Tutela sui minori. Intervista a Silvia Valadè, consigliera e membro commissione deontologia OPL.
I dati della seconda Indagine nazionale sul maltrattamento di bambini e adolescenti in Italia realizzata da Terre des Hommes e CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia per l’Autorità Garante dell’Infanzia e Adolescenza) indicano che più di 77mila minori, pari a 9 bambini su mille residenti, sono vittime di maltrattamento in Italia. La forma di maltrattamento principale è rappresentata dalla patologia delle cure (voce che include incuria, discuria e ipercura) di cui è vittima il 40,7% dei minorenni in carico ai Servizi Sociali in quanto vittime di maltrattamento, seguita dalla violenza assistita (32,4%). Il 14,1% dei minorenni è invece vittima di maltrattamento psicologico, mentre il maltrattamento fisico si registra nel 9,6% dei casi e l’abuso sessuale nel 3,5%.
I minori in carico ai servizi sociali, in generale, sono 401.766, pari a 4,5 minori ogni cento residenti su 1.
Al fine di analizzare il tema “Tutela sui minori” in ogni possibile dettaglio, dialogo, oggi, con Silvia Valadè consigliera e membro commissione deontologica OPL (Ordine degli Psicologi Della Lombardia).
Patologie delle cure, violenza assistita, maltrattamento fisico e psicologico. Entriamo nello specifico di ognuna di esse.
Con patologia delle cure, di cui fanno parte incuria, discuria e ipercura, ci si riferisce a tutte quelle condizioni in cui le figure genitoriali di un bambino, i suoi caregiver o coloro i quali ne detengono la responsabilità legale non assolvono in modo adeguato ai suoi bisogni, sia di carattere fisico che psichico, che certamente dipendono anche dalla fase di vita che in quel momento il minore attraversa. Incuria e discuria indicano rispettivamente una carenza di cure primarie e una condizione in cui le cure fornite non rispondono in modo appropriato alle effettive necessità del minore; al contrario, l’ipercura indica una somministrazione di cure altrettanto inadeguata ma in eccesso. Il termine violenza assistita si utilizza invece per indicare una forma di maltrattamento minorile che si verifica in ambito intra-familiare e che espone i minori, sia direttamente che indirettamente, ad assistere ad atti di violenza fisica, verbale e/o psicologica agita sulle figure di riferimento o su altre figure per essi significative. Quando la violenza fisica, nelle forme di aggressioni o punizioni corporali, è agita direttamente nei confronti di bambini o adolescenti è possibile parlare di maltrattamento fisico o maltrattamento psicologico (o abuso emozionale), qualora si strutturino nei confronti del minore pressioni psicologiche attuate attraverso ricatti, minacce ma anche indifferenza e rifiuto.
Prese separatamente, quali traumi possono arrecare al minore?
Il maltrattamento su bambini e adolescenti può determinare nei minori conseguenze di complessità differente, tenuta in considerazione la specificità di ciascun caso, l’età del minore e la fase evolutiva del percorso di crescita, il grado di familiarità con l’abusante, la gravità, la durata e la periodicità degli episodi di maltrattamento nonché quell’insieme di fattori, cosiddetti di rischio o di protezione che concorrono alla definizione del caso specifico.
Nel caso della patologia delle cure, declinata nelle forme di incuria, discuria e ipercura è stato osservato che i bambini o adolescenti vittime di tali maltrattamenti hanno riportato conseguenze negative sia fisiche che psicologiche come danni ad organi interni, incubi notturni, difficoltà nell’apprendimento, assenza di relazioni sociali, sindrome ipercinetica, perdita della capacità di riconoscere le sensazioni interne del proprio corpo.
Nel caso della violenza assistita e del maltrattamento psicologico è stato invece possibile riscontare disturbi quali problemi di depressione, bassa autostima, ansia, aggressività, scarsa capacità di gestione della rabbia, stati di agitazione ed irrequietezza, minori competenze sociali e relazionali, esigue abilità motorie, alterazioni del ritmo sonno/veglia con sonno disturbato da incubi o enuresi notturna, propensione alla somatizzazione, capacità empatiche ridotte, comportamenti regressivi, autolesionisti, disturbi alimentari, bullismo, uso di alcol e sostanze, scarso rendimento scolastico a volte associato a problemi di apprendimento.
Il senso di colpa e la vergogna, inoltre, si manifestano assai di frequente nei bambini che subiscono maltrattamenti, trovandosi a sperimentare un senso di impotenza e incapacità a reagire adeguatamente e prontamente fino a sviluppare la propensione a pensare di esserne i diretti responsabili.
Per quanto concerne il maltrattamento fisico, è stato osservato che lo stress causato dai maltrattamenti è associato a ritardi nella fase iniziale dello sviluppo cerebrale ed uno stress estremo può compromettere lo sviluppo del sistema nervoso e di quello immunitario. Di conseguenza, gli adulti che hanno subito maltrattamenti nell’infanzia presentano un rischio maggiore di sviluppare problemi comportamentali, fisici e mentali quali commettere o subire violenze; depressione; comportamenti sessuali ad alto rischio; gravidanze indesiderate; abuso di alcol e droghe.
Quello di cui stiamo parlando è un campo che chiama in campo tre voci che interagiscono tra loro: magistratura, servizi sociali e figure d’ascolto (psicologi e psicoterapeuti).
Spieghiamo bene quale funzione svolgono.
La magistratura si occupa di raccogliere, indagare e decidere in merito alle segnalazioni di situazioni di pregiudizio per il minore in ambito familiare. Questo può chiedere al servizio sociale di verificare le condizioni di vita e familiari di un minore che presenta segnali di disagio. Il servizio sociale svolge due funzioni principali: la prima riguarda l’assistenza, il sostegno e l’aiuto nella genitorialità alle famiglie, mentre la seconda riguarda la vigilanza, protezione e tutela dei minori di fronte a difficoltà e carenze nella gestione del ruolo genitoriale. Queste vengono esercitate in maniera integrata in quanto l’indirizzo al quale devono attenersi è quello di tendere ad aiutare la famiglia ad attuare processi di cambiamento, operare per favorire la responsabilizzazione dei genitori, rimuovere, per quanto possibile, le cause del disagio e sostenere i genitori a svolgere adeguatamente i propri compiti al fine di garantire al minore il diritto di crescere serenamente nella propria famiglia. All’interno dello stesso campo, gli psicologi e psicoterapeuti si occupano invece di attuare la presa in carico, in condivisione con l’Assistente Sociale, del minore e della sua famiglia, valutare il disagio e le risorse del nucleo familiare. Valutano la necessità di eventuali ulteriori approfondimenti e interventi, effettuano interventi di sostegno psicologico rivolti al minore e ai suoi famigliari, supervisionano e monitorano i progetti attivati a favore della famiglia.
Nel rapportarvi tra voi, è mai capitato sorgessero particolari difficoltà? Se sì, quali?
Per fortuna no!
Quali sono i principi o regole a cui, non solo voi psicologi o psicoterapeuti, ma anche le restanti parti, dovete tassativamente seguire nello svolgimento di tali incarichi?
Il principio che tutte le parti coinvolte sono tenute a rispettare è quello di assicurare al minore un “contesto di protezione” all’interno del quale si possano attivare i necessari interventi di sostegno e cura, che siano rispettosi dei tempi evolutivi e dei bisogni del minore e che impediscano comportamenti stigmatizzanti e colpevolizzanti, nonché pressioni psicologiche nei confronti del minore: le azioni protettive rischiano infatti di produrre delicate condizioni di vittimizzazione secondaria qualora non siano gestite con grande accuratezza e professionalità ed è per questo che diventa fondamentale il lavoro in rete tra operatori nonché la condivisione di principi e regole.
La cronaca racconta errori nell’applicazione delle regole, così come è giusto che sia, però, proviamo anche ad entrare nel merito del lavoro che quotidianamente portate avanti.
Quale origine hanno le mancanze da parte di professionisti? Incompetenza o il problema è da cercare altrove?
Il mondo della tutela rappresenta infatti un crocevia di competenze e saperi diversi che si fronteggiano quotidianamente cercando di lavorare in rete, senza rimanere in essa intrappolati o soffocati.
(“La tutela del minore nell’attività del servizio sociale locale” A. Ferri, 2013; “La tutela del minore: dal diritto agli interventi. Verso una condivisione di esperienze e prassi tra magistratura ed enti locali” Luisa Della Rosa et al 2008).
Questo particolare settore espone i suoi operatori a situazioni terribilmente complesse che mettono costantemente in discussione le loro credenze, i loro saperi, i loro punti di riferimento etici e culturali.
In questo campo gli operatori sono chiamati ad un continuo dialogo con sé stessi, con i colleghi e gli altri attore processuali per non indulgere in spinte onnipotenti da un lato o in una staticità impotente dall’altra, in un contesto di scarsità di mezzi e a volte oggetto di un’attenzione mediatica incompetente.
L’azione professionale di psicologi e psicoterapeuti nei contesti di tutela ha sempre alla propria base questi interrogativi: come ascoltare in modo tutelante, come ascoltare in modo protetto, come evitare che trasformare l’ascolto diventi in un’occasione che danneggi il meno possibile un bambino, cercando comunque di comprendere quanto accaduto, come gestire il doppio ruolo di clinico ma anche di pubblico ufficiale chiamato a segnalare in caso di notizia di reato anche alla luce del fatto che il doppio ruolo espone a complessità e rischi importanti (Carta di Noto, 2011).
Come si muove la figura d’ascolto nell’approccio con il minore?
Innanzitutto, è importante che lo psicologo accolga il minore spiegando la sua funzione e il motivo per cui lo incontra. All’inizio dei colloqui viene sempre dedicato un momento all’accoglienza e alla creazione di una relazione, per stabilire una buona alleanza che faccia sentire il minore a proprio agio e libero di esprimere i propri vissuti e le proprie emozioni. Ovviamente, la relazione e la comunicazione devono sempre essere calibrati sulla base delle competenze cognitive ed espressive della persona che abbiamo davanti. Lo psicologo adotta un approccio morbido e caldo, sintonizzandosi con l’esperienza del minore. Nel dialogo, si evitano le domande suggestive o ripetute e si favorisce invece il racconto tramite domande aperte.
Vi sono una serie di interrogativi che, anche voi psicologi vi ponete, tra i quali come gestire il doppio ruolo di clinico e di pubblico ufficiale chiamato a segnalare, in caso di notizia il reato.
Proviamo ad approfondire.
Non c’è alcun dubbio che nei casi in cui lo psicologo rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (come uno psicologo che riveste il ruolo di consulente tecnico d’ufficio), questo sia tenuto a redigere referto o denuncia, in tutti quei casi che presentano i caratteri di un delitto per i quali si debba procedere d’Ufficio (come maltrattamento, omicidio, violenza sessuale-circostanze aggravanti, atti persecutori-stalking). Sebbene ai soggetti incaricati di “pubblico servizio” permangono maggiori responsabilità rispetto a quelle di cui è investito un “normale” libero professionista, il quale non deve rispettare alcun obbligo di denuncia, se non nei casi in cui si venga a conoscenza di reati “contro la personalità̀ dello Stato” (ad esempio, eversione o attentato) o di reati che prevedono come pena l’ergastolo, coloro i quali sono chiamati ad effettuare obbligatoria denuncia devono necessariamente fornire all’Autorità̀ Giudiziaria gli elementi conosciuti che sono necessari per il corretto inquadramento del fatto, attenendosi, ad ogni modo, a quanto stabilito dal Codice Deontologico sull’essenzialità̀ della stessa (“stretto necessario” dell’art. 13 del Codice Deontologico). È comunque importante evidenziare che nonostante lo psicologo libero professionista non sia tenuto a refertare o denunciare, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza (refertando o denunciando), qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Lo scorso 4 febbraio OPL ha proposto un incontro virtuale il cui scopo è stato proprio quello di aprire un dialogo multidisciplinare sui temi che intersecano l’area della tutela minori, come i Servizi Sociali, la Magistratura, gli esperti dell’ascolto e l’opinione pubblica.
A quali conclusioni o riflessioni siete giunti?
Per rispondere ci aiuta Cartesio “Il dubbio è l’inizio della conoscenza.”