Metamorfosi di Sofia Giacomelli