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Milano più sociale. Periodico di informazione online

“C’è una sorta di vuoto linguistico che chiede di essere colmato con un lessico emotivo”.

| Mara Cozzoli |

Da semplice strumento di comunicazione la scrittura, attualmente, è divenuta una componente riconosciuta e rispettata nel campo della salute mentale.
È utilizzata in una varietà di contesti, dai centri di consulenza alle scuole, dagli ospedali alle comunità online, come strumento per promuovere la guarigione, l’autoconsapevolezza e il benessere emotivo.
Diaologo, oggi, con Sonia Scarpante, docente in scrittura terapeutica e presidente Associazione “La Cura di sè”.

Tecnicamente, cos’è la scrittura terapeutica?

Per rispondere a questa domanda prendo ad esempio chi ha anticipato i tempi della scrittura terapeutica: W. Pennebaker. Lui ha gettato le basi per l’uso della scrittura come strumento terapeutico, e in tal modo ha aperto nuove strade nel campo della salute mentale e del benessere. Questo suo interesse verso la bellezza della cura insito nella parola è nato mentre esplorava le connessioni che legano il linguaggio alle emozioni, al benessere. Quale obiettivo si era prefissato? Creare un metodo che potesse consentire alle persone di esprimere sé stesse con autenticità e che la scrittura potesse essere strumento liberatorio di pacificazione del soggetto. Con lui si parla già di “scrittura emotiva”, attraverso i suoi studi pionieristici i risultati raggiunti sono stati sorprendenti: coloro che avevano partecipato all’esercizio di scrittura hanno mostrato miglioramenti reali per quanto riguarda il benessere emotivo e fisico. Con questo studioso si parlava già di “ricostruzione narrativa”, perché attraverso una rielaborazione delle esperienze vissute, il soggetto inizia a vedersi, riconoscersi e ad attribuire nuovi significati alla memoria e alle proprie fragilità.
L’anima infatti, lo sappiamo, nell’accezione più generica, è il principio vitale dell’uomo, la parte immateriale che lo costituisce. Questa parte, nel concetto filosofico, è origine e centro del pensiero, del sentimento, della volontà, della coscienza morale. La parola scritta ci conduce più strettamente verso queste nostre appartenenze e ci aiuta a fare chiarezza nella nostra interiorità, dandoci un senso di serenità e di appagamento. Attraverso l’uso benefico delle parole possiamo accedere più facilmente alle zone di luce e di ombra che costituiscono la nostra anima, poiché le parole hanno una funzione rigeneratrice e vanno manipolate con cura e gratitudine, ma bisogna anche sapere sempre contenerle con rispetto e fiducia. È per questo che la mediazione diventa lo strumento più adatto per gestire le emozioni che dalle parole scaturiscono, per entrare in empatia con chi abbiamo di fronte e fornire una via di redenzione e di catarsi. La scrittura e la condivisione della stessa con altri che stanno facendo lo stesso percorso, assieme alla restituzione di chi media le relazioni, permettono questa ascesi verso la profonda conoscenza del sé e dei nostri interlocutori.
La scrittura terapeutica è uno strumento efficace per imparare a conoscere la bellezza dell’interiorità e il mistero che l’avvolge,  è molto legata al percorso autobiografico e alle testimonianze di vita che diventano attraverso il percorso dello scrivere, fondamento, pietra angolare su cui costruire il viaggio introspettivo. Attraverso la parola scritta vengono messe a nudo le emozioni, le fragilità e la forza che ne scaturisce, dipanati i nodi che emergono, assieme alla condivisione, permettono un’ascesi verso la guarigione, un viaggio verso l’accettazione, e la fioritura di una consapevolezza nuova, dove è possibile collegarsi con il proprio centro, aumentando lo stato di benessere interiore e una qualità di vita supportata da un buon equilibrio mentale. Le parole vanno ritrovate e ricostituite perché senza linguaggio emotivo siamo sempre più persi, impoveriti dalla mancanza di legami fondanti e di crescita. I giovani, che incontriamo nelle classi in cui da anni portiamo il progetto di scrittura terapeutica, ci insegnano quotidianamente come sia forte il bisogno di connettersi con la propria individualità, il proprio sentire che, se viene castrato, non permette una crescita equilibrata e collettiva. La scrittura e la forza della parola permettono questa aderenza all’interiorità e alla sacralità del tutto, dove ci si scopre nel mistero profondo che ci abita, ma anche nell’unità della condivisione che mette in risalto una sacralità dell’appartenenza. Ma non solo. Gli stessi adulti esprimono il desiderio e il bisogno di specchiarsi nell’altrui narrazione attraverso la parola, per imparare a fare trasparenza nelle loro fatiche, per rispecchiarsi in chi ha un tracciato simile di vita e di sofferenza e per crescere in una comunità che dovrà essere sempre più definita la “comunità di destino”, perché le appartenenze sono tante e le corrispondenze reciproche maggiori di ciò che immaginiamo. Oggi più che mai diventa fondamentale imparare a costruirsi attraverso la narrazione reciproca e le esperienze raccolte ce lo confermano costantemente.

In quali campi viene applicata?

La scrittura terapeutica avanza in diverse modalità di intervento legate ai temi della Cura e della relazione d’aiuto. Tessuto connettivo è la sensibilizzazione alle zone d’ombra, alla sofferenza della condizione esistenziale, alle difficoltà relazionali, che, se riprese e animate da potere costruttivo e riparatore, cessano di diventare ostacolo alla stabilizzazione di un buon equilibrio interiore e si trasformano in opportunità per far luce e chiarezza in sé stessi. Il progetto di scrittura terapeutica si è sviluppato in ventisei anni di vita nelle strutture sanitarie, sia verso pazienti come formazione per gli operatori (a cui oggi vengono riconosciuti gli ECM) nelle case circondariali di Milano, nelle scuole con grandi restituzioni individuali e di gruppo, attraverso progetti di collaborazione con enti sociali, Associazioni e Fondazioni. Molti progetti realizzati in collaborazione con enti e realtà diverse sono visitabili sul sito della Associazione “La cura di sé” di cui sono Presidente.  

In che modo ci permette di entrare a contatto con le nostre zone d’ombra e, successivamente, prenderne coscienza?

Per attivare il potere terapeutico della scrittura non serve scrivere bene e chiunque di noi, dal più piccolo al più grande, ne può usufruire. La scrittura è legata alla trasformazione, cifra costante dell’esistenza ed essa sa calarci nel potere creativo che abita la sofferenza, nella rigenerazione a partire dalla ferita. La scrittura, se la pratichiamo con costanza e anche fatica, ci chiama alla Cura di sé, può appartenere a tutti e farsi strumento di sapienza collettiva.
Attraverso le lettere e lo scrivere a mano riusciamo a connetterci con i nostri stati d’animo, e il segno che traspare da ogni scritto ci aiuta ad evidenziare che la scrittura accede alla psiche più di quanto crediamo. La scrittura manuale è strumento catartico e vitale, ed è essenziale per i nostri tempi e per le nuove generazioni farla diventare pratica formativa. Deve diventare humus vivendi accessibile a tutte le categorie della nostra società e bisogna riuscire ad insegnare alle nuove generazioni che cosa si deposita dietro la parola Cura, che cosa si cela nelle contraddizioni generazionali, e nulla ha tanto valore quanto la testimonianza scritta che ne celebra sperdimenti e assestamenti. Il bisogno che si evince anche da giovani, di entrare nel sé è veramente alto e non più rimandabile e sta a noi adulti lavorare a quel desiderio che li anima. La scrittura ci conduce nel profondo se noi le diamo fiducia, sentimento positivo della vita che dobbiamo attenerci a praticare. Portiamo in noi delle zone d’ombra legate alle fragilità, ai sensi di colpa perenni, alla paura del giudizio. La scrittura terapeutica ha il potere dell’assimilazione della parola e della sua trasformazione in atto catartico: solo imprimendo la penna su quel foglio riusciamo a connetterci con il nostro io più profondo riuscendo a fare trasparenza nel nostro sentire e allargando la veduta sulle capacità individuali e collettive. Molti, dopo aver scritto, esplicitano la sensazione forte della trascendenza, di qualcosa che è venuto fuori spontaneamente e sembra quasi far parte di un mondo parallelo. Sì, la scrittura terapeutica affonda nell’inconscio portando in superficie i non detti, le asperità della vita, la fatica delle relazioni, ma anche un forte desiderio di riconciliazione e di appartenenza.


Scrittura ed emozioni da riconoscere e abbracciare. Quale filo rosso lega questi due elementi?
Perché è importante riuscire ad esternarle?

In relazione alla crescita personale e all’autorealizzazione come fonti di significato, tra le diverse teorie filosofiche e psicologiche riecheggia il daimon aristotelico come nucleo interiore che promuove la conoscenza di sé. Questo aspetto della conoscenza di sé è esploso anche nel testo “La saggezza” dello psichiatra e saggista Eugenio Borgna perché noi non siamo sempre gli stessi, cambiamo continuamente sulla scia delle moltissime esperienze interiori ed esteriori che la vita ci offre, dobbiamo essere nomadi aperti alla comprensione delle emozioni, degli stati d’animo, delle speranze e delle attese, nostre e degli altri, ancora più difficile quando malati. Scrittura ed emozioni vanno di pari passo; è proprio la scrittura che fa da tramite e veicola l’emozione aiutandoci a riconoscere i nostri sentimenti, le nostre abilità. Proprio il noto psicologo statunitense Bruner (1915-2016) ci insegna quanto sia proficuo il lavoro sulle emozioni (Bruner, J. A Study of Thinking; John Wiley and Sons: New York, NY, USA, 1956.) “attraverso il riconoscimento delle emozioni, gli individui acquisiscono una visione approfondita dei sentimenti di coloro che li circondano, favorendo l’empatia e migliorando le connessioni interpersonali. La mentalizzazione, d’altro canto, consente agli individui di comprendere le intenzioni, le credenze e i desideri alla base delle azioni umane, arricchendo la profondità della comprensione sociale. Insieme, questi processi costituiscono la base per relazioni significative, promuovono l’intelligenza emotiva e facilitano interazioni più sfumate ed empatiche in vari contesti sociali”. 
E ancora Eugenio Borgna nella prefazione di uno dei miei recenti libri “Pensa Scrivi Vivi. Il potere della scrittura terapeutica” spalanca le porte al mondo dell’interiorità come ricchezza a cui anelare per crescere in consapevolezza e in virtù, e scrive “La pagina scritta induce a guardare in noi stessi, nella nostra interiorità, scendendo negli abissi, dai quali vorremmo allontanare il nostro sguardo. Le parole di Sant’ Agostino ci ricordano che solo nella vita interiore dell’uomo abita la verità, e il libro di Sonia Scarpante ne è una entusiasmante testimonianza. Solo leggendole, e rileggendole, è possibile cogliere fino in fondo le meraviglie di queste pagine, che ci immergono nella riscoperta di valori che oggi sono perduti, o almeno smarriti… Un libro, vorrei dire questo ancora, che ci toglie dalla quotidianità e dalle banalità, e ci immerge negli sconfinati orizzonti della scrittura terapeutica, ricolmi di luce interiore, che ci aiutano a guardare al di là delle apparenze, e a cogliere le profondità e la originalità della vita. Leggiamo, e rileggiamo, questo libro, e manteniamone nel nostro cuore le indelebili tracce, che ci aiuteranno a non perdere la speranza contro ogni speranza, e accogliamo l’invito coraggioso e ardente di Sonia a rivivere il fascino della scrittura, come una sonda, che dischiuda attese perdute”.


Da Freud a Jung c’è stata un’esplorazione della scrittura come strumento per sbloccare l’inconscio e mettere in moto un processo di autoanalisi. Come avviene tutto ciò?

Già per gli Antichi, la scrittura rappresentava uno strumento autoterapeutico: non a caso gli Egizi credevano che fosse stata donata agli uomini da Thot, il dio Ibis, signore della medicina e delle “guarigioni”, come ricorda Michael Morelli. Jung ha scritto che “solo il guaritore ferito può guarire”, e su questa sua affermazione è importante fare una sosta e provare a riflettere. Così come attraverso la sofferenza Chirone imparò l’arte della cura, nel mio percorso evolutivo proprio dalla mia malattia ho attinto la forza. Una forza dirompente e sanante, catartica nel suo dipanarsi conoscitivo, e che ha preso la forma della scrittura. Una scrittura che non mirava all’estetica o alla correttezza, accezione che avviene anche in tutti i miei gruppi di formazione, ma all’energia del rivelarsi, del dare sfogo, e in tal modo definendo la propria unicità e verità. La prima a “spogliarmi” sono proprio io, mettendomi in gioco attraverso la parola della testimonianza, intesa come viatico per costruire condivisione e consapevolezza. La lettura della lettera che scrivo “a me stessa” permette nel primo step di scrittura del gruppo, quell’ascesi confortante che delinea il desiderio individuale di prefigurare una propria storia per rappacificarsi con le zone d’ombra e con chi è stato arduo costruire rapporti benefici. La scrittura è legata ad un atto di coraggio individuale e al tema della forza come atto di responsabilità verso sé tessi per riuscire a descrivere le asperità della vita senza farsene sovrastare. “Se davvero la sofferenza impartisse lezioni, il mondo sarebbe popolato da soli saggi. E invece il dolore non ha nulla da insegnare a chi non trova il coraggio e la forza di starlo ad ascoltare” (Sigmund Freud)

Scrittura creativa, espressiva e riflessiva. Cosa le caratterizza e quali benefici ne derivano?

Se andiamo a leggere su Wikipedia al termine scrittura creativa incontriamo questa specifica: “La definizione di “scrittura creativa “è piuttosto elastica, per cui è difficile definire a prescindere cosa rientra nella categoria e cosa no: al suo interno vi rientrano infatti sia opere di finzione che opere di saggistica, includendo forme come romanzi, racconti brevi, poesie e biografie”. Per quanto riguarda, invece, la scrittura espressiva, si intende la forma di scrittura attraverso cui mettiamo nero su bianco i nostri pensieri ed emozioni in relazione a esperienza di vita che ci fanno soffrire o che hanno bisogno di trovare presto risposta.La scrittura terapeutica fa un passo in più, perché attraverso la messa in atto delle emozioni si procede verso l’elaborazione del vissuto per imparare a conoscersi ed attivare il meccanismo del desiderio e della riconciliazione. Conoscere la storia incarnata aiuta a comprendere il senso delle scelte che ogni giorno si fanno in quanto persone. E la scrittura terapeutica diviene sostegno per aumentare le risorse individuali e collettive. Un elemento cardine della scrittura terapeutica riguarda l’elaborazione del lutto e del senso di colpa, una elaborazione necessaria per trovare la forza di accettare la vita nei suoi aspetti più dolorosi e fragili. Comunicare a sé stessi e a chi ci accompagna, con empatia nel gruppo, queste fatiche, permette di fare chiarezza con una consapevolezza maggiore sul divenire della vita e in tal modo sviluppare nuove risorse interiori verso l’accettazione del mistero che abita in tutti noi. Il valore del linguaggio emotivo che si fa parola riveste un ruolo importante perché facilità il cambiamento nell’aiuto di una metariflessione su sé, sulla relazione con l’altro e sui propri vissuti emotivi e comportamentali.

So che ha ideato un suo metodo, il metodo Scarpante. In cosa consiste?

La forma epistolare è uno degli elementi costitutivi del Metodo Scarpante, in quanto si rivela la modalità più consona per scrivere di sé: – la lettera aiuta ad esprimere ciò che a voce, probabilmente, non si riuscirebbe a comunicare. Scrivere a sé stessi, ai genitori, alle nostre paure, ai nostri figli, ai fratelli e/o alle sorelle, alla persona amata, ai nostri desideri, ai nostri nodi consente di comprendere come esista un filo conduttore che permea tutta la nostra vita. Alcuni temi simbolici coma la casa, il viaggio, lo sconosciuto, il riconoscersi attraverso le fotografie creano l’incipit del percorso che man mano dilata tempi e interiorità. La forma epistolare, legata al secondo step dove le relazioni affettive diventano il fulcro del lavoro introspettivo, può trasformarsi in un momento di confessione in cui accogliamo noi stessi, le nostre fragilità. La fragilità fa parte della vita come Borgna stesso ci ricorda (Le parole che ci salvano di Eugenio Borgna, Ed. Einaudi- 2017), ne è una delle strutture portanti, una delle radici ontologiche. Ci ricorda anche che sono fragili non solo le nostre emozioni, le nostre ragioni di vita, le nostre speranze e le nostre inquietudini ma anche le nostre parole, quelle con cui vorremmo aiutare o che vorremmo sentire dagli altri quando stiamo male.
Il gruppo, secondo elemento significativo nel metodo Scarpante®, è rappresentato da persone che intendono esplorare la loro interiorità, uscire dalla loro identità e capire i modi di essere che sono in noi e negli altri da noi. “Anche nel lavoro di gruppo, come nella vita, i successi acquisiti sono direttamente proporzionali all’energia investita, all’intensità delle battaglie condotte per raggiungerli. È risaputo come noi evitiamo di allontanarci dalle nostre sicurezze, dalle nostre certezze, concrete e mentali, perché abbiamo paura delle cadute, dell’imprevisto che ci sconcerta, delle novità che non controlliamo: preferiamo rimanere nel nostro stato di insoddisfazione e di disagio, anche a costo di risultare estranei a noi stessi. Ci piace far finta di non sapere che la momentanea perdita di equilibrio, il passo verso l’ignoto, i primi metri del guado, quella “caduta” da affrontare, costituiscono il trampolino che ci proietta verso la salvezza.
Nulla risulta essere così efficace e di sostegno alla persona sofferente come il riconoscere sul volto degli altri le paure o le emozioni trasmesse dalla propria voce. Gli stati d’animo negativi rivissuti dal soggetto, che si racconta oralmente leggendo al gruppo i propri scritti, cominciano a perdere, riga dopo riga, una parte dell’ansia che li caratterizza, mentre quelli positivi, per quanto timidamente scritti ed espressi, trovano nel sorriso e nella naturale accoglienza degli altri un motivo in più per essere sperimentati di nuovo”. (Parole evolute. Esperienze e Tecniche di Scrittura Terapeutica. Sonia Scarpante. Ed Sampognaro & Pupi)

Recentemente, il suo metodo è stato introdotto nelle scuole. Qual è stata la reazione dei ragazzi?

Pensiamo che la loro parola valga più di qualsiasi nostro pensiero; quindi, riporto alcuni scritti che abbiamo ricevuto dalle mani dei nostri giovani. Molte delle loro testimonianze e le nostre restituzioni saranno leggibili nel nuovo testo che sarà pubblicato in primavera dal titolo “Il sapore delle parole. I giovani incontrano la scrittura terapeutica”, scritto a quattro mani con Alessandra Giorgetti, insegnante di lettere con cui sto portando il progetto nelle scuole.
“ In questo progetto ho capito che anche i miei compagni hanno le stesse paure ed emozioni che ho io e che quindi non devo sentirmi diverso dagli altri. Questo percorso mi è piaciuto e mi ha aiutato anche ad esercitarmi e scrivere di più i miei sentimenti e per questo lo consiglierei ad altre classi.” (Giacomo)
Secondo me gli incontri di scrittura terapeutica sono stati divertenti: ho scoperto cose dei miei compagni che prima non sapevo come quanto Giorgio tenga al suo cane o di quanto Carolina voglia bene ai suoi nonni. Ma soprattutto ho scoperto molto su me stesso, ho scoperto molte cose su di me che non sapevo, come quanto io abbia bisogno di essere al centro dell’attenzione e di come io abbia paura di rimanere da solo in futuro. (Massimiliano)
“Questo percorso è stato utile, ho conosciuto meglio i miei compagni di classe, in quegli aspetti più nascosti e poi ho scoperto che scrivere quello che penso mi aiuta ad esprimermi meglio”. (Susanna
“Questo progetto mi ha aiutato ad aprirmi e ad avere più fiducia nelle persone …, ho capito che i problemi non si risolvono stando in silenzio, ma facendosi aiutare dagli altri …” (Angelo)
Tutti i partecipanti affermano come sia stato positivo questo lavoro, perché ha permesso di conoscere meglio se stessi e i compagni. Possiamo aggiungere che ha favorito la conoscenza autentica dei compagni, una volta tanto spogliati di quella maschera che troppo spesso la rete e il gruppo chiedono di indossare.
Il disagio dei nostri figli non è più centrato sull’antagonismo tra le generazioni, ma sulla perdita della differenza e, dunque, sull’assenza di adulti in grado di esercitare funzioni educative e di costituire quell’alterità che rende possibile l’urto alla base di ogni processo di formazione. Il malessere attuale della giovinezza non risiede nell’opposizione tra sogno e realtà ma nell’assenza di sogno” (Massimo Recalcati)

Cosa ha potuto osservare nei nostri giovani?

I ragazzi hanno uno straordinario talento nell’imparare, ognuno coi propri tempi e propri modi, l’attitudine creativa alla vita. Hanno il diritto di allenarsi a guardare e riconoscere la stella polare che li guiderà nella costruzione della loro identità di futuri uomini e donne, e noi adulti- educatori, abbiamo il dovere di stimolarli e permettere loro di assaporare il piacere della scoperta. Ha senso chiedere ai nostri giovani di utilizzare la parola scritta per raccontare di sé? L’esperienza maturata nelle scuole ci dice che non solo ha senso, ma che è necessario. Necessario perché, come molti operatori dell’ambito educativo rilevano, i ragazzi non sanno dare un nome alle loro emozioni, non sanno riconoscerle, non sanno “cosa farsene”. C’è una sorta di vuoto linguistico che chiede di essere colmato con un lessico emotivo. Chi opera con i giovani sa bene come sia importante accompagnarli nella loro crescita emotiva, tappa fondamentale dell’adolescenza che prelude all’ingresso all’adultità. Con Alessandra Giorgetti abbiamo anche constatato che il percorso con la scrittura terapeutica ha fortemente coinvolto anche la componente docente che ha scoperto, un po’ spaesata, la dolcezza, la fragilità, le domande degli studenti. Gli insegnanti hanno avuto modo di comprendere studentesse e studenti più a fondo e in tal modo rafforzare le relazioni con la classe e con i singoli. Inoltre, hanno compreso che la narrazione riguarda anche loro, che alcune parti mancanti sono degli adulti e che si può costruire un rapporto più autentico anche con i propri studenti.
Il vero cuore della Scuola è fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde. Perché quello che resta della Scuola, nel tempo della sua evaporazione, è la bellezza dell’ora di lezione”. (Massimo Recalcati)

Nel suo libro “Pensa scrivi vivi” edito TS Edizioni non solo esplora il vaso campo della scrittura terapeutica soffermandosi sull’importanza di quest’ultima nella quotidianità, ma lancia un messaggio molto forte: conoscersi per curarsi.

Sì, senza ombra di dubbio, la scrittura terapeutica come viaggio introspettivo del sé aiuta a svelarsi, a renderci testimoni dell’esperienza della vita che non è mai un vuoto a perdere, anzi, contiene una sua sacralità che va riconosciuta, indotta. Per meglio comprendere la storia e la sofferenza dell’altro è necessario partire dall’ ascolto del suo percorso autocritico, dalla connessione con il nostro io profondo, in quanto operatori, assistenti, medici e altro.  È difficile capire gli altri senza aver prima portato a termine un proprio percorso di analisi e di comprensione, di chiarimento e di scavo psicologico su e di sé: calarsi nell’altro implica la conoscenza delle proprie fragilità, l’elaborazione e il superamento dei propri conflitti. Si parla di educazione sentimentale e credo che questa debba diventare una nuova disciplina, come l’educazione civica, da insegnare e promuovere. Perché senza educazione ai sentimenti viaggiamo nella nostra vita come se barcollassimo su stampelle, sempre in cerca di un appoggio: l’integrità dell’essere umano ha enormemente bisogno di poter contare su punti di riferimento, di essere in asse con un proprio equilibrio. Dobbiamo tutti sentirci chiamati a una responsabilità collettiva, e direi civica, per trasformare la parola in getto vitale, in promozione del “segno”.
La scrittura terapeutica come metodologia si presta all’arricchimento della persona inducendola a prendersi cura di sé stessa e delle relazioni quotidiane, trasformando la capacità del singolo in fervida conoscenza, in forza resiliente.



Sonia Scarpante Presidente Associazione La cura di sé.
sonia.scarpante@gmail.com

Pubblicazioni:

Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso. Ed Melusine,2003

Mi sto aiutando. Ed Melusine, 2004

Un fiore nella mia anima. Biblioteca Sottovoce IEO Giugno 2005

Raccolta poesie. Tracce. Ed Melusine, 2004

Raccolta poesie. Le dimensioni perdute. Ed. Albalibri, 2005

Non avere paura. Conoscersi per Curarsi. Ed San Paolo, 2010

Nuova Stagione. Editrice In dialogo, Milano 2011

Storia di Maura. Ed San Paolo, 2012

La scrittura terapeutica. Ottobre 2013

Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica. Edi Science, 2015

Aurora. Racconti. Monetti Editore. (partecipazione premio Campiello)

Contributo “La scrittura come cura e conoscenza di sé. Parole evolute. Esperienze e Tecniche di scrittura terapeutica” Nel testo “La medicina Narrativa strumento trasversale di azione, compliance e empowerment. ED. Franco Angeli

L’ultima stanza. Romanzo. Casa Editrice Il Filo Albatros, Luglio 2018

Pensa Scrivi Vivi- Il potere della scrittura terapeutica. TS Edizioni 05/2022

Mara Cozzoli

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