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Opera e ricerca. Intervista a Mario Vespasiani.

| Mara Cozzoli |

Nato nel 1978 nelle Marche, Mario Vespasiani vive tutt’ora in questa magica regione d’Italia, dove storia e natura regnano sovrane, luogo, inoltre, che meglio permette al nostro artista di sviluppare i propri progetti.
Egli pone come punti centrali di ciò che crea, in primo luogo la ricerca, la quale in pittura si estende a differenti modalità espressive senza, comunque, perdere di vista i contesti espositivi, fuori del comune rispetto alle tendenze, ma che meglio si adattano e permettono alla sua personalità di emergere. Detto questo, entra in scena il protagonista di oggi.

La prima domanda è banale e costituisce una sorta di rito: presentati ai nostri lettori.
Chi è Mario Vespasiani?

La risposta è la più semplice: un artista visivo. Uno che si è posto subito le domande fondamentali dell’esistenza e ha sempre lavorato in quella direzione, facendo della propria professione una testimonianza di fede vera in un ideale, di trasformazione interiore ed evoluzione di coscienza. Sono uno che crede che nel rapporto umano e nell’esempio, per giungere ad una dimensione superiore, dunque nella missione quotidiana di diffondere coi mezzi che si hanno a disposizione – per me l’arte – il bene. 

Con “Gemine Muse” hai esposto giovanissimo ai Musei Capitolini.

Una mostra collettiva notevole, la prima di respiro internazionale.
Fui invitato dal curatore Gianluca Marziani, a prendere spunto da una delle sculture presenti all’interno del museo – quella di Asclepio – per rendere in un dipinto di grande formato un’interpretazione contemporanea. Feci posare un mio amico nella stessa impostazione plastica, ma visto che lui era un po’ più in carne rispetto alla scultura originale, fu un motivo per parlare del corpo idealizzato e del corpo indifferente dal mero giudizio estetico e che alla stessa maniera grazie alla sua sicurezza interiore, rimaneva impavido ed eroico nel farsi guardare così com’era, senza doversi nascondere o giustificare di non essere prestante come il modello originario.

So che sei praticamente l’unico artista ad avere celebrato parallelamente alla tua ricerca il ruolo della Musa che, al contempo è tua compagna di vita.
In generale, come sorge questo connubio che va a imprimere stampo ad un’opera parte?

Non credo sia possibile prevedere o costruire a tavolino certe relazioni, farle durare o renderle celebri, queste storie fatte di complicità e di unità di intenti sbocciano lentamente, senza fare rumore e modellano qualcosa che in due, se coincidono perfettamente, prendono una piega epica, in quanto più rari dei grandi artisti, sono le vite che uniscono loro stesse al sogno e l’arte incarna quella visione del mondo inafferrabile, che non è solo fare oggetti ma esserne l’anima pulsante, che nei due unisce la parte femminile e maschile alzandosi da terra, dalla materialità.
L’altro diventa così specchio della nostra parte mancante che dobbiamo ritrovare, per ricostruire quell’unità che ci porta alla pienezza e l’opera una testimonianza di questa energia che diventa forma.


Parliamo di ricerca che risulta essere fondamentale nel tuo modo di fare arte e strettamente legata agli interrogativi che ruotano intorno all’umanità: relazione spazio e tempo, rapporto tra uomo e divinità. Raccontaci le varie fasi di questa tua esperienza “evocativa”.

Quale essere umano, prima ancora dell’artista, percepisco il mondo come un mistero che si manifesta nelle maniere a me più congeniali, comprensibile o meno, tutto sembra muoversi dentro un ordine che governa gli eventi, che impone costantemente delle scelte verso una direzione che intuisco ma non conosco.
Perciò siamo chiamati a sviluppare quanto prima una certa sensibilità, che all’inizio è fatta di nozioni, che poi si trasformano in conoscenza e alla fine, ci si augura, in saggezza. In questo cammino la percezione come la visione si ampia, si vede più in profondità non solo perché uno col tempo acquisisce più esperienza, quanto consapevolezza, del ruolo e del suo posto nel libro della vita. Io mi sono orientato verso questa direzione fin da piccolo e nel tempo non ho fatto che perfezionare il tiro e purificare le intenzioni. In quanto tutto quello che si verifica avviene anche perché lo abbiamo attratto, in maniera inconsapevole o no.
Si tratta, dunque, di vivere testimoniando questo attaccamento, non al corpo o quanto meno ai beni materiali, bensì a ciò che ci supera e governa, che orienta i nostri passi specie quando perdiamo di vitalità e siamo scoraggiati. Fare arte è dunque questo affidarsi, è fare in modo che quelle forze che sono più grandi di noi, scendano al nostro fianco per portarci a compiere qualcosa di utile alla creazione, che possa generare ancora e servire a chi la vedrà, da esempio.

“La quarta dimensione” non è solo una tua personale, ma racchiude il senso che attribuisci alla ricerca. Proviamo a spiegarne il concetto.

Si tratta di un discorso molto ampio, che non si può esprimere in poche parole semplicemente perché come un buon cibo va assaggiato, sperimentato di persona, lungo le strade che ci porta a percorrere quotidianamente, tuttavia potremmo definirlo come un’attitudine alla vera vita, all’istante eterno, che ci invita ad apprezzare l’attimo come sacro, imperdibile, infuocato. A questo concetto ho associato quattro grandi mostre, fatte di un dialogo a due con alcuni grandi maestri dell’arte italiana, dove ho proprio cercato di mettere in risalto l’attualità di ciascun maestro con le mie intuizioni, cercando nelle loro opere le analogie e gli spunti che rendono la grande arte sempre nostra contemporanea. Con Mario Schifano è venuta fuori l’importanza del gesto pittorico vivace e generoso, con Osvaldo Licini ho messo in evidenza il sentimento lirico e sognante del tratto, dai contorni eterei quanto mitici.
Con Lorenzo Lotto ho associato nei mei ritratti di grande formato le sue pale d’altare disposte in varie sedi nelle Marche, per mettere in relazione l’aspetto psicologico degli sguardi, la loro componente umana e quella più sottile divina.
La mostra con Mario Giacomelli tenutasi negli spazi del celebre gallerista Pio Monti, ho lavorato invece sull’aspetto fotografico, nel sottolineare come per entrambi la fotografia sia una sorta di scrittura antica, di traccia luminosa che scrive e incide sulla pelle della storia, non solo ciò che si vede ma anche quello che echeggia in quei luoghi o che non può dichiarare apertamente un volto. Anche qui il mistero governa l’immagine, che sembra sul punto di svanire come ricordo e invece ritorna come un lampo. Dunque vita e arte, non sono mai separate, come non lo sono i secoli o gli stili che distinguono due artisti se accumunati da un sentire profondo che guida l’opera.

Sono oltre quaranta le pubblicazioni dedicate al tuo lavoro e sei autore di innumerevoli libri.  L’ultima tua creazione “A gentleman in the word of art” è un testo innovativo, nel quale l’arte diviene strumento per la comprensione del presente attraverso l’evolversi della coscienza e il colore assume rilevanza e potere terapeutico.  Nella realtà, questo volume è molto altro.

Fin dal mio esordio ho documentato in maniera costante con libri e pubblicazioni la mia ricerca, arricchiti da testi di validissimi studiosi che ne hanno approfondito l’indagine dai loro differenti versanti di studio. Così dopo un ventennio di pittura sono diventati una quarantina i libri che approfondiscono i vari passaggi. Un percorso notevole se lo guardo a ritroso, ma già chiaro fin dalla prima mostra, in cui erano già presenti i molteplici contenuti che avrei sviluppato negli anni successivi. Tutto è già in noi, basta farlo sedimentare e fruttificare a tempo debito, senza rincorrere le sirene del successo immediato, che ovunque, specie attraverso i vari talent vogliono imporre ed allineare ad un certo gusto ciò che invece dovrebbe prendere una piega propria e imprevedibile. Il nuovo libro è perciò una sorta di manuale per salvaguardare la propria libertà e metterla semmai al servizio della creazione, della bontà divina che genera incessantemente. Il volume diviso per cinque aree parla di come affrontare il mondo con lo sguardo, di come capire dove si nasconde il pericolo e dove invece si svela la grazia. Se di tutti i sensi, solo la vista può sperimentare di tutto, non tutto ciò che si osserva ci fa bene, perciò ci sono alcuni passaggi dove illustro come difendersi dalla volgarità e dalla violenza gratuita. Si parte da una lettura generale della storia dell’arte per capire come le immagini descrivono il mondo, facendo spesso un parallelo con le mie opere, mostrando i riferimenti e gli spunti a chi ho guardato con ammirazione, più che con emulazione. Un fatto significativo sta invece nel dire come sia nato questo libro che sfiora le 500 pagine, dato che non essendo uno scrittore, non era scontato impostare in pochi mesi un simile racconto, il quale è invece venuto giù di getto dopo la notizia che avremmo avuto una bambina. Allora ho pensato di descrivere a questa creatura il mondo che troverà, attraverso gli occhi del padre artista, ma anche dalle emozioni che ho ricevuto dalla madre, da sempre mia musa. Il volume è dunque un’opera inaspettata, che mi ha portato come a narrare a questa bimba, Venise Maria, già dal ventre materno in progressiva crescita, una storia del mondo attraverso l’arte e dei genitori attraverso l’amore, che si alimenta, crea e stupisce, specie quando nessuno se lo aspetta.


Importante è anche l’occhio e l’animo del fruitore che, attraverso la sua sensibilità, ha il potere di infondere un proprio significato a ciò che gli sta innanzi. Parliamo, dunque, dell’importanza del forte sentire nel momento in cui si fonde con l’analisi.

Proprio vero, la sensibilità dello sguardo illumina o distrugge qualsiasi cosa, che sia un capolavoro o un paesaggio. Non è questione di cultura, quanto di saper orientare i sensi a guardare l’invisto, a spingersi oltre le nozioni e gli stili per giungere a contemplare la vera luce, nella veste originaria. Quante siano le forme di vita invisibili che ci circondano non passiamo saperlo, tuttavia non possiamo escluderle, non possiamo dire se non le vedo non esistono, specie da quando la fisica quantistica ci ha insegnato che noi più che corpi siamo energia. Dobbiamo allora mantenerci vigili e innamorati, perchè la visione fatta col cuore espande quella oculare, arricchisce di significato il presente e ci fa guardare l’altro come un fratello e non come un sospetto o come un concorrente, che vuole toglierci qualcosa. La cattiva politica lavora in questo modo, spaventando e mettendo gli uni contro gli altri, dividendo come fa il diaballo, utilizzando la paura come uno strumento e riducendo la solidarietà ad un valore da fessi. L’arte mira all’esatto opposto, massaggia il nervo atrofizzato della sensibilità e allena il muscolo che porta a superare con nonchalance gli ostacoli che naturalmente s’incontreranno, ma che vanno affrontati attraverso la fiducia nelle proprie forze e nella collaborazione. Dell’arte, l’eccellenza è la sua qualità intrinseca e la condivisione è il suo fine, che emancipa l’individuo dallo stato di consumatore passivo a quello di anima iperattiva. Lo eleva dall’arena polverosa dei giudizi, alla tribuna da dove è possibile apprezzare lo spettacolo dall’alto, capire lo schema, prevedere le azioni e di conseguenza cogliere il senso del tutto.

Infine, ti chiedo, quali caratteristiche deve avere non solo l’uomo, ma anche la sua mente, per portare avanti un discorso di ricerca?

Tutti noi subentriamo in una storia che è già iniziata e per un certo lasso di tempo siamo chiamati a dare del nostro, ora se pensiamo che la nostra vita finisca al termine dei giorni a noi concessi, vivremmo con l’ottica predatoria di accaparrarsi e godere il più possibile anche a discapito degli altri, se invece assumiamo la concezione dell’eternità dalla quale proveniamo, allora questa fase terrestre della nostra condizione umana, ci proietta non più solo qui ma altrove, dove tutte le forme evolute lodano l’assoluto. L’esperienza sulla terra dev’essere vista come una prova e le nostre azioni, le nostre opere corrispondono ai soli meriti che porteremo con noi. Allora se saremo stati trasparenti e puri nel nostro cammino prenderemo parte alla luce che non si consuma e avremo onorato l’impegno preso. Lo spirito procede nelle nostre buone opere e quelle che oggi possiamo definire come intuizioni interiori, sono sicuro che un domani saranno leggi dell’armonia visibili. L’arte è solo un gradino tra i vari strumenti di ricerca che abbiamo a disposizione per affacciarci oltre il visibile, ma è il più entusiasmante perché si esprime con ciò che ci circonda, ossia coi colori, che sono la vera energia che ci avvolge e la cui intensità crea già un sentimento inequivocabile. L’uomo nuovo non dovrà perciò fermarsi a raccogliere i pezzi di un mondo deflagrato, ma imparare a ricostruire l’unità, a trovare quella musicalità poetica di una frase che non si osa dire, forse solo per timidezza ma che ci porta, ad esempio, a definire la persona che amiamo con il trasporto esagerato del bambino di fronte ad una sua scoperta. Allora non daremo nulla per scontato, bensì percepiremo il senso di infinito già qui, con gli occhi pieni di commozione, testimoni d’aver vissuto, di aver riconosciuto e contemplato una presenza tanto fragile, ma come fosse l’ultima cosa bella rimasta sulla terra.


Mara Cozzoli

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