
Le emozioni si imparano ed è possibile educare ed educarci all’ascolto interiore.
“Le emozioni sono reazioni molto complesse che coinvolgono il corpo, la mente e il nostro comportamento”.
È possibile educarci alla nominalizzazione e all’autoregolazione per rispondere all’allarme analfabetismo emotivo, alla radice di numerose problematiche sociali, dalla crisi della salute mentale degli adolescenti alla violenza di genere e giovanile.
Dialogo, oggi, con Francesca Saicioli, Coordinatrice dei contenuti – Redazione Scientifica di Fondazione Patrizio Paoletti, sull’importanza delle emozioni per una salute globale, che non è semplice assenza di malattia, come dichiarato dall’OMS già nel 1948, ma uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale.
Cosa sono le emozioni e perché sono così importanti oggi?
Per rispondere a questa domanda possiamo partire dall’etimologia della parola: ex movere, ossia “muovere fuori”.
Le emozioni sono reazioni molto complesse che coinvolgono il corpo, la mente e, naturalmente, anche il nostro comportamento.
Come suggerisce l’etimologia, ci aiutano a muoverci da uno stato cognitivo, emotivo ed esperenziale a un altro.
Le emozioni sono al contempo un ponte tra pensieri e istinti, cognizione e azione.
Oggi l’alfabetizzazione emotiva è particolarmente importante come fattore protettivo per la salute mentale e per il contrasto alla violenza.
Stiamo vivendo infatti una crisi di salute mentale, che colpisce in particolar modo le nuove generazioni.
Si pensi che il suicidio è la seconda causa di morte in Europa per i ragazzi tra i 15 e i 19 anni. L’analfabetismo emotivo e la mancata o carente consapevolezza delle emozioni è una concausa del diffondersi del fenomeno del bullismo, i cui dati sono allarmanti: 6 adolescenti su 10 in Italia subiscono violenza.
Cosa accade quando queste ultime non vengono riconosciute? Parliamo, dunque, di analfabetismo emotivo.
La “Collana delle emozioni”, ma anche tutta la progettualità di Fondazione Patrizio Paoletti, considera l’essere umano all’interno di una particolare triade: intelligenze, emozioni e relazioni.
Quello emotivo è al contemporaneamente uno dei tre “mondi del cervello”, la cui struttura tripartita comprende una parte collegata agli istinti, una alle emozioni e una alla cognizione e ai pensieri.
Le emozioni sono quindi fondamentali per la nostra salute globale e per la nostra natura, ma attualmente ci troviamo innanzi a un crescente analfabetismo emotivo, che si traduce nel non sapere cosa sono le emozioni e nel non essere in grado di riconoscerle in noi e negli altri.
Ciò è correlato a una scarsa capacità introspettiva, all’incapacità di ascoltare il proprio vissuto emotivo e, conseguentemente, di orientare le emozioni che, ovviamente, servono sempre a qualcosa.
Procediamo per esempi. Cos’è e a cosa serve la rabbia?
La rabbia, per esempio, è un segnale d’allarme che ci indica che è necessario un cambiamento, un ripristino dell’equilibrio.
Se non la si riconosce, non si può utilizzare l’emozione della rabbia come strumento orientativo.
Analfabetismo emotivo significa, dunque, non entrare in contatto con il proprio trascorso personale, con ripercussioni anche nel rapporto con l’altro.
Non saper riconoscere le emozioni significa non comunicare, non creare contenuti da condividere.
Concretamente, a cosa porta l’analfabetismo emotivo?
Per esempio alla violenza, al bullismo.
L’analfabetismo emotivo è una delle più grandi sfide a cui Fondazione Patrizio Paoletti risponde con progetti psico-pedagogici e programmi di sensibilizzazione a larga scala.

All’interno del vostro portale, peraltro, come in parte annunciato poc’anzi, è possibile scaricare a titolo gratuito contenuti a tema. Spieghiamo in cosa consiste la “La collana delle emozioni”, concentrandoci sulla sua funzione.
La “Collana delle emozioni” è una collana ideata per contrastare l’analfabetismo emotivo attraverso l’approfondimento delle emozioni nelle diverse fasce d’età: emozioni dei bambini e con i bambini, adolescenti, età adulta e anzianità, con approfondimenti specifici sulla ricerca neuroscientifica e spunti pedagogici per un allenamento dell’intelligenza emotiva, a tutte le età.
In queste fasi, quant’è importante dare un nome alle emozioni e saperle riconoscere?
La nominalizzazione è sempre molto importante, per tutta la nostra vita.
Per comprenderne bene il ruolo, Fondazione Patrizio Paoletti mette a disposizione la specifica voce “Nominalizzazione” all’interno del glossario sul nostro portale https://fondazionepatriziopaoletti.org/glossario/
Naturalmente, è opportuno che l’allenamento dell’intelligenza emotiva inizi a scuola, con bambini e adolescenti.
Le emozioni sono parte della nostra salute globale e nominalizzarle ci permette di comprenderle e tradurle a livello cognitivo. Per farlo, bisogna essere consapevoli di cosa accade a livello psicofisico e saper riconoscere le emozioni dentro di noi. La nominalizzazione passa, quindi, da due tipologie di ascolto, quello fisico e quello interiore/affettivo.
Ma per rionoscere le emozioni dobbiamo conoscerle anche a livello cognitivo, sapere cosa sono le emozioni, a cosa servono, quali meccanismi fisiologici attivano, quali sono le finalità evolutive e adattive. Questa è l’alfabetizzazione emotiva, che Fondazione Patrizio Paoletti diffonde coi suoi programmi psicopedagogici, compresa la “Collana delle emozioni”.
Tra l’analfabetismo emotivo e le psicopatologie che relazione intercorre?
Se c’è analfabetismo emotivo, non c’è quella capacità di introspezione tale da elaborare al meglio quello che è il nostro vissuto. Questo può essere un fattore di rischio per le psicopatologie.
Dall’altra parte, l’intelligenza emotiva è uno strumento per affrontare nel modo più funzionale le sfide quotidiane ed è protettiva rispetto al disagio psicologico, all’ansia, allo stress e alla depressione. Preserva la salute mentale.
Come si giunge alla nominalizzazione delle emozioni? In che modo si arriva a gestirle?
È essenziale un ascolto interiore – orientato e educato – e la conoscenza anche cognitiva delle emozioni e del loro funzionamento, che è importante che venga trasmessa fin da bambini.
Per esempio, è importante capire come si traduce la felicità a livello cerebrale, ormonale e fisico.
Invece, a volte, non conosciamo la differenza tra emozioni che ci sembrano simili, come la nostalgia e la malinconia. Il primo passo è quindi conoscere le emozioni e allenarsi all’ascolto interiore, che è valorizzato dalle tecniche autocontemplative e meditative.
Perché è importante anche in anzianità?
Nell’ambito di un naturale invecchiamento e un fisiologico decadimento, l’anziano può sperimentare una percezione di smarrimento e fragilità, dovuta al deterioramento fisico e cognitivo, che è naturale sia accompagnata da un corollario di emozioni che identifichiamo come negative, per esempio l’ansia, la tristezza o la frustrazione.
Conoscere le emozioni degli anziani significa poter essere loro vicini nel migliore dei modi possibile e contribuire alla prevenzione della loro salute psicofisica. Nell’anzianità, un importante problema è quello della solitudine, che incide sul funzionamento cognitivo e sulla velocità della neurodegenerazione.
In particolare, il quarto numero della “Collana emozioni” di Fondazione Patrizio Paoletti è dedicato al mondo emotivo degli anziani, approfondendo il ruolo fondamentale delle relazioni per la terza e quarta età, che sono centrali per la loro salute.
È un po’ come dire: dobbiamo conoscere le emozioni dell’anziano, ma anche quest’ultimo deve compiere un lavoro su se stesso.
Se ci sono capacità cognitive residue, sì, assolutamente l’anziano può lavorare sul suo benessere psicoemotivo, anche praticando la meditazione, per esempio. Nella terza e quarta età è particolarmente necessario lavorare sul proprio senso di autoefficacia, dedicando tempo a progetti che possano fare sentire la persona anziana utile, felice e soddisfatta, come ad esempio il volontariato.
Il grande passaggio al pensionamento, ad oggi, è ancora troppo spesso vissuto un po’ come ritiro, una sorta di “uscita dai giochi” e in particolare dagli scambi economici e professionali, sui quali spesso tendiamo a identificare il nostro sistema di valori.
È, invece, molto importante che l’anziano resti e si riconosca come una risorsa centrale per la famiglia e la comunità. In questo modo, non vanno a perdersi le potenzialità che l’anziano può ancora mettere in gioco. E per l’anziano il fatto di percepirsi come risorsa e non come elemento di fragilità si traduce in un ingrediente di salute globale.
Facciamo un piccolo passo indietro e focalizziamoci sull’infanzia e l’adolescenza.
Per quanto riguarda i bambini, nel relativo numero della “Collana delle emozioni” abbiamo creato un termometro delle emozioni, utile per un gioco psicopedagogico da condividere in famiglia sul riconoscimento delle emozioni. Con questo termometro si ripercorrono insieme scene di vita quotidiana, per poi raccontarsi vicendevolmente come ci siamo sentiti in tali frangenti. Con i bambini si allena sia il riconoscimento delle emozioni sia l’autoregolazione emotiva. Infatti,
è importante riconoscere le emozioni ma anche autoregolarle in relazione al contesto in cui ci si trova.
Questo riguarda moltissimo gli adolescenti, che hanno una struttura cerebrale ancora immatura. Se il cervello limbico adolescente è molto sviluppato, quello cognitivo/razionale è ancora in via di sviluppo.
Nell’infanzia e nell’adolescenza l’allenamento all’intelligenza emotiva deve essere naturalmente commisurato al livello della maturazione della specifica fase evolutiva, però questo allenamento è possibile e utile a tutte le età. Per l’alfabetizzazione emotiva dei bambini, giocano un ruolo fondamentale gli adulti di riferimento: i genitori, la scuola, gli insegnanti, gli educatori. Perché se come genitore non so riconoscere le emozioni e non so autoregolarle, sfruttarle e comunicarle, difficilmente potrò insegnare a mio figlio a farlo. Lo stesso discorso vale per educatori e insegnanti.
Noi adulti, per primi, dobbiamo essere in grado di nominalizzare, autoregolamentare e comunicare le emozioni in modo funzionale. Perché le diverse fasce d’età crescono parallelamente. Infatti il sottotitolo della “Collana emozioni” di Fondazione Patrizio Paoletti è “un approccio neuroscientifico alle emozioni per crescere insieme”.
Quindi, mi sta dicendo, in questo caso, che il lavoro maggiore va fatto sull’adulto?
Dal punto di vista dell’evoluzione corticale, l’adulto ha la condizione più completa per applicarsi, comprendersi e autoregolarsi.
Ma l’allenamento dell’intelligenza emotiva è un lavoro che dovrebbe iniziare nell’infanzia, perché si avrà un più ampio margine di apprendimento, e continuare per tutto l’arco della vita.
Casi di violenza hanno sempre più protagonisti attivi minorenni. Quali emozioni non hanno saputo riconoscere? Solo la rabbia?
Potrebbero essere diverse le emozioni che non sono state riconosciute, comprese, ascoltate, orientate e comunicate in modo funzionale.
A livello generale, sicuramente possiamo dire che l’intelligenza emotiva è un fattore protettivo nei confronti delle varie forme di violenza, che sono molto diffuse anche nel nostro Paese: pensiamo che indagini recenti testimoniano che sei adolescenti su dieci in Italia hanno subito bullismo o cyber-bullismo.
La rabbia, di per sé, non è un emozione negativa.
Certo, non ci piace provarla, ma anche la rabbia è evolutiva e funzionale, se sappiamo orientarla. Il problema nasce quando non sappiamo comprendere la rabbia, orientarla in modo funzionale e comunicarla in maniera costruttiva, nel completo rispetto di noi stessi e degli altri.
Secondo lei, nei casi di stupro di gruppo, in cui giovani o minorenni hanno un ruolo attivo, cosa non ha funzionato? Da cosa scaturisce tutto ciò?
Si tratta di eventi gravissimi, le cui cause sono molteplici. Sicuramente anche l’analfabetismo emotivo è un fattore di rischio importante, come anche la necessità di educarci fin da piccoli al completo rispetto della vita e della libertà dell’altro e a una comunicazione costruttiva.
Questi episodi raccontano che i ragazzi non sono educati al vero amore. Nelle scuole è doverosa tanto l’educazione affettiva quanto quella sessuale. Occorre sviluppare quelle competenze emotive che possono arginare la violenza, in primis l’empatia. Dove c’è empatia, non può esserci violenza, perché l’empatia implica sentire l’altro nel momento presente. Sviluppare l’empatia equivale a contrastare la violenza. Va, infine, considerato anche il ruolo dei social media e della digitalizzazione della nostra vita, che può renderci più freddi e distanti rispetto al dolore altrui: il video può diventare uno schermo che fa da barriera alla connessione emotiva e anestetizza il senso di realtà e responsabilità.
Vi occupate molto di disagio giovanile. Quali sono le forme più gravi e frequenti che avete riscontrato?
Fra le nuove generazioni c’è una forte emergenza di solitudine, nonostante l’iperconnessione digitale.
C’è poi l’urgenza del contrasto alla violenza in tutte le sue manifestazioni, compresa la manipolazione emotiva.
La fragilità mentale è anche sempre più diffusa tra i giovani, seppure la crisi della salute mentale riguardi anche gli adulti, in questa delicata fase storica. La salute mentale è essenzaile.
Se crolla, rischia di crollare un intero sistema sociale, economico e sanitario.
La prevenzione è quindi fondamentale, anche per non sovraccaricare i sistemi sanitari, per renderli sostenibili.
Come parte della prevenzione alla salute mentale, è importante educare i giovani ad avere fiducia nel futuro e a prefigurarlo, diventando protagonisti attivi della propria vita e della creazione di un mondo migliore.
Quando parla di manipolazione emotiva, a cosa si riferisce?
Mi riferisco per esempio alle relazioni affettive tossiche, in cui spesso soprattutto i giovani rischiano di cadere. Sono rapporti in cui è tollerata una qualche forma di violenza, che si tratti di un controllo sul partner, di azioni di svilimento dello stesso o di violenza verbale.
È un fenomeno noto come il teen dating violence, che descrive i rapporti romantici che tollerano la violenza, che può essere verbale o fisica, indirizzata sulla persona o sugli oggetti.
Con l’alfabetizzazione emotiva e l’allenamento dell’intelligenza emotiva è possibile educare gli adolescenti che il vero amore non può comprendere la violenza perché coincide con il massimo rispetto e stima dell’altra persona, compresa la sua libertà, anche di allontanarsi. Il vero amore è libertà.
Per concludere, c’è qualcosa che vorrebbe aggiungere?
Invito tutti a visitare il nostro portale di salute globale www.fondazionepatriziopaoletti.org, dov’è possibile trovare molti contenuti informativi scaricabili gratuitamente (come webinar o EduKit), sulla salute globale e sull’alfabetizzazione emotiva, compresi articoli e voci di glossario che esplorano tutta la sfera psicoemotiva, per poter evolvere ogni giorno e scoprire sempre migliori versioni di noi stessi.
Mara Cozzoli
