Sindrome da scarsa fiducia del sé.
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ToggleNel 1957 Balconi e Berrini, nella classificazione della struttura della personalità infantile e nelle diagnosi correlate, avevano segnalano all’inizio della scuola elementare in alcuni bambini la presenza di sintomi quali l’ansia, il timore della realtà esterna all’ambito familiare, la debolezza dell’Io, gli atteggiamenti infantili ed individuano un ritardo nella organizzazione strutturale della personalità, in bambini privi di organicità e con normali livelli intellettivi. Le Autrici ipotizzarono nei genitori di questi bambini una particolare incoerenza educativa.
A seguito di questa segnalazione ho approfondito il problema ed ho riscontrato una certa presenza di questa tipologia nell’età della Scuola dell’infanzia, le cui caratteristiche si presentavano più evidenti all’ingresso della Scuola Primaria di Primo grado (Scuola Elementare). Nell’analisi di numerosi casi il riscontro di comportamenti caratteristici, con esclusione di carenze organizzative neurologiche, mi ha indirizzato a proporre l’esistenza della Sindrome da Scarso Sé (R.C.Russo 1986) confermando la presenza di sintomi tipici tali da potere affermare l’esistenza abbastanza frequente (10,23 % su una casistica di 1075 bambini segnalati per problemi neuropsichiatrici)
È frequente il riscontro, di norma all’inizio delle elementari di segnalazioni da parte degli insegnanti di bambini timidi, particolarmente riservati, richiedenti eccessivo aiuto, che tendono a perdersi per modeste difficoltà e che sono scarsamente partecipi nelle libere attività ludiche di grande movimento con i compagni, specie con quelli motoriamente più attivi. In molti di questi bambini le insegnanti riconoscono buone potenzialità intellettive che si manifestano in alcuni momenti favorevoli, se seguiti individualmente e con un atteggiamento gratificante e di sostegno.
Nell’ambito familiare il comportamento non presenta particolari problematiche, mentre i primi segnali, spesso presi poco in considerazione, si verificano nella scuola materna con marcato prolungamento dei tempi di adattamento nell’inserimento, una scarsa disponibilità di confronto con i pari nelle attività, la difficoltà a creare nuove amicizie, la prevalenza di un rapporto singolo con un compagno con caratteristiche simili alle proprie.
Una parte di questi bambini se seguiti dall’adulto con atteggiamento di rinforzo e fiducia tendono col tempo a superare queste loro insicurezze e a modellare la loro personalità in senso più evoluto e socializzante; per contro altri bambini, in situazioni ambientali meno favorevoli, si avviano a strutturare una personalità caratterizzata da una progressiva sfiducia nelle proprie capacità, da atteggiamenti di ritiro quando le richieste sono impegnative, da una riduzione delle competenze scolastiche, spesso erroneamente interpretate come deficit cognitivo. In molti casi questi bambini non vengono segnalati ai servizi di neuropsichiatria infantile, specie se la resa scolastica è discreta, anche se è presente una scarsa fiducia del Sé che determina nel bambino il comportamento sopra descritto e uno scaro impegno nella relazione sociale.
Quando questi casi arrivano ai servizi di neuropsichiatria infantile, pur riconoscendo la tipologia del comportamento e le dinamiche relazionali, risulta difficile porre una diagnosi certa in quanto i disturbi della sfera emozionale, quelli riferibili all’ansia e quelli caratterizzanti il disturbo della socializzazione, si combinano fra loro in modo così variegato da rendere difficile l’inquadramento nosografico.
L’ICD 10 nel gruppo F93 include le Sindromi e disturbi della sfera emozionale con esordio caratteristico nell’infanzia, sostiene che il disturbo rappresenta un’accentuazione di un aspetto dello sviluppo normale e che deve essere ben differenziato dalla patologia nevrotica ad insorgenza nel periodo preadolescenziale e adolescenziale. L’ICD 10 riconosce: sindrome ansiosa da separazione (F93.0), sindrome fobica dell’infanzia (F93.1), sindrome di ansia sociale dell’infanzia (F93.2), disturbo da rivalità tra fratelli (F93.3), sindrome o disturbo emozionale dell’infanzia di altro tipo.
(F93.8) e sindrome o disturbo emozionale dell’infanzia non specificato (F93.9). Il DSM IV ha una classificazione simile all’ICD 10.
La Classificazione diagnostica 0-3 anni nel capitolo Disturbi dell’affettività (200) comprende: disturbo d’ansia dell’infanzia (201), disturbo dell’umore per perdita di un genitore (202), disturbo depressivo (203), disturbo misto delle emozioni (204), disturbo dell’identità di genere (205), disturbo dell’attaccamento reattivo (206).
L’ICD9-CM (che corrisponde all’impostazione dell’ICD9 con modifiche cliniche), attualmente adottata in Italia, nel gruppo 313 «Disturbi dell’emotività specifici dell’infanzia e dell’adolescenza» apporta alcune modifiche rispetto le precedenti classificazioni e nel sottogruppo 313.2 «Con ipersensibilità timidezza e isolamento sociale», in cui possono rientrare anche alcune forme di mutismo, individua un gruppo da genesi diversa, centrato sul tipo di sintomatologia presente.
Appare importante e significativo differenziare dalle classificazioni nosografiche sopra citate, senza metterle in discussione, quelle forme con un corredo sintomatico (espresso in termini motori, emozionali e relazionali) caratterizzato da una scarsa fiducia nelle proprie capacità pur essendo presente un regolare sviluppo psicomotorio e una normale evoluzione delle funzioni psichiche superiori. Questa tipologia può essere identificata in una sindrome che può esprimersi con modalità differenti, ma con una genesi comune: la costante presenza di modelli educativi inadeguati alle caratteristiche personali del bambino. È importante evidenziare in tempi precoci queste forme per evitare che si strutturi nel bambino una personalità con Io fragile e dipendente dall’altro.
Sindrome da scarso Sé
Questa è una sindrome di frequente riscontro nella nostra società. La sua genesi può essere determinata con prevalenza da due fattori tra loro in antitesi ma di effetto similare sul piano evolutivo. L’atteggiamento svalutativo di ogni acquisizione e di ogni esperienza fatta dal bambino che finisce col provocare, dopo una fase di reattività, una progressiva accettazione, sul modello valutativo dell’adulto, della propria incapacità di dare dei risultati soddisfacenti.
Un altro fattore è rappresentato dall’iperprotezionismo che può manifestarsi con atteggiamenti diversi. In alcuni casi la figura parentale, dopo aver mostrato le varie difficoltà, le risolve non permettendo al bambino di cimentarsi con le proprie capacità. In altri casi le difficoltà vengono rimosse e anticipata la soddisfazione dei desideri, preparando in tal modo un iter evolutivo privo di ostacoli. Anche l’atteggiamento educativo di concessione totale di soddisfazione dei desideri e la conseguente prevalenza del volere del bambino sulle regole del nucleo familiare, impedisce di affrontare una valutazione adeguata delle difficoltà del percorso evolutivo.
Questi atteggiamenti educativi hanno sempre effetti negativi, ma con risultati diversi (sia per intensità che per modalità) a seconda delle caratteristiche biologiche del bambino. Spesso sono la causa di una carenza di impegno nell’affrontare le nuove situazioni, le difficoltà quotidiane e l’accettazione delle regole.
In età in età scolare, non avendo a fianco la figura iperprotettrice, il bambino deve affrontare da solo il confronto con le esperienze quotidiane e di particolare importanza evolutiva il confronto con i coetanei. La mancata preparazione alle difficoltà determinerà facili sconfitte che in seguito struttureranno una sfiducia del sé anche nelle attività già sperimentate e ritenute adeguate alle proprie potenzialità.
L’età tipica per la genesi di questa patologia è quella compresa tra i 12 ed i 48 mesi, suddivisibile in due periodi. Dai 12 ai 24 mesi il bambino vive l’esplorazione e la conquista dello spazio, l’uso ed il dominio dell’oggetto; in questo periodo sperimenta la propria potenzialità nel confronto con l’ambiente inanimato e l’adulto vigila e sottolinea positivamente o negativamente questa autonomia, rinforzando o smorzando la spinta evolutiva di conquista. Dai 24 ai 48 mesi il bambino vive prevalentemente l’interesse, la scoperta, il confronto e lo scontro con l’altro essere a lui più simile: il coetaneo. Con esso si cimenta in conoscenze, schermaglie, opposizioni, alleanze, lotte dichiarate, per poi arrivare ad una mediazione che gli permetterà di costruire man mano i piani di un’adeguata socializzazione in cui la forza e la fiducia dell’uno si saldano e si consolidano in quelle dell’altro.
A seconda del maggiore influsso negativo dell’ambiente nel primo o nel secondo periodo, si avranno diverse modalità di influssi comportamentali. Un modello svalutativo o iperprotettivo nel corso del secondo anno di vita potrà determinare un progressivo scarso impegno nelle attività di grandi movimenti a favore di attività ludiche sedentarie, di norma più accette in ambienti iperprotettivi. Nei casi più gravi il bambino tenderà a rifiutare le attività di gioco che impegnano la globalità somatica, con la conseguenza di riluttanza e paura ad affrontare ostacoli e a confrontarsi, come entità fisica, con il coetaneo verso il quale manterrà un rapporto di sudditanza.
L’effetto di svalutazione, o di iperprotezionismo che agisce con prevalenza nel periodo del terzo e quarto anno, in genere determina minori danni della forma precedente, in quanto il bambino ha potuto sperimentare le sue capacità e le sue abilità motorie nello spazio di conquista.
Il rapporto che si instaura col coetaneo si basa sulla diffidenza, su uno scarso impegno diretto di opposizione e sul prevalere di spostamenti temporali e scelte propizie per agire i propri desideri. Mentre nel primo caso dominano l’insicurezza motoria nell’agire e la tendenza alla dipendenza dall’adulto o dal coetaneo, nel secondo caso dominerà la difficoltà di rapporti, sottolineata da una continua altalena di titubanze, di rinvii a momenti considerati più favorevoli e di esplosioni reattive di aggressività non più contenuta.
In questa sindrome spesso il comportamento del bambino che subisce in modo consistente l’effetto dei modelli, si stabilizza dopo i 4 anni: dipendenza dall’adulto, scarso impegno nelle attività motorie che richiedono la globalità somatica, emotività ed affettività infantili, facile sudditanza nei confronti dei compagni, tendenza ad instaurare rapporti con bambini di età inferiore alla propria, uso di schemi motori infantili, carente autonomia, atteggiamenti di ritiro in situazioni impegnative e soprattutto scarso valore del sé.
Nel campione di 1092 casi dei miei pazienti ho individuato 154 bambini (14,10%) affetti da tale sindrome. Considerato che molti casi con le caratteristiche sopra elencate spesso non vengono segnalati ai sanitari, giustificando il comportamento sostenuto dal tipo di personalità, il 14,10% appare una incidenza decisamente importante tra i casi segnalati. Determinati disturbi vengono spesso sottovalutati se il bambino non presenta manifestazioni considerate eccessive dai genitori. È infatti frequente da parte dei genitori avere atteggiamenti iperprotettivi e una carente preoccupazione per il comportamento che viene in genere non significativo di patologia.
Disarmonia evolutiva da scarso Sé2
Prima ancora di entrare nello specifico della sindrome in oggetto che è una variabile della sindrome da scarso sé, risulta indispensabile definire il concetto di disarmonia evolutiva. Il concetto di disarmonia (Misés, 1973) è definito dalla mancata omogeneità di sviluppo dei settori motorio, cognitivo e relazionale e dalla presenza di Io a mosaico per l’alternarsi del comportamento da apparentemente normale a patologico a seguito di situazioni ambientali che richiedono particolare impegno emotivo-affettivo o cognitivo o motorio. Risulta sempre compromessa la capacità di adattamento alla marcata variabilità delle richieste ambientali.
Il comportamento patologico sarebbe l’espressione di una fuga di significato difensivo per evitare un’angoscia per un rapporto con l’altro vissuto inadeguato, invasivo o decisamente distruttivo. L’Io è fragile e incapace di un comportamento adeguato che, condizionato da problematiche evolutive non risolte, instaura meccanismi difensivi patologici di fronte a situazioni vissute al di sopra delle proprie capacità di adattamento.
Nel 1984 Le riflessioni su tali dati e una ricerca catamnestica sulle cartelle dei miei pazienti, mi avevano portato a proporre il riconoscimento di due sindromi: Disarmonia regressiva e Sindrome da scarsa fiducia del sé che presentavano caratteristiche sintomatologiche similari, ma con diversa
incidenza e frequenza delle manifestazioni. La prima presentava comportamenti avvicinabili alla norma in alcuni momenti, mentre in altri metteva in atto comportamenti regressivi connotati da scarsa fiducia nelle proprie potenzialità in confronto alle reali capacità. La seconda presentava invece caratteristiche stabili nel tempo.
Conosciuti gli studi di Misés ho rivisto, sulla base della variabilità del comportamento e della genesi, la definizione precedentemente data di Disarmonia regressiva ed ho ritenuto più adeguata la definizione Disarmonia evolutiva da scarso sé. Infatti, l’Io del bambino assumeva caratteristiche a mosaico, con fasi alterne di comportamenti adeguati ed altri con le caratteristiche da marcata sfiducia nelle proprie capacità.
La sintomatologia è simile a quella della sindrome da scarso sé, ma presenta connotazioni più marcate sottolineate anche dall’alternanza del comportamento, fatto che risulta poco accettabile nell’ambito familiare e scolare.
Attualmente, in considerazione della sintomatologia in comune, ritengo più consono includere e non più diagnosticare separata la Disarmonia evolutiva da scarso sé e considerarla come variabile della Sindrome da scarso sé.
Per maggiore chiarezza citerò un esempio. Una bambina di otto anni viene segnalata per difficoltà nell’apprendimento scolastico, scarsa organizzazione spazio-temporale e motricità globale scadente ed infantile. A scuola presenta rapporti superficiali con i compagni, ha imparato a leggere e a scrivere anche se ancora con grossi errori grammaticali, il disegno è discretamente strutturato, lo sviluppo psicomotorio è stato normale nei primi anni di vita. All’esame neuromotorio evidenzia un netto impaccio motorio globale in assenza di una tipologia patologica specifica dell’atto motorio, scarsa organizzazione spazio-temporale nelle produzioni scolastiche, buona la coordinazione oculo- manuale, il tratto grafico si presenta sicuro e ben controllato. A casa e con le amiche del cortile il comportamento non traduceva le sue difficoltà.
Nelle prime sedute di terapia psicomotoria la bambina, entrata nella stanza, cammina rasente i muri, nell’esplorazione dell’ambiente usa tragitti preferenziali, a volte passa dalla deambulazione eretta alla marcia a carponi, usa solo oggetti noti, spesso comunica con monologhi di tipo collettivo, presenta frequenti richieste di rassicurazioni alla terapista, l’attività con gli oggetti è scarsamente strutturata, prevalentemente manipolatoria e poco creativa.
Questo comportamento all’inizio della terapia evidenzia una regressione rapportabile ad una fase evolutiva di non più di due anni, ed in tal modo la bambina pone alla terapista il suo fondamentale problema costituito da una notevole sfiducia del sé che limita le sue reali capacità evolutive.
A partire dalla settima seduta, la bambina inizia a vivere il piacere del movimento e soprattutto dei grossi movimenti corporei, dimostrando una potenzialità evolutiva ed una capacità proprio in quei settori che si manifestarono più compromessi. Dopo 8 mesi di terapia psicomotoria alla frequenza di due sedute alla settimana, il sostegno mensile ai genitori e la collaborazione con le figure scolastiche, la bambina risolve positivamente i suoi problemi, migliora nettamente la resa scolastica e inizia a trattenere normali rapporti con le compagne e i compagni.
In questo caso vi era una regressione ad una precoce fase evolutiva, venivano in parte abbandonate le modalità comportamentali acquisite e potenzialmente usufruibili, lo spazio ed il tempo venivano vissuti come li può vivere un bambino dal 12° al 18° mese, quando si trova nella fase della conquista dello spazio.
La profonda insicurezza della bambina si manifestava nel setting terapeutico con tutta l’espressività tipica della fase evolutiva in cui normalmente il bambino lotta per la conquista dello spazio e per le sue affermazioni come individuo alla ricerca dell’indipendenza e della autonomia. In queste sedute, lo spazio veniva vissuto parzialmente in quanto il suo totale coinvolgimento avrebbe potuto produrre disorientamento e frustrazione a causa dell’insicurezza per il nuovo ambiente.
Poter ritornare a questa fase evolutiva, per la bambina ha significato riprendere il problema dal punto di partenza, dove qualcosa si era incrinato e non aveva permesso una normale evoluzione. Da questo punto, forte delle capacità già acquisite, ha potuto ricostruire la fiducia nelle sue possibilità e vivere con soddisfazione la gioia del movimento che prima le era negata.
Con la terapia psicomotoria, in diversi casi similari, abbiamo constatato una rapida risoluzione della problematica, favorita dalla possibilità di poter vivere a fondo quella fase evolutiva non completata che se non viene conclusa blocca o ritarda le potenzialità evolutive del bambino.
Tra le due sindromi citate esistono anche forme intermedie dove a volte è difficile una diagnosi differenziale.
I sintomi in comune sono: un’attività motoria espressa con schemi infantili, un deficit di controllo inibitorio di diffusione dello stimolo alla globalità somatica, una costante scarsa fiducia nelle proprie potenzialità, un’alternanza di atteggiamenti onnipotenti (specie negli ambiti protetti) a manifestazioni rinunciatarie, una ridotta autonomia e la presenza di modelli parentali inadeguati alle necessità evolutive del bambino.
Diagnosi differenziale
L’intervento elettivo e più efficace risulta essere la terapia psicomotoria con l’obiettivo di permettere e favorire al bambino il piacere del movimento, la conquista e l’affermazione del Sé in giusto rapporto con le sue reali capacità. Indispensabile sarà anche il supporto delle figure parentali per aiutarle a permettere e favorire il processo di autonoma, la responsabilizzazione e l’autocontrollo dell’emotività. In molti casi risulta necessaria la collaborazione con le insegnanti per la comprensione del problema e per procedere con un obiettivo comune.
Terapia
L’intervento elettivo e più efficace risulta essere la terapia psicomotoria con l’obiettivo di permettere e favorire al bambino il piacere del movimento, la conquista e l’affermazione del Sé in giusto rapporto con le sue reali capacità. Indispensabile sarà anche il supporto delle figure parentali per aiutarle a permettere e favorire il processo di autonoma, la responsabilizzazione e l’autocontrollo dell’emotività. In molti casi risulta necessaria la collaborazione con le insegnanti per la comprensione del problema e per procedere con un obiettivo comune.