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“Un disturbo alimentare è una condizione caratterizzata da un rapporto disfunzionale cibo-peso che influenza negativamente la salute fisica e psicologica”.

| Mara Cozzoli |

Sono 4000 i decessi per disturbo della condotta alimentare nel 2024.
Insieme a Leslye Pario, biologa nutrizionista e autrice di “La mela del peccato” poniamo, oggi, non solo la differenza intercorrente tra bulimia e binge-eating ma, entrando nel merito del discorso cronicità, sottolineeremo come quest’ultima possa essere trasformata in altro.

Cos’è un disturbo alimentare?

Un disturbo alimentare è una condizione caratterizzata da un rapporto disfunzionale con il cibo e il peso, che influenza negativamente la salute fisica e psicologica.
In tal caso, si va ben oltre la preoccupazione per la dieta o per l’aspetto fisico, perché diventa una vera e propria patologia che può compromettere la qualità della vita e, nei casi più gravi, anche risultare fatale.
La classificazione dei DCA è stabilita dal DSM, ovvero un manuale diagnostico e statistico dei disturbi alimentari.

Come biologa nutrizionista si occupa in particolar modo di bulimia e binge – eating.
Cosa differenzia questi due tipi di disturbo?

Tanto nella bulimia quanto nel binge – eating ci sono episodi di abbuffate.
Nella bulimia le abbuffate sono seguite da comportamenti compensatori, come ad esempio il vomito autoindotto, l’uso eccessivo di lassativi, digiuno o anche esercizio fisico estremo, mentre nel disturbo da alimentazione incontrollata non sono presenti comportamenti compensatori.
La differenza, molto spesso, è che nella bulimia la persona è normopeso, cioè riesce a compensare, mentre nel disturbo da binge – eating si può arrivare anche al sovrappeso e all’obesità proprio perché la persona non riesce a mettere in atto questi comportamenti.

Dal punto di vista fisico, quali possono essere le conseguenze?

Nella bulimia, il vomito autoindotto può portare a disturbi gastrici, per esempio ernia iatale, gastrite perché comunque ha un continuo, in quanto vi è una costante stimolazione acida del tubo digerente.
Altra conseguenza è l’ osteoporosi dovuta a un’alterazione dell’equilibrio elettrolitico della persona che può causare anche un’erosione dello smalto dei denti, quindi problemi anche in bocca.
Disturbi gastrointestinali possono, inoltre, derivare dal frequente uso di lassativi, rovinando così l’intestino.
Infine, la perdita del ciclo mestruale o amenorrea.
Nel binge – eating si possono avere, correlati al sovrappeso e all’obesità, anche disturbi metabolici.
Si può giungere a diabete e ipertensione, quindi tutto quello che si traduce in un eccesso di cibo.


Dal punto di vista di quello che è il suo lavoro, che tipo di interventi pone in essere o prescrive alle sue pazienti?

Io cerco di aiutarle a far pace con il cibo, le accompagno in un percorso di educazione alimentare, facendo loro capire che non è un determinato cibo che fa ingrassare, ma è il complesso dell’alimentazione che può portare o meno ad aumentare il peso.
Nel mio lavoro conduco la persona ad avere fiducia nel cibo.
Cerco di reintrodurre alimenti come l’olio extra-vergine di oliva, fondamentale per l’equilibrio ormonale e per la salute intestinale che, molto spesso, viene escluso da coloro che soffrono di disturbo alimentare perché molto calorico, facendo capire l’importanza di determinati alimenti sulla salute fisica.
Per le persone che non hanno il ciclo mestruale, spiego che l’utilizzo di grassi buoni può essere introdotto senza necessariamente aumentare di peso.
Quindi, nelle persone con bulimia che arrivano senza problemi di sottopeso, per aiutarle a non mettere su peso ma a risolvere il problema alimentare, testiamo l’alimento e vediamo cosa succede.
Nella maggior parte dei casi non succede nulla e la persona prende fiducia dicendo: “Ah anche se ho mangiato l’olio non è successo nulla.”

Come riesce a spiegare alle sue pazienti prendere peso in realtà non significa ingrassare per come loro lo intendono?


Non è per niente facile perché loro tendono a voler mantenere il controllo su questa cosa e quindi questo lavoro lo si fa più a livello psicologico.
Io mostro che non necessariamente bisogna ingrassare.
Loro pensano che introdurre determinati cibi significa ingrassare tantissimo.
In realtà non succede se viene fatto seguendo le regole, con criterio.
Queste ragazze hanno paura di passare all’abbuffata.

Come avviene un percorso di rieducazione alimentare?

Tendenzialmente si fa una prima visita nel quale si capisce, intanto, se la persona è pronta per affrontarlo e, generalmente, le persone che arrivano è perché lo vogliono.
Quando, invece, vengono portati dai genitori il percorso è più difficile perché non parte da loro, manca la spontaneità.
A volte, le pazienti mi vengono mandate dal ginecologo a causa dell’amenorrea.
Chiedo loro cosa mangiano, nel senso di quella che è l’alimentazione in quel momento: mi raccontano le abitudini e le paure rispetto a determinati cibi.
Cerco di inserire nel regime alimentare i cibi di cui hanno paura, introducendoli per due volte la settimana per far acquisire fiducia nel corpo fino a che non si rendono conto che se mangiano l’olio piuttosto che il pane non succede niente.
In questo modo riesco a far tornare anche il ciclo mestruale.
Non faccio pesare gli alimenti a meno che non ci sia un sottopeso da riequilibrare, ma normalmente io lavoro con persone normopeso che quindi riescono a mantenerlo.
Li supporto nella gestione, sempre in educazione alimentare, dei pasti fuori casa, perché le pazienti tendono a non andare a mangiare fuori per paura di non trovare determinati alimenti o di trovarne altri.
In base alle loro abitudini le accompagno alla gestione di tutto  ciò senza farsi prendere dall’ ansia.

Come riesce in questa fase?

Con molto ascolto, cerco di capire quali sono i loro timori, in realtà io sono anche una coach.
Cerco, attraverso una comunicazione empatica di guidarle e non farle sentire sbagliate.
Consideri che loro, quando vengono da me, sanno che anche io ho avuto gli stessi problemi e quindi un po’ si fidano, si sentono già comprese perché dicono: “Anche lei c’è passata, mi può dare una mano, mi può capire.”

Il fatto che abbia sofferto di bulimia è senza dubbio un valore aggiunto, in queste circostanze.
Passiamo al suo libro “ La mela del peccato”, scritto in funzione del suo trascorso, nel quale non solo parla della sua esperienza personale, ma lancia un messaggio molto forte circa il problema cronicità.

Spesso, la cronicità diventa la nostra identità e crediamo di non poterne uscire.
Con il mio libro ho voluto dare un messaggio di speranza e di guarigione per tutte quelle persone che si sentono croniche.
Leggendo questo libro si può capire che in qualche modo ce la si può fare anche dopo quindici anni, perché io ho sofferto di bulimia per quindici anni e ne sono uscita capendo che, anche se mi dicevano che ero cronica, potevo farci qualcosa.
La speranza passa attraverso la mia storia.

Cosa significa cronicità di un disturbo alimentare?

Che non si riesce più a guarire.
È quando dal medico ti viene detto che ormai è così, che si è cronicizzato e non se ne può più venir fuori.

Lei però dopo 15 anni ce l’ha fatta.
Quindi, cosa significa guarigione nonostante una diagnosi di cronicità?

Capendo che non ero la malattia, che io non ero bulimica.
Io mi identificavo con essa.
Ho capito che, siccome la avevo, potevo anche gestirla, migliorarla.
Quando, invece, mi sentivo bulimica cronica, ovvero mi era stata data questa diagnosi dicevo a me stessa: “Ormai sono così e non ci posso più far niente”
Per me è stato prendere in mano la situazione, ma ero già più grande, non avevo sedici anni, ne avevo vent’otto.
Nel momento in cui mi sono accorta che potevo farci qualcosa, è iniziato il mio percorso.

È esatto dire che guarire da uno stato di cronicità significa imparare a gestire il sintomo?

Sì, anche.
Su di me non ho più il sintomo, per me è sparito.
È sparita l’ossessione per il peso e per il cibo.
È sparito proprio l’aspetto ossessivo che credevo non potesse mai sparire, cioè io credevo che tutte quelle persone che mangiavano normale senza avere paura di quello che mangiavano fossero miracolate.  Adesso non ho più problemi e non penso più : “Cosa mangio quando esco a cena? Chissà cosa c’è”.
Mi gestisco senza paura di ingrassare, non è solo gestire il sintomo.
È proprio non avercelo più.
Voglio davvero dire che con la cronicità ci si può fare qualcosa, non è facile perché bisogna proprio fare un lavoro interiore profondo, farsi aiutare.

Chiedere aiuto significa consapevolezza. Questo è molto importante.
Lei ha partecipato anche a un pod cast dal titolo “ Il corpo non è me” ideato da  Lucia Caponetto, nel quale ha potuto lanciare, nuovamente, il suo appello.

Sì.
Lucia Caponetto è un’attrice e mi ha voluta includere in questo podcast dove sono state intervistate diciassette persone tra ex malati, genitori di malati e terapeuti.
È stato emozionante, da ex malata, poter essere di aiuto ad altri.

Per concludere le chiedo: a chi consiglierebbe la lettura del suo libro?

Non lo consiglio a tutti, cioè non lo consiglio a un ragazzo o a una ragazza che non ha il problema perché potrebbe esserci un’emulazione, ma solamente a chi ha il problema e ai rispettivi genitori.

Mara Cozzoli

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