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Francis Bacon, la rivelazione della condizione umana.

| Mara Cozzoli |

Attraverso le sue opere, Francis Bacon rese immortali la brutalità e la disordinata bellezza della vita.
Un artista, dunque, dalla volontà strettamente correlata all’impellente bisogno di congelare sulla tela il senso di una quotidianità fuggente che, approdando inarrestabile nel tempo, assume il carattere dell’inevitabilità.
Per Bacon la pittura costituì in primis ossessione rispetto al vivere, travaglio della carne e della psiche, connessione di forza fisica e mentale in grado di adeguarsi alla necessità di perpetuare gli spettri di una fragile esistenza trasferendoli dentro un universo immaginifico per divenire, in conclusione, strumento volto a recuperare l’essenzialità dell’essere umano.
Alla base del suo lavoro è riscontrabile l’inquieto sforzo di ricercare uno sbalzo, seppur minimo, tra vita e arte al fine di attribuire a quest’ultima un potere testimoniale supremo.
Affiancò la realtà esterna, alla realtà inconscia che, seppur soggettiva, attribuì maggiore efficacia visiva e sensitiva all’opera.

Painting 1946; olio e pastello su lino, 197,8 x 132,1 cm

I personaggi, individui sconfitti,  disperate presenze che gridano la precarietà umana, creature consumate dal loro stesso vivere, si caricano di significati profondi che vanno oltre le regole della raffigurazione grafica per esprimere, in tal modo, la reclusione dentro a senso di impotenza devastante.
Difatti, Bacon pose l’uomo con l’affaticamento, il sentore e la complessità che gli appartengono al centro della propria indagine, immortalandolo in modo crudele, violento e disincantato.

Head I 1948; olio su tela, 100,3 x 74,9 cm

Oltre l’immagine, il destino incontrastabile che, già scritto, non lascia scampo.
Egli esteriorizzò  una poetica secondo cui l’individuo vive una condizione hic et nunc di isolamento e solitudine, prigioniero di un mondo da esso stesso creato.

Crucifixion 1933; olio su tela, 62 x 48,5 cm

Bacon fu un artista estremamente maniacale, attento alla qualità delle sue opere.
Analizzò severamente i risultati prodotti ed arrivò a distruggere i suoi lavori nel momento in cui riteneva non fossero all’altezza della situazione.
Tale modus operandi evidenziò il rapporto viscerale che egli creò con il mezzo artistico, unico tramite per esprimere l’esistenzialismo che celava dentro di sé.

Portrait of George Dyer Talking 1966; olio su tela, 200 x 150 cm

Ogni suo dipinto comportò una presa di coscienza del mondo, si spinse fino all’orlo dell’abisso senza lasciarsi risucchiare dall’inferno della privazione dell’anima.
Infine, mantenne sempre viva la relazione intercorrente tra effettività umana e psicologica.

Autoritratto
Study for a Portrait

Mara Cozzoli

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