TSO e riforma in senso garantista. Intervista a Alberto Brugnettini, Vice Presidente CCDU.
Per entrare nel merito delle dinamiche che regolano il Trattamento Sanitario Obbligatorio e le motivazioni per la quale è necessaria una riforma in senso garantista, dialogo oggi con Dr. Alberto Brugnettini, Vice Presidente CCDU – Comitato Cittadino Dei Diritti Umani.
Per i meno informati, tecnicamente, in cosa consiste il trattamento sanitario obbligatorio?
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio è una disposizione creata con la così detta Legge Basaglia in seguito alla chiusura dei manicomi ed è la legge che regola i motivi per cui e le modalità con cui è possibile imporre un trattamento sanitario a qualcuno contro la propria volontà.
È disciplinato da una legge del 78’ che “impropriamente” viene chiamata Legge Basaglia, in quanto quest’ultimo, non solo non l’ha scritta ma non l’ha neanche approvata: anzi, l’ha fortemente criticata perché a suo parere avrebbe riprodotto negli ospedali la stessa logica di abusi esistenti nei manicomi, semplicemente spostandone il luogo. Ed effettivamente così è stato. Sono previste tre condizioni affinché si possa imporre un TSO, ovvero la valutazione che il paziente necessita di cure, che le rifiuta e infine l’impossibilità a procedere in maniera diversa, per mezzo ad esempio di strutture ambulatoriali o altri tipi di interventi.
Conseguenza è l’ospedalizzazione forzata.
La richiesta deve essere firmata da un medico, approvata da un secondo medico e infine dal sindaco che deve darne il benestare: a questo punto, di solito, scatta il TSO. Servirebbe anche l’approvazione del giudice tutelare, ma il sindaco ha tre giorni di tempo per notificare il tutto al giudice tutelare.
Una domanda sorge spontanea: cosa accade se entro questo lasso di tempo il sindaco non allerta il giudice tutelare?
Con l’apposizione della firma del sindaco il TSO viene ugualmente eseguito. Infatti, questa è una delle incongruenze della legge perché il sindaco ha tre giorni di tempo per notificarlo e il giudice altrettanti giorni per decidere nel merito se approvarlo o meno. Intanto però sono passati sei giorni quindi, la persona ha già subito il suo TSO, imbottita di psicofarmaci e fatto tutto quanto doveva fare.
Questa è la prima stranezza della legge, cioè il lasso di tempo concesso affinché il giudice possa esprimersi.
Ricordiamo che si tratta pur sempre di privare una persona di uno dei diritti fondamentali che è la libertà della persona. Quando si tratta di privare una persona della propria libertà uno si aspetterebbe come minimo il parere di un giudice prima che la cosa possa essere fatta e , comunque velocemente.
Che senso ha se un giudice si fa vivo con sei giorni di ritardo.
Non è tutto, uno dei problemi che tra l’altro ci è stato contestato dalla Corte Europea dei Diritti dell’uomo nel 2006 è il fatto che il giudice tutelare non entra mai nel merito: si limita a guardare le carte, verifica che le date siano esatte, che ci siano le firme, che siano state notificate entro il periodo di tempo previsto.
Mi sta dicendo che non interloquisce con medici e sindaco?
Esattamente, la cosa peggiore è che non interloquisce nemmeno con il malcapitato.
Verifica solo la correttezza formale della documentazione. Ciò è stato oggetto come poc’anzi detto di critica da parte della Corte Europea Dei Diritti Dell’Uomo, sottolineando l’inaccettabilità di tale procedura che , secondo la Corte Europea, dovrebbe avvenire in contradditorio, il giudice deve cioè parlare con il diretto interessato, sentire per quale motivo rifiuta le cure mediche e decidere nel merito del fatto specifico: non limitarsi al controllo della correttezza formale della documentazione.
Abbiamo due stranezze.
La prima i sei giorni di tempo (tre più tre) prima di emettere la sentenza , la seconda è che quando la emette ci si limita a guardare le carte senza entrare nel merito.
Queste sono le prime due grandi irregolarità del TSO
Contenzione meccanica e chimica, cosa mi può dire?
In qualche caso ha luogo la contenzione meccanica, cioè la persona è legata mani e caviglie al letto. Di appena un anno e mezzo fa il caso di Elena Casetto, ragazza di Bergamo morta bruciata viva mentre era legata ad un letto di contenzione nel reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.
Francesco Mastrogiovanni invece decede nel 2009 in reparto psichiatrico in Campania dopo cinque giorni di contenzione ininterrotta: trovato morto in mezzo ai suoi escrementi, alle sue urine, denutrito e abbandonato a se stesso, anch’egli legato.
A volte, al posto delle contenzione meccanica si usa quella chimica. Non sono rari i casi in cui una persona è letteralmente stordita con dosi esagerate di farmaci per lo più antipsicotici, il cui uso prolungato e ad alte dosi riduce una persona a uno stato quasi vegetativo.
La scorsa estate Dario Musso, un rapper di Ravanusa in provincia di Agrigento protestava per le strade contro il lock down, esprimendo il suo parere.
È stato assoggettato a TSO, cosa assolutamente incomprensibile: poteva essere multato per violazione del DPCM, del resto era per strada con un megafono.
Il fatto che esprimesse le sue idee non giustifica un TSO. Ovviamente, è stato imbottito di farmaci. Nella sfortuna ha avuto la “fortuna” di avere un fratello avvocato, Massimiliano Musso che è riuscito a sbrogliare la matassa e riportarlo a casa. Il discorso è che dopo quattro giorni non riusciva ancora ad articolare le parole, farfugliava, aveva lo sguardo annebbiato, destabilizzato dall’effetto di quanto gli è stato somministrato. Anche questa è una prassi in violazione delle raccomandazioni Onu. Esiste una Commissione Onu per la prevenzione della tortura e l’Alto Commissariato Onu per i diritti umani che hanno esplicitamente raccomandato ai Paese membri di non implementare queste tecniche di contenzione e di somministrazione forzata di farmaci, proprio perché configurate come tortura.
Se la costituzione dice che la persona è inviolabile significa che non puoi violarla.
Sentenze addirittura del Tribunale di Norimberga che processò i crimini nazisti, stabiliscono che la somministrazione forzata di farmaci è vietata e contraria ai diritti umani, ma questa cosa avviene quotidianamente nei reparti psichiatrici degli ospedali.
Questo è il modo in cui viene fatto il TSO, il quale spesso assume modalità rudi e violente: Andrea Soldi, 45enne torinese deceduto nel 2015 a seguito di TSO e che vide addirittura la condanna dello psichiatra.
Nella prima metà degli anni Novanta, come CCDU avete fatto ispezioni a sorpresa in strutture che altro non erano residui manicomiali.
Nella prima metà degli anni novanta abbiamo fatto venti ispezioni a sorprese nei residui manicomiali, strutture rimaste aperte dopo la chiusura dei manicomi al fine di ospitare quelle persone che non avevano altro luogo in cui andare. Eravamo accompagnati ogni volta da un membro del parlamento perché i parlamentari hanno il diritto ad ispezionare, in qualsiasi momento, qualunque istituzione pubblica dello Stato, con noi, telecamere Rai o Mediaset. Tutto ciò è stato quindi documentato: vennero trovate persone in condizioni schifose, abbandonate a se stesse, nude, che dormivano su materassi sporchi di feci, urina. Persone trattate peggio di animali.
Questo era possibile in quanto vigeva questo mito del matto pericoloso. In verità, nel corso di questi controlli, mai una volta questi “matti” hanno manifestato intenzioni violente nei nostri confronti. Gli unici che hanno usato la forza contro di noi sono stati infermieri e personale dirigente, poi però calmati dalla presenza di un membro del Parlamento, molto spesso affiancato da poliziotti in borghese.
È un contro senso: in uno Stato di Diritto queste cose non dovrebbero essere possibili.
Rispetto a quanto mi sta dicendo, una cosa sconvolge: Perché soggetti che scelgono volontariamente di lavorare al fianco della fragilità, stiamo parlando di tecnici, assumono determinati comportamenti? Dove sorge il problema?
Bisognerebbe entrare nella testa di uno psichiatra per comprenderne il perché. Il mio sospetto è perché non hanno idea di come fare altrimenti. Gli psichiatri stessi ammettono che il loro compito è a metà tra la medicina e il controllo sociale.
Quando vai a prelevare qualcuno che sta manifestando contro il lock down, non è un atto medico, è un atto di controllo sociale, quando si impone un trattamento medico contro la volontà di una persona, la medicina non c’entra.
Se guarda sulla nostra pagina Facebook, quasi quotidianamente documentiamo notizie di TSO che appaiono sui giornali di mezza Italia.
IL 90% dei TSO di cui parla la stampa italiana, sono azioni di controllo sociale: la medicina non c’entra niente.
Se una persona picchia la madre sta commettendo un reato, il problema è che non viene preso dalla polizia e processato per il reato commesso, no, viene rinchiuso in un reparto psichiatrico. Voglio dire, se la persona è violenta con la madre o con chiunque, compie un reato, la malattia non c’entra. Dovrebbe quindi essere trattato come colui che viola la legge, invece la psichiatria si è assunta questo ruolo di controllo sociale, divenendo una sorta di polizia, magistratura e giudice allo stesso tempo.
Annualmente, quante segnalazioni di abusi giungono a voi?
Guardi, a noi, ne arrivano qualche centinaio. Le statistiche del Ministero della Sanità parlano di circa 10.000 casi di TSO annui. In realtà è una sottostima grossolana. A questo numero occorre aggiungere due categorie di persone.
Una sono i trattamenti sanitari così detti volontari fatti sotto “minaccia”.
Prendono la persona per la quale è stato chiesto un TSO ed usando metodi persuasivi, gentili e allo stesso tempo fermi, gli fanno capire che se firma per un trattamento volontario vanno via amici come prima, altrimenti lo prenderebbero con la forza e diverrebbe trattamento obbligatorio. Davanti a questa “offerta “che non si può rifiutare molte persone firmano, rientrando così nella statistica dei trattamenti volontari; in verità non lo sono perché firmati sotto minaccia di TSO.
Altro aspetto sono i trattamenti sanitari volontari accettati da un amministratore di sostegno. Se uno psichiatra stabilisce che una persona è incapace di decidere e valutare per sé, il giudice gli nomina un amministratore di sostegno o addirittura un tutore che può avere la facoltà di accettare trattamenti a nome della persona. In questo caso il trattamento risulta volontario in quanto firmato dal tutore esprimendo la “volontà della persona” ma il soggetto interessato magari non era neanche d’accordo. Quindi oltre ai 10.000 TSO registrati ufficialmente dal Ministero della Sanità ve ne sono altri che sono detti volontari ma estorti seguendo modalità discutibili e, secondo le denunce che riceviamo, un numero elevatissimo di casi è rappresentato da TSO accettato da un amministratore di sostegno e non dal diretto interessato.
Se sommiamo questa casistica, arriviamo facilmente a qualcosa come 30/40 mila TSO annui. Sono una cifra pazzesca. Sono abusi dei diritti umani e andrebbero trattati come tali.
Com’ è possibile giungere a un cambiamento?
Siamo impegnati in questo progetto di riforma del TSO in senso garantista.
Collaboriamo a “Comitato di legittima difesa”, una campagna lanciata dall’associazione radicale “Diritti alla follia”.
I radicali si occupano di questo tema da tanto tempo, nel 78’ fecero indire un referendum per la chiusura dei manicomi.
La Legge 180 che poi ne dispose chiusura e trasferimento all’interno dei reparti psichiatrici ospedalieri fu la risposta del parlamento italiano per evitare il referendum.
Quindi, l’associazione radicale “Diritti alla follia” promuove questa campagna “Comitato legittima difesa” a cui io partecipo e il cui scopo è riformare il TSO in senso garantista.
Si propone il diritto alla difesa, ad avere un avvocato, l’obbligo di ingiunzione dell’ordine di TSO, il diritto a essere ascoltati da un giudice, e non un giudice che si limita a vedere le carte.
Altra cosa che vorremmo introdurre è l’ Obbligo delle telecamere nei reparti psichiatria.
Gli abusi vengono condannati quando ci sono le telecamere, sono abusi che avvengono quasi quotidianamente, ma le telecamere sono presenti raramente.
Se sono presenti si arriva allo scandalo, all’incidente mediatico e alla condanna in tribunale, ma siccome nella maggior parte dei casi non sono presenti, quanto avviene resta nascosto.
I casi noti non sono casi isolati, non rappresentano l’eccezione, l’unica eccezione è la presenza di telecamere.
Quello che noi cerchiamo di fare è dare appoggio a questo progetto di riforma portato avanti da questa campagna radicale.
Secondo lei perché è così difficile spiegare queste problematiche?
Perché sopravvive nella mente della gente il mito del matto pericoloso.
Tutto ciò è reso possibile perché permane nella mente delle persone la paura del diverso.
Le persone diverse sono percepite pericolose.
Nella maggior parte dei casi, questi “matti” non fanno male ad alcuno. Sono persone tranquille, pacifiche: scrivono, disegnano.
Divengono violenti solo quando qualcuno cerca di ingabbiarli, legarli, obbligarli a fare ciò che non vogliono.
Allora sì, che possono reagire in maniera violenta. In questo caso, però, la violenza è una reazione umana completamente comprensibile, date le circostanze.
Alcuni giungono anche al suicidio. Tra i casi di TSO, almeno una volta al mese succede che qualcuno, proprio perché conosce tale pratica e al fine di evitarla, si tolga la vita.
Nell’ignoranza prevale la paura del diverso, nel momento in cui l’ignoranza è sostituita dall’informazione prevale l’interesse umano per la difesa dei diritti di altri esseri umani.
Cioè, secondo lei esistono vuoti informativi o modalità errate nel quale vengono esposte determinate questioni?
La maggior parte della stampa non li spiega affatto, anzi fomenta il mito della malattia mentale e del matto pericoloso.
Quando raccontano la storia di un TSO fatto su una persona che spacca i vetri o minaccia il vicino di casa, nessun giornale esprime un dubbio: il fatto che la persona magari poteva avere qualche motivo per spaccare i vetri o per minacciare… stava subendo vessazioni? Non dico sia sempre così, però nessuno si stupisce se la persona, anziché essere processata e condannata per avere commesso il reato, viene rinchiusa in ospedale e sottoposta a TSO. Appare come una cosa normale: la persona è matta e in quanto tale pericolosa, di conseguenza necessita di cure mediche.
Il mito della malattia mentale e che quest’ultima possa essere curata in maniera forzosa sopravvive purtroppo nella mente della gente.
L’unica cosa che può combattere questa idea è l’informazione, continua, corretta e la diffusione della verità su questi abusi, fino a che la luce della verità non avrà annientato il buio delle menzogne. Il lavoro portato avanti da tutti i giornalisti attenti alle tematiche dei diritti umani è fondamentale, perché se si vogliono cambiare le cose, occorre cambiarle nella testa della gente.
Un giudice americano che ha parlato delle leggi razziali, disse: “Abbiamo abolito le leggi raziali , ma non abbiamo abolito il razzismo finché rimarrà nel cuore delle persone”.
Quindi, noi spingiamo per una riforma della legge sul TSO, ma prima ancora della legge occorre cambiare la testa e il cuore della gente.
Puoi cambiare la legge, ma se non cambia il modo di pensare, modificare una legge non basta. Occorre quindi fare tanta contro informazione.
A conclusione intervista, ringrazio Alberto Brugnettini per il tempo concessomi.