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La creatività come esplorazione di sé. Intervista a Alessia Spina, fotografa.
La fotografia ci permette di esprimere emozioni, migliorare la comunicazione e stimolare la creatività con effetti positivi sul benessere psicofisico.
Uno strumento, dunque, per imparare a conoscere se stessi e narrarsi.
Dialogo, oggi,con Alessia Spina, laureata in Scienze e Tecniche Psicologiche, laureanda in Psicologia Clinica, nonché fotografa.
Partiamo dal concetto di creatività. Come la definirebbe?
La creatività è un costrutto complesso, che può essere semplicemente delineata dall’atto di trasformare idee e dalla capacità di immaginazione, ma che può esprimersi in più di 60 definizioni in ambito psicologico e letterario. Per semplificare, possiamo dire che la creatività è associata al pensiero divergente, cioè che si svolge in una direzione diversa, che usa l’immaginazione e segue un processo spontaneo, non lineare, circolare, orizzontale. Segue un flusso libero e si contrappone al pensiero convergente, che usa la logica, è lineare e verticale. Il fattore che per eccellenza sembra associarsi alla creatività, in accordo con la teoria dei Big 5 (Goldberg, 1993), è una dimensione della personalità: l’apertura mentale. È particolarmente associata al pensiero divergente e si traduce in fantasia, immaginazione, gusto estetico, bisogno di avventura, disinibizione, curiosità, sensation seeking, emozioni e pensiero fuori dagli schemi. Gli individui con una pronunciata apertura mentale non hanno confini rigidi, non sono dicotomici, sono oceanici, sia a livello esperienziale sia a livello sensoriale, con un alto coinvolgimento nel contesto che vivono. Infine, dal punto di vista neuroscientifico, per l’attivazione del processo creativo e per innescare un insight (“Ah-ah!” percezione illuminante o improvviso riconoscimento di schemi precedentemente invisibili) è necessaria un’iniziale dissociazione del controllo attentivo-esecutivo del lobo frontale, parte che comunemente definiamo “razionale”, così da poterci ascoltare e lasciarci fluire. In un secondo momento, è però necessario che il controllo attentivo-esecutivo riprenda il comando della parte creativa per supportarla e strutturarla in funzione della progettualità. Il percorso si caratterizza, appunto, per un andirivieni di un carretto sulle montagne russe. Se decidiamo davvero di metterci in gioco ci esponiamo a tutti i livelli: percezioni, emozioni, cognizioni, comportamenti, apprendimenti, luoghi che abbiamo visitato, musica che abbiamo ascoltato, persone che abbiamo incontrato. Ecco perché la creatività può essere allenata, proprio come un muscolo, attraverso teoria e pratica che alimentano l’interazione integrativa delle funzioni sopra descritte.
Come avviene l’interazione tra quest’ultima e la fotografia?
Quando scattiamo fotografie ci trasformiamo dall’essere partecipanti coinvolti, ignari della nostra posizione, a essere osservatori attivi. La fotografia ci permette di dare forma a ciò che sentiamo, proviamo, immaginiamo. Ci libera da stereotipi ancorati a una visione oggettiva della realtà e ci apre al costruttivismo, ad una realtà che non è data a priori, ma che può essere costruita soggettivamente.
La fotografia è espressione del proprio punto di vista. La realtà è sempre un po’allucinata, in quanto è soggetta a un’interpretazione inevitabilmente soggettiva. Noi costruiamo la realtà con le nostre lenti; di che colore sono oggi? Rosa, nere, rosse, blu o verdi?
Fare fotografie è mettere testa, occhio e cuore sullo stesso asse, come afferma Henri Cartier Bresson, in un’integrazione delle parti, ma questo asse, che a me piace immaginare di più come un cerchio per la sua natura non lineare, porta a cogliere quel momento in cui il mondo fuori si ordina all’improvviso per svelarci significati inattesi sul nostro mondo interiore e, magari, sul nostro disordine. In che senso? La fotografia è uno strumento potentissimo che collega le aree frontali del cervello alle aree sottocorticali, viscerali, e porta a galla nuove consapevolezze. È un continuo gioco di rimandi e risonanze tra mondo interno e mondo esterno e una costante rivelazione di significati che viaggiano su binari bidirezionali e creano connessioni tra un tempo sincronico e diacronico, storia personale e generazionale. Si tratta di dare forma a ciò che, per definizione, è privo di forma ma carico di forza. È questa la missione del creativo.
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Secondo quali meccanismi la fotografia incide sul benessere psicofisico?
La comunità scientifica è d’accordo sul fatto che inibire le proprie emozioni e trascurare il proprio mondo affettivo ha un impatto non solo sugli aspetti puramente relazionali, ma anche sul benessere psicofisico e, nello specifico, sui parametri biologici stress-correlati. Inoltre, la mera espressione delle emozioni non è sufficiente… è necessario saperle riconoscere, saperle rinominare e, dunque, accoglierle.
Il linguaggio metaforico e simbolico, non-verbale, che utilizziamo attraverso le fotografie che creiamo ci permette di entrare in contatto con le nostre emozioni e i nostri sentimenti, che spesso emergono all’improvviso e vengono per questo percepiti come più forti e autentici, come ci ricorda Judy Weiser nel suo lavoro “Phototherapy Techniques”.
Questo passaggio non è mediato dalla traduzione verbale che ci concede sempre buoni nascondigli per le difese cognitive (razionalizzazioni, negazioni, giustificazioni, etc.) e altri meccanismi a favore della censura protettiva della mente. Uno scatto fotografico può fare da ponte tra il sistema cognitivo e i sensi, tra il sé più profondo che è al di sotto della consapevolezza e il sé cosciente, e tra il sé di cui siamo consapevoli e quello che è visibile agli altri. Le tecniche foto-proiettive connettono gli stimoli visivi ai significati consci ed inconsci… d’altronde al suo livello più elementare vedere è credere, sia dal punto divista metaforico sia letterale, noi vediamo quello che crediamo e crediamo a quello che vediamo, “vedere” è infatti spesso usato come sinonimo di “capire”. A volte il vedere, processo selettivamente filtrato, è anche un modo per non vedere. Ecco perché la fotografia può essere un potente mezzo per persone che non riescono a provare o esprimere le proprie emozioni apertamente.
Infine, la fotografia mette in relazione con sé stessi e con gli altri, produce flessibilità di pensiero, aiuta a considerare diversi punti di vista, a condividere ed arricchire la propria esperienza attraverso l’altro, in un gioco di specchi e risonanza che facilita l’evoluzione personale, in un continuo rimando tra mondo intrapsichico e intra-relazionale. Un altro effetto positivo sul benessere psicofisico, in quanto esseri relazionali.
In che modo supporta l’elaborazione delle emozioni?
Quando usiamo i nostri corpi e agiamo “come se” per cercare di comunicare un sentimento, spesso entriamo in contatto con emozioni che si scatenano a livello fisico.
Il corpo, scattando una fotografia, mette in contatto con le emozioni, mette in scena e porta fuori per re-introdurre dentro con una prospettiva più ampia, che allarga il campo per vedere i fili che lo compongono, tramite un allineamento degli assi cognitivo-emotivo-percettivo.
Si rende, dunque, necessaria una elaborazione successiva, a livello cognitivo: il solo corpo e il solo aspetto percettivo, che muove le emozioni senza elaborarle può condurre a una attivazione fine a sé stessa, che porta fuori ma non reintroduce dentro, che non viene contenuta e mantenuta a lungo termine. D’altro canto, il solo ragionamento rischia di stagnare in uno sterile incompiuto, che coinvolge solo il livello cognitivo.
Le fotografie, le immagini, le opere d’arte in generale, ci permettono di congiungere tra loro la dimensione verbale e quella visuale ed entrambe con la dimensione emotiva, permettendoci di capire questa connessione, ci danno testimonianza della nostra storia e della sua importanza.
Infine, le emozioni vanno accolte, non negate.
Ascoltiamole, cosa hanno da dirci? Sono nostre amiche, tutte, possono raccontarci cose che non sappiamo di noi e favorire il processo di autoconoscenza.
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Cosa intende quando sostiene, sempre parlando di fotografia, che la tecnica si pone al servizio della comunicazione, dell’espressione e della cura di sé.
Il discorso tecnica potrebbe spaventare i meno esperti.
Intendo che le competenze tecniche di base sono in funzione dei processi creativi ed espressivi e servono a metterli in pratica. Il focus non è sullo sviluppo di tecniche specifiche e dettagliate sulla fotocamera e sull’utilizzo della stessa. Per scattare una buona foto non bisogna essere maghi di tecnica fotografica. Ad oggi, peraltro, l’intelligenza artificiale ed alcuni automatismi di fotocamere avanzate ci insegnano che possiamo “scattare” una foto tecnicamente perfetta senza un minimo di conoscenza a riguardo.
Dunque, cosa fa la differenza in un momento storico simile? La comunicazione. Che cosa vuoi dire? Soprattutto, hai qualcosa da dire o la foto che produci parla di un bellissimo vuoto di contenuto? Vedo spesso immagini esteticamente perfette che non dicono nulla.
Quando definisci il contenuto dell’intenzione comunicativa puoi decidere come dirlo e per farlo la tecnica è necessaria, ma è solo uno strumento, non un punto di arrivo o il fulcro del percorso.
Dunque, per rispondere alla domanda direi che le scelte e le pratiche tecniche che caratterizzano il linguaggio espressivo dipendono dall’oggetto dell’esplorazione e sono al servizio della comunicazione.
Utilizziamo uno sfuocato se vogliamo trasmettere sensazioni oniriche, un mosso se vogliamo raccontare dinamismo e cambiamento, un contrasto netto se vogliamo esaltare parti in luci e parti in ombra, un bianco e nero se vogliamo evidenziare l’aspetto storico, transgenerazionale e sottolineare l’influenza della memoria.
Per concludere, i meno esperti non corrono il rischio di essere intimoriti da aspetti tecnici di base, alla portata di tutti, che possono fungere da rampa di lancio per obiettivi altri e ben di livello superiore. Il linguaggio tecnico è al servizio del linguaggio vero e proprio, quello che apre una finestra sul proprio spaccato di vita.
Al momento, è alle prese con l’organizzazione di un laboratorio di fotografia terapeutica?
Vogliamo parlarne? A chi è rivolto?
Certo. Ho organizzato un laboratorio di fotografia terapeutica, dal titolo “La creatività come esplorazione di sé” che si svolgerà presso Bottega Immagine, centro fotografia Milano, da marzo a maggio 2025. Il percorso si compone di 7 incontri in cui si terranno sessioni teoriche e pratiche, complete di esercitazioni con diversi strumenti fotografici (anche Polaroid). Gli aspetti che verranno affrontati sono diversi e sarà il gruppo stesso a scegliere il tema sul quale concentrarsi con maggiore attenzione.
Di seguito il razionale del laboratorio:
La fotografia ci permette di esprimere emozioni, migliorare la comunicazione e stimolare la
creatività con effetti positivi sul benessere psicofisico.
È un modo alternativo per raccontare e raccontarsi.
La creatività si allena proprio come un muscolo, non è vero che o si è creativi o non lo si è, come dicevo prima.
L’iniziativa è rivolta sia a fotografi con esperienza, sia a coloro che vogliono avvicinarsi al mondo
della fotografia, ma non possiedono le competenze tecniche.
A fine laboratorio, quali saranno gli obiettivi che i partecipanti raggiungeranno?
I partecipanti acquisiranno le competenze tecniche di base e le metteranno in pratica in funzione dei processi creativi ed espressivi.
Gli incontri si terranno in presenza e in gruppo, con possibilità di partecipare da remoto e di essere seguiti anche individualmente per tutta la durata del percorso.
Si effettueranno lezioni teoriche e pratiche, con esercitazioni guidate in sede e fuori sede.
Alla fine del corso il partecipante saprà utilizzare la fotocamera (analogica, digitale/smartphone) come strumento di esplorazione ed autoconoscenza secondo la propria inclinazione personale, oltre che come potente mezzo di comunicazione. Saprà pensare creativamente e sviluppare una progettualità fotografica sulla base di contenuti cognitivamente ed emotivamente significativi.
Il corso termina con un piccolo project work.
Maggiori informazioni per chi volesse iscriversi?
Per maggiori informazioni potete consultare il link di seguito: https://www.bottegaimmagine.it/laboratorio-di-fotografia-terapeutica/
e inviare una mail ainfo@bottegaimmagine.it
Vi aspetto!
Mara Cozzoli
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